domenica 14 marzo 2021

Le fotografie in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Scattare una foto ad un obiettivo preciso, che sia un paesaggio, un oggetto, un animale, una pianta o un essere umano, equivale ad immortalarlo. Quante fotografie, scattate più di cent'anni or sono e conservate adeguatamente, possono ancora essere osservate in tutta la loro magnificenza! Nei tempi anteriori alla scoperta della fotografia, erano gli artisti a rendere immortale qualunque figura vivente o meno, visibile sul nostro pianeta; e tutt'ora lo fanno, malgrado esista la sorprendente e straordinaria possibilità di riprodurre qualunque realtà fisica in modo perfetto, grazie, appunto alla fotografia. Da più di un secolo, essa, come il cinema, è divenuta una vera e propria forma artistica, che si aggiunge in modo prepotente a quelle già esistenti. Ma, almeno personalmente, ciò che mi piace maggiormente di questa arte o, meglio, di questa tecnologia, è la possibilità di riguardare vecchie foto che mi sono rimaste nel cuore: me bambino, i genitori e i parenti scomparsi, gli animali domestici, i compagni di scuola, i luoghi dove ho vissuto periodi felici... Così, nascono gli album fotografici, dove si inseriscono le istantanee che guardiamo di più, e che entrano di diritto nella storia della nostra vita: importante o insignificante che sia. Oggi, anche il modo di fare una fotografia è cambiato totalmente: gli smartphone - questi oggetti ormai indispensabili per fare qualunque cosa - hanno già da alcuni anni sostituito la vecchia macchina fotografica; se, grazie a questi moderni mezzi tecnologici, c'è un chiaro guadagno in praticità e in semplicità, è altrettanto vero che si è persa quell'emozione imparagonabile data dalla vecchia procedura che richiedeva lo scattare una foto (per non parlare del fascino e del maggiore valore artistico delle foto in bianco e nero). Ma i tempi  cambiano, e le nuove generazioni, fra un po' di anni, si meraviglieranno quando vedranno per la prima volta delle foto stampate sulla carta, così come si meravigliò la mia, nel constatare che, nel secolo XIX, esisteva un procedimento chiamato dagherrotipia, quanto mai industrioso e complicato, che era l'unico di allora per poter sviluppare delle immagini.

 

 LE FOTOGRAFIE IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

DA UNA FOTOGRAFIA

di Sibilla Aleramo (pseud. di Marta Felicina Faccio, 1876-1960)

 

Un piccolo rettangolo di carta platinata,

l'imagine a toni grigi d'un ciglio di monte,

a sera, contro un cielo di bioccoli di seta.

E tagliano monte e cielo due righe,

sembrano righe di musica,

sono su due fili del telegrafo rondini ferme,

noticine nere, nere distanti nere vicine,

rondini, tante, dissimili tutte,

inserite nel doppio grigio della sera,

e sembrano due righe di musica.

 

(da "Momenti", Bemporad, Firenze 1921, p. 115)

 

 

 

 

LA FOTOGRAFIA

di Alfredo Baccelli (1863-1955)

 

Con l'artiglio di schiume insulta il mare

la rupe, che, grondante, si protende,

e dell'oro del sole avvampa e splende:

un pino sembra attonito guardare.

 

Un estèta s'attarda a rimirare,

e tra la folla, sotto bianche tende,

lo Zeiss puntato, quella vista intende,

tutto in affanno, a ben fotografare.

 

Tac! È fatta. Che gioia ha dentro gli occhi!

D'avere in tasca un pezzo d'Universo

crede, e, partendo, è freccia che si scocchi.

 

Così noi siamo tutti. E non sapremo

che la vita inseguire è tempo perso?

Il mondo in noi non è: mai non l'avremo.

 

(da «Quaderni di poesia», dicembre 1933)

 

 

 

 

KODAK

di Giorgio Caproni (1912-1990)

 

  Mia figlia come una fidanzata.

 

  Ah vacanza, seduti

all'ombra d'una verde arcata

della Tour Eiffel.

 

                  Parliamo

di nulla.

         O ce ne stiamo muti.

Roma è lontana.

 

               Un passero.

 

  Una coppia eccitata

che scrive una cartolina.

 

  Tutto uno squillante stormo

(ci uniamo) di saluti.

 

(da "Poesie 1932-1986", Garzanti, Milano 1993, p. 765)

 

 

 

 

L' ISTANTANEA

di Guelfo Civinini (1873-1954)

 

Voi non vedeste che stamattina

appena usciti dal cheto albergo

di quel dolcissimo primo convegno,

mentre io stringeva la piccolina

mano odorosa che d'ogni usbergo,

cedendo alfine, sciolse il ritegno,

 

e il vezzo d'ambra soavemente

del seno il tenro ritmo moveva,

voi non sapete che la perfidia

d'un Pocket Kodak impertinente

una biondissima miss rivolgeva

sul nostro idillio, come un'insidia.

 

Così la piccola fotografia,

fra un idoletto d'incerta lega

sotto la patina d'antichità

e un vecchio vaso di farmacia

tolto dal fondo della bottega

d'un mercante di bric-à-brac,

 

andrà lontano, lontano assai:

e nella casa dell'inglesina,

in un salotto sovra il Tamigi

freddo e nebbioso, non vedrà mai

il sole biondo di stamattina

romper ridendo dai cieli grigi.

 

(da "L'urna", Dante Alighieri, Roma 1900, pp. 81-84)

 

 

 

 

SON IO?

di Luigi Crociato (pseud. di Luigi Krischan Wurmberg, 1870-1935)

 

«Sei tu! Sdoppiato! Vivo!» si ridice

a perdifiato.

Rido, e dico a l'immagine felice

del risultato:

 

«Maschera model, fotografia

del carnevale;

nel ritrarmi si aveva l'albagia

di farmi tale!

 

Tali saran la fronte, il naso, il ceffo

da semplicione;

tali forse son gli occhi, se non beffo,

d'un buon santone.

 

Ma quel tale son io? Di me soltanto

sei l'ironia;

d'un giorno vano tu mi sei il rimpianto

e l'avarìa.

 

In te, se pur non vedo la fattura

d'un'Afrodite,

sento ancor meno assai la mia natura

di dinamite.

 

A chi ti guarda, o immagine, dir sembri:

- Ecco il pagliaccio! -

Sta ben che alcuno te così rimembri,

testa di ghiaccio!»

 

Villan chi sputa; stolto chi lingueggia,

chi sbuccia il vero;

più che sculta, talor, val pietra greggia:

vale il mistero!

 

(da "Le Ultime Liriche", Tipografia Moderna di Trieste, 1969, pp. 51-53)

 

 

 

  

FOTOGRAFIA

di Valerio Magrelli (1957)

 

È che lo scatto recide l'ombelico

della luce. Recide, quella forbice,

il filamento lento e lungo dello

sguardo, budello

del nutrimento, separa

perché l'immagine

venga al mondo dividendosi

dalla madre.

E quella pupa d'ombra,

quel bozzolo, è la cesta

lasciata a galleggiare sulle acque

per mettere in salvo la forma.

 

(da "Didascalie per la lettura di un giornale", Einaudi, Torino 1999, p. 58)

 

 

 

 

LETTERA

di Nelo Risi (1920-2015)

 

Ho un'immagine di te tra le mie carte

e i libri che comprammo...

                                          era l'età

felice delle rose, aprile maggio

giugno, di là dal vetro di veranda

i cigni popolavano il tuo lago

e un volo in un istante ricreava

il vero in un romantico paesaggio;

o forse autunno tra giardini d'ombra

con un vento che accumula le foglie

verso sera, a La Tour... ma è tanto antica

la tua fotografia, che non mi aiuta?

 

(da "Poesia d'amore del '900", Mondadori, Milano 1992, p. 435)

 

 

 

 

FOTOGRAFIA

di Umberto Saba (pseud. di Umberto Poli, 1883-1957)

 

Questo volto che indurano gli affanni

ed il tempo, e tu a volo,

Nora, gentile fotografa, hai colto;

è il mio, tu dici. – Io, se mi vedo, è solo

morto. O ragazzo di quindici anni.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 612)

 

 

 

 

PER UNA FOTOGRAFIA DI TE GIOVANE

di Francesco Tentori (1924-1995)

 

 

Affacciata al balcone della vita

sorridi - non a me, di me non sai

il nome né le contrade che vedono

il pio passo consumare le vie -

sorridi dalla primavera schiusa

nei rossi gialli lilla della veste

tagliata a metà braccio dove posa

la mano e sfiora forse una parvenza

che si disegna appena nella luce

declinante: sorridi, non concedi

atro di te che l'attesa e il sospiro.

 

(da "Migrazioni", Passigli, Firenze 1997, p. 118)

 

 

 

 

RIGUARDANDO UNA TUA FOTOGRAFIA

di Alberto Viviani (1894-1970)

 

Oggi proprio di Martedì

ò pensato

di riguardare una tua fotografia

per avere un'idea precisa

di quanto io ti ò amato.

Ò guardato, ò guardato,

ò contato

anche sui diti

ma non ò sommato.

C'era una piccola macchia d'inchiostro

su un lato

che mi à distratto:

e così mi à fatto dimenticare

quanto ti avevo amato

e quanto ti dovevo amare.

 

(da "Rose d'argento", Tip. Galileiana, Firenze 1916, p. 79)

 




domenica 7 marzo 2021

La nobiltà nella poesia italiana decadente e simbolista

 

In questi versi, numericamente prevalgono i re e le regine, seguiti dai principi e dalle principesse; a parte qualche barone, il resto dei titoli nobiliari è pressoché assente. Le regine sono descritte in vario modo: pensose, disperate o libidinose, quasi sempre si rivelano sofferenti e, in qualche caso, muoiono. Non vale lo stesso discorso per i re, descritti durante le loro occupazioni preferite o - in un'aura di fiaba - alla stessa stregua degli dei; fa eccezione Lucini, che dà la parola ad un re colmo d'ira e di disperazione: quasi al limite della pazzia. I principi invece, spesso si trovano in luoghi isolati, seppur circondati da esseri viventi curiosi, che li spiano. Anche le principesse, più rare, vivono situazioni d' un isolamento forzato, che è dovuto a problemi fisici. Tito Marrone, infine, dedica una poesia alle uniche nobildonne presenti nella Chanson de Roland, ponendo l'attenzione al lato più tragico dell'opera in versi scritta durante il medioevo, che appartiene alla migliore tradizione popolare francese.

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Saba" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Ugo Betti: "Il figlio del re" e "La principessina cieca" in "Il Re pensieroso" (1922).

Enrico Cavacchioli: "La regina adultera" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Cosimo Giorgieri Contri: "La caccia" in "Il convegno dei cipressi" (1894).

Corrado Govoni "Gli uomini e i cani del re" in "Gli aborti" (1907).

Gian Pietro Lucini: "I Baroni" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).

Gian Pietro Lucini: "Il Re" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).

Enzo Marcellusi: "Il re" in "I canti violetti" (1912).

Tito Marrone: "Alda e Braminonda" in «Rivista di Roma», ottobre 1905.

Aldo Palazzeschi: "Il figlio d'un Re" in "I cavalli bianchi" (1905).

Aldo Palazzeschi: "Il Principe Bianco" e "La principessa bianca" in "Lanterna" (1907).

Aldo Palazzeschi: "Regina Paolina", "Regina Carmela" e "Regina Carlotta" in "Poemi" (1909).

Antonio Rubino: "La Regina che non dorme" in «Poesia», ottobre 1908.

Carlo Vallini: "L'offerta del Re" in "Un giorno e altre poesie" (1967).

Remigio Zena: "Il mio nome è Cristiana..." in "Le Pellegrine" (1894).

 

 

 

 Testi

 

 

 IL RE

di Gian Pietro Lucini

 

I.

«Ahi, sono il Re, son la Dominazione,

triste di vecchie Torri e di Palazzi.

Antico nome! Io vidi sulli arazzi

scolorirsi le imprese a compassione;

vidi cader le pietre del bastione

nel fango della gora. Anche i topazzi

smuntano al serto, e m'irridono i lazzi

sanguinosi del garrulo buffone.

 

Ahi! vecchio nome: delle Principesse

forse nate da me, non mi ricordo,

cercano filtri dalle Pitonesse

e incantano alla mia prossima morte;

son troppo stanco, ahimè!... quel lieve accordo

d'arpa giovane e sana oltre le porte,

 

II.

queste ferre porte del maniero!

Non vogliate suonar gioja ai festini!

Vecchio Re, vecchio Re! torbido e latero.

Ma io sono la Patria; io sui destini

siedo; a me la zagaglia ed il cimiero.

Son la Città, le Dame ed i Bambini,

la Legge!.. Oh il biondo imberbe cavaliero...

Via, Paggio, tra le Belle a inocui inchini.

 

E queste Principesse... e questi canti?

Ma chiudete nel carcere le bionde

creature mal nate. Ahi! Nell'incanti

d'un bieco strangolar non ho io visto

delle mani liliali, erte e gioconde

stendersi gloriose al grande acquisto?»

 

III.

Tutti mi odiano qui?... Non me ne importa.

Io porto tutto l'oro del paese

dentro al cuore. Chi è là? Che fa la scorta?

Perché s'arruginisce il mio palvese?

Flora, sei troppo bella! Alcun ti ha scorta

nel bagno forse, od un Barone inglese

s'immagò de' tuoi occhi? Oh! questa porta

che stride, Flora!... Chiudi. No, senza difese,

 

povero vecchio! Ma volete sgozzarmi?...

Io porto tutto il Mondo dentro al cuore

ma bevetemi il sangue, tutto il sangue!

Il Boja, il Boja, li Alabardieri, l'armi...

Flora, mia dolce; un veleno;.. oh quel fiore

turgido come un bimbo... e chi langue

 

IV.

la forca, Boja!.. No; non bestemmiate.

Perché vi son dei giovani? La vita

non termina con me? L'arrubinate

labra di Flora stillano un'ardita

malia d'intenzioni; l'ingemmate

mamme voglion dei bimbi. L'Archimandrita

mi sposerà con lei: oh, superate,

sfondate la Torre... Oh la sparita

 

Flora in un lago di sangue! Pietà!

Non vogliate sgozzarmi; son pazzo,

verrò con voi, coi giovani; ho paura;

sono cieco, son sordo, in una oscura

notte che non ha fine, e il mio palazzo

suda veleni, incesti... Via!... Chi è là?!..»


 (da "Il Libro delle Imagini Terrene")

 

 

 

 

 

LA REGINA CHE NON DORME

di Antonio Rubino

 

Su pel cielo in funerei trofei

la conglobata caligine dorme:

varcano l'aria invisibili torme

sciamando forte come scarabei.

 

Ora che l'Ombra attinge con l'enorme

chioma l'arco, non è chi veda Lei,

ma bene sente gli occhi medusei

dell'Ombra la Regina che non dorme.

 

Morsa dal desiderio che non dorme,

poi che il cuore le torcano gl'incubi,

ripete ella il suo lungo urlo uniforme;

 

ma la morta città dei mausolei

è vuota d'echi. Muovono le nubi

su pel cielo fantastici imenei.

 

(dalla rivista «Poesia», ottobre 1908)

 

 

Gustav Klimt, "Porträt der Baroness Elisabeth Bachofen-Echt"
(da questa pagina web)