La predilezione e, in
certi casi, la passione per l'arte, i luoghi, determinati personaggi e precisi
oggetti che provengono dall'oriente, appartiene al miglior decadentismo e
simbolismo europeo. La poesia italiana non fa eccezione, viste le numerose tracce
di orientalismo che si possono trovare nei versi di tanti poeti riconducibili
all'area decadente-simbolista. Fonte d'ispirazione dell'orientalismo poetico,
sono senz'altro i romanzi e i racconti di grandi scrittori francesi
dell'Ottocento, come Victor Hugo, Gustave Flaubert e Karl-Joris Huysmans (forse
si potrebbe aggiungere anche il nostro Emilio Salgari); soprattutto Flaubert,
autore, tra l'altro, dei racconti esotici Salammbô
ed Hérodias, fu determinante nel
diffondere tra i lettori una sorta di fascino tutto orientale e tutto al
femminile, che quindi divenne fonte d'ispirazione per parecchi poeti italiani e
non. Ciò che attraeva dell'allora misterioso oriente, era anche la musica e in
particolare certe danze sensuali, in cui di nuovo erano protagonisti personaggi
femminili più o meno leggendari (si pensi a Salomè, spesso presente anche nelle
arti figurative di quel preciso periodo). Non di meno, affascinavano i
suggestivi e, direi unici paesaggi che si trovano in alcune zone dell'Asia e
dell'Africa orientale, comprendenti, nella descrizione accurata che ne facevano
i poeti, piante ed animali del tutto sconosciuti a chi era vissuto sempre in
Europa. Meno citati, ma pur presenti, sono i luoghi ed i personaggi inerenti
alla Cina ed al Giappone (a tal proposito, si leggano i quattro bellissimi
sonetti di Corrado Govoni, racchiusi sotto il titolo Ventagli giapponesi).
Poesie sull’argomento
Mario Adobati:
"Scheherazade" e "Salomè" in "I cipressi e le
sorgenti" (1919).
Giovanni Camerana:
"Salammbô" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli:
"Danza delle scimitarre" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Guido Da Verona:
"La canzone del fiume Jo-Yéh" e "La tazza di thé" in
"Il libro del mio sogno errante" (1919).
Raoul Dal Molin
Ferenzona: "Notte antica" in "A Ô B (Enchiridion notturno)"
(1923).
Federico De Maria:
"Nostalgia d'Oriente" in "Le Canzoni Rosse" (1904).
Federico De Maria:
"Il ricordo più bello" in "La Ritornata" (1933).
Domenico Gnoli:
"Sul Gange" in "Jacovella" (1905).
Corrado Govoni:
"Ventagli giapponesi" in "Le Fiale" (1903).
Luigi Gualdo:
"Atarah" in "Le Nostalgie" (1883).
Virgilio La Scola:
"Cantore arabo" in "La placida fonte" (1907).
Gian Pietro Lucini:
"Il tappeto su cui, Bella, danzate"
in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Nicola Marchese:
"Orientale" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone:
"La Stufa" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Angiolo Orvieto:
"Il Fuji" e "Nikko" in "Verso l'Oriente" (1923).
Aldo Palazzeschi:
"Habel Nassab" in "Poemi" (1909).
Giuseppe Rino:
"La figlia d'Erodiade" in "Poesia",
agosto/settembre/ottobre 1909.
Guido Ruberti:
"Le serre" in "Le fiaccole" (1905).
Carlo Vallini:
"La leggenda del principe Siddharta" in "Un giorno" (1907)
Carlo Vallini: “Horo”,
“Lo Scriba”, “L'offerta del Re” e “Nel Màstaba” in «Ardita», gennaio 1921.
Testi
VENTAGLI GIAPPONESI
CRIPTOMERIE
di Corrado Govoni
Per dei viali d’alte
criptomerie
s’alternano le pulite
casette,
giuocattoli
minuscoli, berrette
di persone attillate
e poco serie.
Sembrano femine in
continue ferie
di gonnelle di stoffe
un po’ civette,
increspate di
splendide faccette
più azzurrognole di
pontiderie.
Lontano, ad un
incerto Timbuctù
migra un greggie
d’anitre selvatiche
traverso un bianco
cielo di gimè.
Nel lago tra le canne
di bambù
una vergine tuffa le
sue natiche...
e il paesaggio è di
Kirosighè.
(da "Le
fiale")
NEL MÀSTABA
di Carlo Vallini
Nel màstaba profondo,
ove le offerte
giacciono intatte
sulla pietra dura,
ove, nel chiuso delle
quattro mura,
l'alito della nafta
acre s'avverte,
guardano i grifi e
gl'ibis con aperte
ali, fra i geni della
sepoltura,
quella che ignota a
Fthah, rigida e pura
dorme, fasciato il
lungo corpo inerte.
Dorme pura e in
eterno, ella, né teme
i mostri che
s'inseguono per l'alto,
biechi, anelanti a
lugubri connubi:
poiché, funebre
iddio, sopra le estreme
sue sorti, con
obliqui occhi di smalto,
vigila immoto lo
sciacallo Anubi.
(da «Ardita», gennaio
1921)
Jean Paul Sinibaldi, "Salammbô"
(da questa pagina web)
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