domenica 11 aprile 2021

La poesia di Raffaele Carrieri


 


Tra i miei poeti prediletti, non vi è dubbio che ci sia anche Raffaele Carrieri (Taranto 1905 - Pietrasanta 1984); un altro dei tantissimi poeti che non ha trovato né trova abbastanza considerazione dalla critica, dal pubblico e dall'editoria (anche di lui non esiste ancora un libro che ne raccolga l'intera opera poetica). A proposito di Carrieri poeta - fu anche valente prosatore e critico d'arte - si potrebbe parlare all'infinito, perché i suoi versi rappresentano qualcosa di veramente eccezionale nell'ambito della poesia novecentesca italiana ed europea; si dovrebbe comunque cominciare parlando della sua avventurosa vita: trascorsa in numerosissime località dell'Europa, già dall'adolescenza. Questo continuo viaggiare è un elemento fondamentale, facilmente riscontrabile in molte delle sue poesie, che accennano a luoghi, mestieri, persone e usanze ben conosciuti dal poeta attraverso i molti anni di vita da bohémien. Ma la caratteristica più importante della poesia di Carrieri consiste nella sua inoppugnabile unicità, e nella conseguente difficoltà che trova chiunque voglia paragonarla o avvicinarla a qualunque grande poeta italiano o straniero. Un'altra peculiarità dei suoi versi è una evidente tendenza a scrivere degli epigrammi che hanno come argomento principale la sua visione del mondo, e che affascinano per la tangibile sincerità e per l'indubbia capacità di esprimere, in poche e profonde parole, dei concetti apparentemente inconfutabili. Ma Carrieri, nelle sue numerosissime, brevi poesie, sa trattare un po' tutti gli argomenti; ecco allora comparire donne, animali, piante, città o semplicissimi oggetti che entrano a far parte di un mondo favoloso, creato magistralmente da un poeta che mette in moto la sua infinita fantasia e lascia letteralmente incantato il lettore. Carrieri cominciò a scrivere e pubblicare i suoi versi in età già avanzata, tant'è vero che nell'anno in cui uscì la sua prima raccolta poetica era quasi un quarantenne; ma, da lì in avanti, si può ben dire che la sua ottima produzione non si fermò più, fino alla vecchiaia (il suo ultimo libro lo pubblicò a 75 anni). Per chiudere riporto tutti i titoli delle raccolte poetiche di Raffaele Carrieri, e cinque autentici gioielli che una volta di più mettono in evidenza l'immenso talento di un poeta - lo ripeto ancora una volta - ingiustamente trascurato.

 

 

 

 

Opere poetiche

 

"Poemetto a Campigli", Ed. del Cavallino, Venezia 1942.

"Lamento del gabelliere", Toninelli, 1945.

"Souvenir caporal", Mondadori, Milano 1946.

"La civetta", Mondadori, Milano 1949.

"Il trovatore", Mondadori, Milano 1953.

"Canzoniere amoroso", Mondadori, Milano 1958.

"La giornata è finita", Mondadori, Milano 1963.

"Io che sono la cicala", Mondadori, Milano 1967.

"Stellacuore, 1945-1969", Mondadori, Milano 1970.

"Le ombre dispettose", Mondadori, Milano 1974.

"Fughe provvisorie", Mondadori, Milano 1978.

"La ricchezza del niente", Mondadori, Milano 1980.

 

 

 

 

Testi

 


FINE DI GIORNATA

 

A ogni fine di giornata

quando il cielo muore

con la gola tagliata

come la gallina nera

resto solo sul prato

con gli odori della sera

e il sacco di cenciaiolo

dove raccolgo la cenere

delle mie ore terrene.

 

(da "Stellacuore", Mondadori, Milano, p. 20)

 

 

 

 

 

CHI MI CAMMINA DENTRO

 

Chi mi cammina dentro

e orma lascia di fuga?

Chi rimuove l'antica collera,

chi brucia, chi mi fruga?

Chi si serve del mio piede

e attraversa la strada

non mia?

Chi l'amico percuote

con la mia buona mano?

Frammenti d'altre vite,

memorie di peccati

antichi io mi porto.

 

(da "Stellacuore", Mondadori, Milano 1970, p. 37-38)

 

 

 

 

SOLO

 

Ora che sono solo

Per amici ho

Gli uccelli d’inverno.

Piumaggio di poco conto:

Canto scialbo,

Canto solitario.

Ora che sono vuoto

Quante stanze alle spalle,

Quante porte.

Alla vista del merlo

Forte batte il mio cuore.

 

(da "Stellacuore", Mondadori, Milano 1970, p. 282-283)

 

 

 

 

UNA BURRASCA DURA DI PIÙ

 

Gesù come passano gli anni,

Una burrasca dura di più!

Mi restano gli affanni

Come viscidi sudari.

E il rumore lontano

Che fa il vento

Sui rami di vetro.

 

(da "Le ombre dispettose", Mondadori, Milano, p. 69)

 

 

 

 

PER UN VINCITORE

 

Tu che stimavi il potere

Più dell'amore,

Devi far presto a scegliere

Fra trecento scarpe

Le più leggere:

Non dovendo più salire

Né scendere.

 

Tu che ti reputavi il vincitore

Sei più immobile d'un cartone

Di sartoria proiettato

Nella vetrina.

Non riconosceresti le tue mani

Nei rigidi guanti

Che fecero fallire gli arsenali.

 

Nel vestirti ridevano i domestici

Per l'ampiezza dei vestiti

Che nessuno dei presenti

Avrebbe potuto indossare.

Cosa serve comandare

Se il vincente deve entrare

Cadavere in un doppio petto?

 

Tu che apprezzavi il danaro

Più dell'onore

Avresti certamente orrore

Nel riconoscere

I tuoi occhi di leone

Come lo spento ottone

Nei mobili degli usurai.

 

Tu che scacciavi la morte

Dalle banche che gestivi

Ed eri laconico negli ordini,

Ora sei assente:

Senz'oro

Senza voce,

Perdente per sempre!

 

(da "La ricchezza del niente", Mondadori, Milano 1980, pp. 63-64)

 

domenica 4 aprile 2021

Antologie: "Pascoli, Gozzano e i crepuscolari"


 



Ecco un altro volume della collana Letteratura italiana Laterza, che è per metà saggio critico, e per metà antologia di testi. Il titolo è: Pascoli, Gozzano e i crepuscolari, pubblicato per la prima volta nel 1976 (quella che posseggo è la 2° edizione del 1988); gli autori, o, meglio, i curatori, sono Mario Tropea e Giuseppe Savoca. Bisogna dire, prima di tutto, che in questo libro Giovanni Pascoli la fa da padrone rispetto agli altri poeti che pure sono citati nel titolo: al poeta emiliano, infatti, sono state dedicate ben 94 pagine delle 136 totali (escludendo la tavola delle abbreviazioni e gl'indici ovviamente). C'è quindi da aggiungere che Guido Gozzano, presente nella seconda sezione del volume, malgrado l'apparente distinzione, viene inserito in un discorso generale, che comprende anche i cosiddetti poeti crepuscolari. A mio parere, il volume poteva essere ampliato, inserendo Gabriele D'Annunzio e Arturo Graf: due poeti che, insieme al Pascoli, influenzarono in modo netto i versi di Gozzano e dei poeti crepuscolari; inoltre, il poeta torinese meritava decisamente maggiore spazio, insieme a Sergio Corazzini, Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi. Il saggio antologico, risulta quindi strutturato in maniera disomogenea, mostrando delle evidenti lacune in quanto alla attribuzione d'importanza dei protagonisti che vi compaiono. Per il resto, nulla da eccepire sulla parte meramente saggistica, così come per quella antologica riservata al Pascoli. Tutti gli altri, relegati in poche pagine e sbrigativamente trattati, per forza di cose risultano penalizzati e sviliti. 

domenica 28 marzo 2021

"Poesie scritte col lapis" di Marino Moretti

 

Poesie scritte col lapis, pubblicata dall'editore Ricciardi di Napoli nel 1910, è la raccolta di versi più famosa di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - ivi 1979). Il poeta romagnolo, in virtù di quest'opera, ottenne una buona notorietà, grazie anche ad un famoso articolo di Giuseppe Antonio Borgese, uscito lo stesso anno sul quotidiano La Stampa, in cui il Moretti, accomunato ad altri due poeti: Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves, fu definito per la prima volta "poeta crepuscolare". Anch'io penso che questa raccolta sia la migliore di Marino Moretti, soprattutto perché fa da spartiacque rispetto al suo modo di comporre versi; le prime due opere poetiche - che precedono Poesie scritte col lapis - rappresentarono per l'autore una sorta di apprendistato; le due successive, rappresentarono invece una "ripetizione con varianti" della citata e giustamente celebrata raccolta del 1910. Successivamente Moretti abbandonò la poesia per dedicarsi in modo assiduo alla prosa narrativa; soltanto negli anni della vecchiaia tornò a pubblicare altre raccolte di versi, che certamente non posseggono le attrattive delle precedenti.

Poesie scritte col lapis comprende in tutto 68 componimenti poetici, suddivisi nelle seguenti sezioni: Il mondo; Le domeniche; Signorine di provincia; Nostalgia; Hortulus animulae; Alcune poesie scritte con la penna. Nella prima di queste, il titolo spiega solo parzialmente il contenuto; nei versi qui presenti, infatti, viene descritto un mondo del tutto soggettivo, immerso nel grigiore di una quotidianità senza alcuna attrattiva, dove la noia, la sensazione della propria inutilità e di una evidentemente percepita inadeguatezza al vivere, dominano su tutto il resto. Il discorso non cambia nella seconda sezione, dedicata alle domeniche: tema così caro a certi poeti simbolisti e decadenti come Georges Rodenbach e Jules Lafourge; qui si trovano alcune tra le poesie più antologizzate di Moretti, come La domenica della signora Lalla, in cui il poeta ricorda con struggente malinconia la sua maestra di scuola. Nella terza sezione divengono protagoniste le "signorine di provincia": giovani donne che il poeta ha conosciuto e a cui, in qualche modo, ancora si sente parecchio legato. In Nostalgia, si trovano i versi più malinconici, pregni di ricordi lontani (per lo più dell'infanzia) e felici; Moretti aguzza la memoria e sciorina una serie di personaggi, oggetti e luoghi che gli sono rimasti impressi; è un mondo favoloso, in cui il poeta riesce ancora ad immedesimarsi, rivivendo la sua fanciullezza tramite la scrittura. Nella sezione intitolata Hortulus animulae, sono presenti poesie di vario genere: alcune, come Suor Benedetta, decisamente tragiche, ed altre, come Il mondo e mia sorella o Riderella, scherzose e allegre; qui si trova anche il poema Il giorno dei morti, che ricorda molto l'omonimo componimento del Pascoli: poeta fondamentale per Moretti, sia in questa raccolta che nelle precedenti e successive. Chiude il libro la sezione Alcune poesie scritte con la penna, dove si nota la presenza di sonetti e quartine che mostrano una maggiore seriosità rispetto al resto della raccolta.

A titolo di riassunto, si possono identificare alcuni temi portanti delle Poesie scritte col lapis: la noia, le domeniche, la provincia, la famiglia. In un mondo provinciale chiuso, grigio e noioso, dove anche i giorni di festa trascorrono senza impeto e gioia, il poeta trova scampo al suo malessere cronico grazie a specifiche evasioni intellettuali, che si indirizzano verso i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza; ma ha la sua importanza anche l'ambiente famigliare, poiché soltanto qui egli ritrova gli affetti veri e insostituibili, che gli garantiscono quel minimo di serenità e gli consentono di proseguire il tormentato percorso esistenziale senza cadere nella disperazione. Grazie a questo volume, Moretti diverrà il poeta crepuscolare per eccellenza, avendo rielaborato in modo sintetico e ineccepibile, i temi dei poeti - sodali o amici - che lo avevano preceduto: Govoni, Corazzini e Gozzano.

Dopo l'edizione del 1910, a quanto ne so, è stata pubblicata solamente un'altra che si può definire perfettamente fedele all'originale; da essa, ho estratto due tra le poesie più ricordate e più antologizzate del poeta romagnolo.

 

 


 

CHE VALE?

 

Chinar la testa che vale,

che vale fissare il sole

e unir parole a parole

se la vita è sempre uguale?

 

Si discorre d'avvenire?

Si rammemora il passato?

Chi è vivo deve morire,

chi è morto è bell'e spacciato!

 

Poeti, dolci fratelli,

perché far tanto susurro

se un lembo di cielo è azzurro,

se son biondi dei capelli?

 

Un po' d'azzurro (che vale?)

ed un po' d'oro, un riflesso

d'oro... Ma il mondo è lo stesso,

ma la vita è sempre uguale!

 

Non c'è né duolo, né gioia,

non c'è né odio, né amore:

nulla! Non c'è che un colore:

il grigio, e un tarlo: la noia.

 

Chinar la testa che vale?

Che vale fissare il sole?

Ciò che vorresti non vuole

quei ch'è più forte, o mortale!

 

Non c'è né duolo, né gioia,

non ci son luci, né ombre:

il grigio, il grigio che incombe

sui cuori, e il tarlo: la noia!

 

Questa è la strada del bene,

questa è la strada del male:

star troppo a sceglier che vale?

Peuh! Quella che viene, viene!

 

(da "Poesie scritte col lapis", Palomar, Bari 1992, pp. 20-21)

 

 

 

 

LA DOMENICA

 

Chinar la testa che vale?

E che vai nova fermezza?

Io sento in me la stanchezza

del giorno domenicale;

 

del giorno in cui non si fa nulla

fuorché il triste cuore sperso,

e in cima alla mente un verso

troppo noto che ci culla;

 

del giorno in cui, spento ogni

rumore, la casa è vuota,

in cui la pupilla immota

non intravede più sogni.

 

Chinar la testa che vale?

Vive meglio col suo niente

il buon uomo che si sente

di non poter fare il male,

 

e non sente l'infinita

ampiezza dell'irreale,

e vive senza ideale

come un servo della vita!

 

La suora che nel convento

perdoni e salvezze implora

pensa alla vita d'allora

con improvviso sgomento;

 

la madre che à lungi il figlio

e che non sa dove sia,

pensa ch'ei sia su la via

del male, senza giaciglio;

 

l'amante, pieno di ardore,

che attese presso una chiesa

si logorò nell'attesa

tutto il suo giovane cuore,

 

ma il malato, a cui concesso

fu di stare nel cortile,

sente che l'autunno è aprile,

si consola da sé stesso;

 

il malato a cui è tanto

caro l'umile fil d'erba

ed a cui l'autunno serba

un primaverile incanto,

 

una dolcezza novella

fatta di gialle corolle,

una soavità molle,

un'indistinta favella!...

 

Chinar la testa che vale?

e che vai nova fermezza?

Io sento in me la tristezza

del giorno domenicale,

 

che declina in un vapore

grigio nella lontananza

senza che alcuna speranza

doni al mio povero cuore.

 

(da "Poesie scritte col lapis", Palomar, Bari 1992, pp. 47-49)

 

domenica 21 marzo 2021

Poeti dimenticati: Felice Soffrè

 

Nacque a Delianuova (Reggio Calabria) nel 1861 e morì a Scido nel 1927. A causa di una malattia agli occhi, che gli procurò un serio abbassamento della vista, non potè completare gli studi; autodidatta, usufruì dell'aiuto di amici e familiari per poter arricchire la sua cultura personale. In giovane età cominciò a pubblicare versi in varie riviste, e già dal 1884 venne dato alle stampe un suo volume poetico. Poeta tradizionalista e intimista, Soffrè scrisse versi che spesso descrivono ricordi (luoghi della terra natale, figure ed emozioni) appartenenti al periodo adolescenziale, quando i suoi occhi ancora potevano osservare le meraviglie della natura che lo circondava, così come i volti delle persone a lui più care; meno presenti ma più affascinanti sono le liriche in cui il poeta si dedica a riflessioni ed a meditazioni sull'esistenza. La poesia di Soffrè rivela diverse suggestioni, e trae molti spunti sia da alcuni poeti italiani minori del secondo Ottocento (Marradi, Panzacchi, Gnoli ecc.), sia da Giovanni Pascoli.

 

 

 

 

Opere poetiche

 

"Primi versi", Tip. Caruso, Reggio Calabria 1884.

"Primole", Tip. Ed. La Società Laziale, Roma 1892.

"Versi", Giannotta, Catania 1900.

"Fragili", Giannotta, Catania 1908.

"Ultime foglie", Ausonia, Roma 1920.

"Poesie", Tipografia P. Filogamo, Reggio Calabria 1963.

 

 


 

 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 376-378).

 

 

 

 

Testi

 

 

 

ALLE ORE

 

Ore, cascata senza sorgente,

che nell'abisso precipitate

del tempo, quando saranno spente

tutte le vite, come ora fate,

l'una poi l'altra, ruinerete

nella vorago che non ha fondo;...

sempre. Ma allora che sognerete?

Non vi saranno più cuori al mondo.

Segnar le tappe quando faranno

nella gran notte del mondo i voli,

o quando ciechi gli astri urteranno

dando scintille che saran soli?...

Voi creò l'uomo pei suoi dolori,

per le sue gioie; l'esile dito

della lancetta sol giova ai cuori;

non vi son tappe nell'infinito.

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 86)

 

 

 

 

NEL RIDESTARMI

 

Strano; ma adesso mi par bello il mondo,

e l'aborrivo ieri.

Quanto ho dormito! e che sonno profondo!...

Anima mia, dov'eri?

 

Dov'eri, mentre come spugna in mare

nei suoi meandri il core

flusso e riflusso avea senza provare

desiderj, o dolori?

 

Dov'eri, mentre la mia mente sorda

si facea di pensieri,

come armonica a cui non si dà corda.

Anima mia, dov'eri?

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 104)

 

 

 

 

VECCHIO CUORE

 

Verso la morte con le spalle andiamo,

volta la faccia là donde passammo,

sì che il nuovo cammino ignoriamo,

e ignoreremo, come l'ignorammo.

 

E da lungi le rose vediamo

che cogliere passando non curammo

e vorremmo tornare e non possiamo

rifar la vita su cui ci affaticammo,

 

invano!... la vita scabra ci sospinge

nolenti verso le muraglie nere

alla cui porta vigila la sfinge;

 

e il cuor che affanna dubita: - Chi sa?

pur quelle rose forse non son vere...

solo è un miraggio la felicità.

 

(da "Poesie", Tip. Filogamo, Reggio Calabria 1963, p. 246)