domenica 26 giugno 2022

L'orientalismo nella poesia italiana decadente e simbolista

 

La predilezione e, in certi casi, la passione per l'arte, i luoghi, determinati personaggi e precisi oggetti che provengono dall'oriente, appartiene al miglior decadentismo e simbolismo europeo. La poesia italiana non fa eccezione, viste le numerose tracce di orientalismo che si possono trovare nei versi di tanti poeti riconducibili all'area decadente-simbolista. Fonte d'ispirazione dell'orientalismo poetico, sono senz'altro i romanzi e i racconti di grandi scrittori francesi dell'Ottocento, come Victor Hugo, Gustave Flaubert e Karl-Joris Huysmans (forse si potrebbe aggiungere anche il nostro Emilio Salgari); soprattutto Flaubert, autore, tra l'altro, dei racconti esotici Salammbô ed Hérodias, fu determinante nel diffondere tra i lettori una sorta di fascino tutto orientale e tutto al femminile, che quindi divenne fonte d'ispirazione per parecchi poeti italiani e non. Ciò che attraeva dell'allora misterioso oriente, era anche la musica e in particolare certe danze sensuali, in cui di nuovo erano protagonisti personaggi femminili più o meno leggendari (si pensi a Salomè, spesso presente anche nelle arti figurative di quel preciso periodo). Non di meno, affascinavano i suggestivi e, direi unici paesaggi che si trovano in alcune zone dell'Asia e dell'Africa orientale, comprendenti, nella descrizione accurata che ne facevano i poeti, piante ed animali del tutto sconosciuti a chi era vissuto sempre in Europa. Meno citati, ma pur presenti, sono i luoghi ed i personaggi inerenti alla Cina ed al Giappone (a tal proposito, si leggano i quattro bellissimi sonetti di Corrado Govoni, racchiusi sotto il titolo Ventagli giapponesi).

 

 

 

 

Poesie sull’argomento

 

Mario Adobati: "Scheherazade" e "Salomè" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Giovanni Camerana: "Salammbô" in "Poesie" (1968).

Enrico Cavacchioli: "Danza delle scimitarre" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Guido Da Verona: "La canzone del fiume Jo-Yéh" e "La tazza di thé" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).

Raoul Dal Molin Ferenzona: "Notte antica" in "A Ô B (Enchiridion notturno)" (1923).

Federico De Maria: "Nostalgia d'Oriente" in "Le Canzoni Rosse" (1904).

Federico De Maria: "Il ricordo più bello" in "La Ritornata" (1933).

Domenico Gnoli: "Sul Gange" in "Jacovella" (1905).

Corrado Govoni: "Ventagli giapponesi" in "Le Fiale" (1903).

Luigi Gualdo: "Atarah" in "Le Nostalgie" (1883).

Virgilio La Scola: "Cantore arabo" in "La placida fonte" (1907).

Gian Pietro Lucini: "Il tappeto su cui, Bella, danzate" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).

Nicola Marchese: "Orientale" in "Le Liriche" (1911).

Tito Marrone: "La Stufa" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).

Angiolo Orvieto: "Il Fuji" e "Nikko" in "Verso l'Oriente" (1923).

Aldo Palazzeschi: "Habel Nassab" in "Poemi" (1909).

Giuseppe Rino: "La figlia d'Erodiade" in "Poesia", agosto/settembre/ottobre 1909.

Guido Ruberti: "Le serre" in "Le fiaccole" (1905).

Carlo Vallini: "La leggenda del principe Siddharta" in "Un giorno" (1907)

Carlo Vallini: “Horo”, “Lo Scriba”, “L'offerta del Re” e “Nel Màstaba” in «Ardita», gennaio 1921.

 

 

 

 

Testi

 

VENTAGLI GIAPPONESI

CRIPTOMERIE

di Corrado Govoni

 

Per dei viali d’alte criptomerie

s’alternano le pulite casette,

giuocattoli minuscoli, berrette

di persone attillate e poco serie.

 

Sembrano femine in continue ferie

di gonnelle di stoffe un po’ civette,

increspate di splendide faccette

più azzurrognole di pontiderie.

 

Lontano, ad un incerto Timbuctù

migra un greggie d’anitre selvatiche

traverso un bianco cielo di gimè.

 

Nel lago tra le canne di bambù

una vergine tuffa le sue natiche...

e il paesaggio è di Kirosighè.

 

(da "Le fiale")

 

 

 

 

NEL MÀSTABA

di Carlo Vallini

 

Nel màstaba profondo, ove le offerte

giacciono intatte sulla pietra dura,

ove, nel chiuso delle quattro mura,

l'alito della nafta acre s'avverte,

 

guardano i grifi e gl'ibis con aperte

ali, fra i geni della sepoltura,

quella che ignota a Fthah, rigida e pura

dorme, fasciato il lungo corpo inerte.

 

Dorme pura e in eterno, ella, né teme

i mostri che s'inseguono per l'alto,

biechi, anelanti a lugubri connubi:

 

poiché, funebre iddio, sopra le estreme

sue sorti, con obliqui occhi di smalto,

vigila immoto lo sciacallo Anubi.

 

(da «Ardita», gennaio 1921)

 

 

Jean Paul Sinibaldi, "Salammbô"
(da questa pagina web)


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