Non so se tra roccie il tuo
pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici
pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra
sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei
pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir
taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce
vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto
notturno:
Guardo le bianche rocce le
mute fonti dei venti
E l'immobilità dei
firmamenti
E i gonfi rivi che vanno
piangenti
E l'ombre del lavoro umano
curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli
lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti
chiamo Chimera.
Dino Campana (disegno di Franco Gentilini) |
COMMENTO
La
Chimera è
il titolo di una tra le poesie più belle e celebri della letteratura italiana.
L’autore è Dino Campana (Marradi 1885 - Scandicci 1932), che la inserì nella
sua unica raccolta di versi: Canti Orfici,
pubblicata dalla Tipografia Ravagli di Marradi nel 1914. Io l’ho trascritta da
una ristampa del volume: Opere (prima
edizione: TEA, Milano 1989).
La
Chimera è il primo componimento in versi della sezione Notturni dei Canti Orfici;
qui, si possono leggere altre poesie particolarmente belle, come Giardino autunnale e Il Canto della tenebra. Tornando a La Chimera, fin dall’inizio s’intuisce
che Campana, quasi in estasi, sta cercando di descrivere una visione – o meglio
ancora, un’illuminazione – che ha caratteristiche mistiche, arcane e
particolarmente coinvolgenti. Da notare, inoltre, che il poeta sembra
rivolgersi direttamente a questa sorta di visione, come se essa sia in grado di
ascoltarlo. Ciò che appare al poeta, o
lo colpisce più di ogni altra cosa, è il volto di una giovanissima donna, se
non di un’adolescente, i cui lineamenti ricordano due capolavori pittorici di
Leonardo da Vinci: La Vergine delle Rocce
e La Gioconda. Ma la descrizione di
questa figura femminile, non viene mai definita in modo esauriente, rimanendo
sempre assai vaga; ciò che si percepisce chiaramente, è il fascino
straordinario che possiede, così come il senso di profondo mistero che la
avvolge, e la fa assomigliare a qualcosa di divino. Si potrebbe parlare di
un’apparizione, ovvero qualcosa di straordinario e indefinibile che il poeta
osserva incredulo ed estasiato, non potendo far altro che adorare il volto
pallido di un essere metafisico, che racchiude tutte le maggiori attrattive
delle arti più famose: poesia, pittura, musica e scultura. Il fatto che
Campana, nella descrizione di questa figura, dichiari più di una volta la sua
incertezza (quel “Non so” che compare al primo, al ventunesimo e al
ventiquattresimo verso), rafforza l’indeterminatezza di essa; anche il nome con
cui Campana decide di chiamarla: Chimera,
oltre a mitizzarla, la precisa quale essere irraggiungibile, ovvero alla
stregua di un sogno meraviglioso, impossibile da realizzare; niente a che
vedere, è ovvio, con il mostro che è così chiamato nella mitologia greca (Χίμαιρα).
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