Bambina, nelle
sere di novembre
poi che sui monti
c'era
la guerra
e la legna
costava
assai – come il
latte, come il pane –
e la nebbia
pesava
gelida sulla
terra,
la mamma mi
portava
– per scaldarci –
alla fornace.
Riflessi di brace
tingevano l'androne
nero:
rossa nel fondo
divampava
la cupola del
forno.
Dall'alto un
vecchio scagliava
fascine e
fascine.
Giù i tegoli in
cerchio
sembravano una
ruota
immota
a cui fosse mozzo
la fiamma.
Si arrossava
la creta al
centro:
verde era ancora
al margine
dove più lento
arrivava il
calore.
Si sgranavano in
uno stupore
d'incanto – le
pupille bambine.
Il vecchio
dall'alto scagliava
fascine e
fascine.
Si ritornava
per l'androne
nero
con un bruciore
di vampa negli occhi.
Fuori, un'immensa
fontana
nella nebbia lanciava
il suo getto
bianco e faceva
rabbrividire.
La casa pareva
lontana,
la strada
sembrava non finire
più. Era notte,
era novembre,
sui monti c'era
la guerra.
16 settembre 1933
La fornace è il titolo di una poesia scritta da Antonia Pozzi
(Milano 1912 - ivi 1938) e la si può rintracciare nel volume La giovinezza che non trova scampo. Poesie e
lettere, pubblicato dall'editore Scheiwiller nel 1995. All'interno di
questo libriccino vi sono quattro sezioni; nella prima, alle pagine 32 e 33
(foto sopra), si trova la poesia che ho trascritto. Gli stessi versi, che fino
a quel momento erano del tutto inediti, furono quindi inseriti nel volume Parole (Garzanti, Milano 1998) con tutte
le poesie della Pozzi, edite e inedite.
Come si può
intuire facilmente, in questi versi la poetessa fa rivivere un ricordo
infantile, che appartiene agli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale (1917 o
1918); era certamente un periodo molto difficile, più che mai per coloro che,
soldati, combattevano al fronte; ma anche le famiglie rimaste nelle case,
composte quasi esclusivamente da donne, anziani e bambini, dovettero affrontare
anni di stenti e privazioni, proprio a causa del conflitto che si stava
svolgendo. Il ricordo della Pozzi riguarda l'inizio della stagione invernale,
che dalle parti dove nacque, coincide con la seconda metà di novembre. Il
freddo che cominciava a farsi sentire in quei giorni, come dice la poetessa,
spingeva la madre a recarsi insieme a lei presso una fornace non lontana dalla
loro abitazione. Si trattava del luogo più vicino in cui era possibile scaldarsi,
facendo scomparire del tutto la sensazione di gelo che era facile provare in
luoghi totalmente privi di fonti di calore. La Pozzi, benché ancora molto
giovane (quando scrisse questi versi aveva appena ventun'anni), è riuscita a
creare un'atmosfera cupa e nello stesso tempo affascinante, descrivendo una
situazione realmente vissuta da lei, sebbene in età infantile, avendo la rara
capacità di farla rivivere in modo del tutto particolare: mostrandola così come
a lei appariva allora, con i suoi occhi e con la sua mente di bambina; ecco
allora profilarsi una serie d'immagini avvolte nel mistero, che sembrano far
parte di un romanzo gotico, o di una favola terribile. Insomma, ecco un altro
capolavoro poetico di una ragazza che aveva un talento straordinario e che,
purtroppo, assai presto decise di andarsene da questo mondo.
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