Oggi l'aria è
chiara e fine
e i monti son
cupi e tersi,
poveri anni persi
in fantasie senza
confine.
Qui ogni pietra
ha un contorno
ogni fibra un
colore,
i rami tendono
intorno
una rigidità
senza languore.
Foglie gialle
cadute
per troppa
secchezza,
segnano
l'asprezza
di grandi arie
mute.
Il cielo è
azzurro di profondità
le cose son ferme
e recise.
Passò un respiro
d'eternità
in queste
solitudini derise.
Novembre 1915.
Queste quattro
quartine furono scritte dal poeta Carlo Stuparich (Trieste 1894 - Monte Cengio
1916) mentre era al fronte nella cosiddetta "Grande Guerra", ovvero
nella Prima Guerra Mondiale che, per quanto riguarda la nazione italiana, ebbe
inizio nel 1915 e terminò nel 1918. Stuparich fu una delle vittime di questo
sciagurato conflitto: vistosi caduto ormai in mano ai nemici austriaci, non
volle divenirne prigioniero e si tolse la vita quando non aveva ancora compiuto ventidue anni. In vita
non pubblicò nulla; tutti i suoi scritti furono raccolti e pubblicati dal
fratello Giani - anch'esso scrittore - nel 1919 col titolo Cose e ombre di uno. La poesia che compare in questo post, l'ho
trascritta dalla terza edizione del volume citato, pubblicato dall'editore
Sciascia di Caltanissetta nel 1968; più precisamente, la si può leggere alla
pagina 47. Nei versi qui presenti Stuparich immortala un momento autunnale,
d'inizio novembre, vissuto da un soldato che, forse grazie ad un periodo di
momentanea rilassatezza, ha l'opportunità di godersi il paesaggio che lo
circonda; ne esce una poesia che descrive delle sensazioni e delle impressioni
molto particolari; nell'ultima quartina è presente una meditazione che vorrebbe
dimostrare una sorta di immobilità permanente della natura (ma la parola
"respiro" sta a dimostrare che si tratta soltanto di un illusione);
più difficile invece è l'interpretazione dell'ultimo concetto espresso dallo
scrittore triestino, poiché, se è facilmente comprensibile la sensazione di
solitudine provata da una moltitudine di ragazzi completamente diversi fra
loro, ritrovatisi improvvisamente arruolati e spediti in luoghi mai visti in
precedenza per combattere una guerra assai dura e crudele, non si comprende
l'atteggiamento derisorio relativo alla solitudine stessa. Carlo Stuparich,
come già detto, morì giovanissimo; pure, leggendo i suoi scritti presenti
nell'unico libro che li raccoglie, s'intuisce che avrebbe potuto fare molta
strada, sia come poeta che come prosatore.
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