Pur pensando che è del tutto inutile riaffermarlo, comincio col dire che Umberto Saba (Trieste 1883 - Gorizia 1957) è sicuramente uno dei migliori poeti italiani del Novecento. La sua poesia è stata ed è per me fondamentale, e se dovessi utilizzare tre aggettivi per meglio evidenziarla, la definirei "onesta", "limpida" e "autentica". A proposito del primo aggettivo, chi ben conosce l'opera letteraria dello scrittore triestino, sa quanto egli stesso si preoccupasse dell'onestà del poeta: qualità fondamentale per scrivere versi che rispecchino la "vera" anima di un essere umano. Nell'arco di un quarantennio che si dipana tra la prima raccolta, uscita nel 1911, all'ultima, che risale al 1951, Saba non ha mai mutato più di tanto il suo assai coerente criterio nello scrivere versi; nel Canzoniere che cominciò a curare già nel 1921, inserì le poesie vecchie e nuove, che formano una sorta di vicenda biografica ed esistenziale. Parlando sempre del Canzoniere, penso che i migliori esiti della poesia sabiana si trovino nelle tre sezioni intitolate nell'ordine: Casa e campagna, Trieste e una donna e La serena disperazione, e che, cronologicamente, corrispondono ai versi scritti nel secondo decennio del XX secolo. Qui il poeta triestino mostra in modo ineccepibile uno stile e una padronanza di scrittura difficilmente ritrovabile in altri poeti del suo tempo, soprattutto quando parla con intenso e appassionato amore della sua città natale, o quando si lascia andare a confessioni in cui esterna un malessere che lo accompagnerà per tutta la vita, e che ben presto sarebbe sfociato in una non lieve nevrosi. Bellissime sono anche le sue ultime raccolte, in cui emerge una maggiore tendenza alla sintesi e una malinconia propria di chi sente ormai vicino il termine della sua esistenza. Molti critici tentarono più volte d'inserire Saba in correnti e scuole letterarie, sbagliando clamorosamente. La sua poesia fa storia a sé, sia prendendo come riferimento il solo panorama italiano, sia quello europeo del XX secolo. Si può però affermare con certezza che il nostro ebbe dei punti di riferimento precisi, che vanno dal Petrarca al Leopardi, non escludendo altri esempi poetici di estrema importanza, provenienti da diversi paesi europei; determinate, per la scrittura di alcuni suoi versi, fu anche la lettura di filosofi e psichiatri come Nietzsche e Freud.
Concludendo, dopo
aver elencato le opere poetiche da lui pubblicate in vita, trascrivo dal volume
Tutte le poesie, tre stupende liriche
di Saba.
Umberto Saba in un ritratto di Vittorio Bolaffio |
Opere poetiche
"Poesie",
Casa Editrice Italiana, Firenze 1911.
"Coi miei occhi
(Il mio secondo libro di versi)", Libreria della Voce, Firenze 1912.
"Cose
leggere e vaganti", La Libreria Antica e Moderna, Trieste 1920.
"Il
Canzoniere 1900-1921", La Libreria Antica e Moderna, Trieste 1921.
"Preludio e
canzonette", Edizioni di «Primo Tempo», Torino 1923.
"Figure e
canti", Treves, Milano 1926.
"L'Uomo",
Trieste 1926.
"Preludio e
fughe", Edizioni di Solaria, Firenze 1928.
"Tre poesie
alla mia balia", Trieste 1929.
"Ammonizione
e altre poesie 1900-1910", Trieste 1930.
"Tre composizioni",
Treves, Milano 1933.
"Parole",
Carabba, Lanciano 1934.
"Ultime cose
(1935-1938)", Collana di Lugano, Lugano 1944.
"Il
Canzoniere (1900-1945)", Einaudi, Torino 1945.
"Mediterranee",
Mondadori, Milano 1946.
"Uccelli",
Edizioni dello Zibaldone, Trieste 1950.
"Uccelli -
Quasi un racconto (1948-1951)", Mondadori, Milano 1951.
"Tutte le
poesie", Mondadori, Milano 1994.
Piatto anteriore del volume: Umberto Saba, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1994 |
Testi
LA CAPRA
Ho parlato a una
capra.
Era sola sul
prato, era legata.
Sazia d'erba,
bagnata
dalla pioggia,
belava.
Quell'uguale
belato era fraterno
al mio dolore. Ed
io risposi, prima
per celia, poi
perché il dolore è eterno,
ha una voce e non
varia.
Questa voce
sentiva
gemere in una
capra solitaria.
In una capra dal
viso semita
sentiva
querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 78)
CITTÀ VECCHIA
Spesso, per
ritornare alla mia casa
prendo un'oscura
via di città vecchia.
Giallo in qualche
pozzanghera si specchia
qualche fanale, e
affollata è la strada.
Qui tra la gente
che viene che va
dall'osteria alla
casa o al lupanare,
dove son merci ed
uomini il detrito
di un gran porto
di mare,
io ritrovo,
passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e
marinaio, il vecchio
che bestemmia, la
femmina che bega,
il dragone che
siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante
giovane impazzita
d'amore,
sono tutte
creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse,
come in me, il Signore.
Qui degli umili
sento in compagnia
il mio pensiero
farsi
più puro dove più
turpe è la via.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 91)
DE PROFUNDIS
Io vivo... eppure
sono un morto, sono
dentro un abisso;
ed odo, ivi sepolto,
la vita che tra
voi s’agita, il suono
della vita, ormai
vano; odo la voce
mia che m’è
nuova; può affissarmi in volto
l’amico, il mal
ridirmi che gli nuoce,
ma dinanzi ha
un’immagine mentita;
sorride, leva i
miei occhi al suo viso
uno spettro
quassù della mia vita.
Io giaccio; ed ho
solo un pensiero, godo
solo un pensiero:
sono morto, ucciso
da me in sì
strano, in sì felice modo
che serbo ai cari
miei la mia giornata,
anzi più mossa,
più fattiva ancora,
ad opere di buon
fine ordinata;
ed a me la mia
notte senz’aurora.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 166)
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