Sulla riva
sinistra dell'Aniene,
vicino al Ponte
Vecchio, il vento lava
i cenci della
miseria. Ma spesso
sento da quelle
baracche di legno
canti di cuori
innamorati, e bimbi
quasi laceri
ridere sereni
dai sgangherati
legni della loro
fiaba. E uomini
vedo un poco foschi
di fatica sperare
ancora, sempre,
dalla trincea
della loro aspra vita.
Quel ritmo così
raro per il cuore
- Felicità - sovente lo ritrovo
nel
grido-arcobaleno di un a solo
della trombetta
di un bimbo felice
sulla riva
sinistra dell'Aniene.
COMMENTO
Questi versi fanno
parte della poesia intitolata Baracche,
e sono di Carlo Martini (Milano 1908-1978); io li ho trascritti da un volume di
Sergio Turconi intitolato La poesia
neorealista italiana (Mursia, Milano 1977). In verità non so se la medesima
poesia sia completa, non possedendo la raccolta da cui proviene. Lo
stesso Turconi, in una relativa nota, informa il lettore che Baracche fa parte della raccolta poetica
I giorni della periferia, pubblicata
da Martini nel 1954 presso le Edizioni Auditorium di Roma. Questi versi
mostrano, secondo Turconi, segni evidenti dell'ipocrisia e del cinismo
piccolo-borghese. Forse è così, pure, a me non dispiace il modo in cui il
poeta lombardo descrive le misere abitazioni di una parte cospicua della
popolazione italiana, ridotta all'estrema povertà dalla guerra da poco finita
(siamo nei primi anni '50 del XX secolo). In particolare, è bella l'immagine
del bimbo che trova la felicità semplicemente suonando una trombetta;
probabilmente Martini si rifà ad una famosa poesia di Corrado Govoni,
intitolata La trombettina, che,
similmente, pone in risalto l'allegria e l'entusiasmo infantile impersonato da
una bambina che ha avuto in dono una piccola tromba-giocattolo.
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