domenica 14 marzo 2021

Le fotografie in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Scattare una foto ad un obiettivo preciso, che sia un paesaggio, un oggetto, un animale, una pianta o un essere umano, equivale ad immortalarlo. Quante fotografie, scattate più di cent'anni or sono e conservate adeguatamente, possono ancora essere osservate in tutta la loro magnificenza! Nei tempi anteriori alla scoperta della fotografia, erano gli artisti a rendere immortale qualunque figura vivente o meno, visibile sul nostro pianeta; e tutt'ora lo fanno, malgrado esista la sorprendente e straordinaria possibilità di riprodurre qualunque realtà fisica in modo perfetto, grazie, appunto alla fotografia. Da più di un secolo, essa, come il cinema, è divenuta una vera e propria forma artistica, che si aggiunge in modo prepotente a quelle già esistenti. Ma, almeno personalmente, ciò che mi piace maggiormente di questa arte o, meglio, di questa tecnologia, è la possibilità di riguardare vecchie foto che mi sono rimaste nel cuore: me bambino, i genitori e i parenti scomparsi, gli animali domestici, i compagni di scuola, i luoghi dove ho vissuto periodi felici... Così, nascono gli album fotografici, dove si inseriscono le istantanee che guardiamo di più, e che entrano di diritto nella storia della nostra vita: importante o insignificante che sia. Oggi, anche il modo di fare una fotografia è cambiato totalmente: gli smartphone - questi oggetti ormai indispensabili per fare qualunque cosa - hanno già da alcuni anni sostituito la vecchia macchina fotografica; se, grazie a questi moderni mezzi tecnologici, c'è un chiaro guadagno in praticità e in semplicità, è altrettanto vero che si è persa quell'emozione imparagonabile data dalla vecchia procedura che richiedeva lo scattare una foto (per non parlare del fascino e del maggiore valore artistico delle foto in bianco e nero). Ma i tempi  cambiano, e le nuove generazioni, fra un po' di anni, si meraviglieranno quando vedranno per la prima volta delle foto stampate sulla carta, così come si meravigliò la mia, nel constatare che, nel secolo XIX, esisteva un procedimento chiamato dagherrotipia, quanto mai industrioso e complicato, che era l'unico di allora per poter sviluppare delle immagini.

 

 LE FOTOGRAFIE IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

DA UNA FOTOGRAFIA

di Sibilla Aleramo (pseud. di Marta Felicina Faccio, 1876-1960)

 

Un piccolo rettangolo di carta platinata,

l'imagine a toni grigi d'un ciglio di monte,

a sera, contro un cielo di bioccoli di seta.

E tagliano monte e cielo due righe,

sembrano righe di musica,

sono su due fili del telegrafo rondini ferme,

noticine nere, nere distanti nere vicine,

rondini, tante, dissimili tutte,

inserite nel doppio grigio della sera,

e sembrano due righe di musica.

 

(da "Momenti", Bemporad, Firenze 1921, p. 115)

 

 

 

 

LA FOTOGRAFIA

di Alfredo Baccelli (1863-1955)

 

Con l'artiglio di schiume insulta il mare

la rupe, che, grondante, si protende,

e dell'oro del sole avvampa e splende:

un pino sembra attonito guardare.

 

Un estèta s'attarda a rimirare,

e tra la folla, sotto bianche tende,

lo Zeiss puntato, quella vista intende,

tutto in affanno, a ben fotografare.

 

Tac! È fatta. Che gioia ha dentro gli occhi!

D'avere in tasca un pezzo d'Universo

crede, e, partendo, è freccia che si scocchi.

 

Così noi siamo tutti. E non sapremo

che la vita inseguire è tempo perso?

Il mondo in noi non è: mai non l'avremo.

 

(da «Quaderni di poesia», dicembre 1933)

 

 

 

 

KODAK

di Giorgio Caproni (1912-1990)

 

  Mia figlia come una fidanzata.

 

  Ah vacanza, seduti

all'ombra d'una verde arcata

della Tour Eiffel.

 

                  Parliamo

di nulla.

         O ce ne stiamo muti.

Roma è lontana.

 

               Un passero.

 

  Una coppia eccitata

che scrive una cartolina.

 

  Tutto uno squillante stormo

(ci uniamo) di saluti.

 

(da "Poesie 1932-1986", Garzanti, Milano 1993, p. 765)

 

 

 

 

L' ISTANTANEA

di Guelfo Civinini (1873-1954)

 

Voi non vedeste che stamattina

appena usciti dal cheto albergo

di quel dolcissimo primo convegno,

mentre io stringeva la piccolina

mano odorosa che d'ogni usbergo,

cedendo alfine, sciolse il ritegno,

 

e il vezzo d'ambra soavemente

del seno il tenro ritmo moveva,

voi non sapete che la perfidia

d'un Pocket Kodak impertinente

una biondissima miss rivolgeva

sul nostro idillio, come un'insidia.

 

Così la piccola fotografia,

fra un idoletto d'incerta lega

sotto la patina d'antichità

e un vecchio vaso di farmacia

tolto dal fondo della bottega

d'un mercante di bric-à-brac,

 

andrà lontano, lontano assai:

e nella casa dell'inglesina,

in un salotto sovra il Tamigi

freddo e nebbioso, non vedrà mai

il sole biondo di stamattina

romper ridendo dai cieli grigi.

 

(da "L'urna", Dante Alighieri, Roma 1900, pp. 81-84)

 

 

 

 

SON IO?

di Luigi Crociato (pseud. di Luigi Krischan Wurmberg, 1870-1935)

 

«Sei tu! Sdoppiato! Vivo!» si ridice

a perdifiato.

Rido, e dico a l'immagine felice

del risultato:

 

«Maschera model, fotografia

del carnevale;

nel ritrarmi si aveva l'albagia

di farmi tale!

 

Tali saran la fronte, il naso, il ceffo

da semplicione;

tali forse son gli occhi, se non beffo,

d'un buon santone.

 

Ma quel tale son io? Di me soltanto

sei l'ironia;

d'un giorno vano tu mi sei il rimpianto

e l'avarìa.

 

In te, se pur non vedo la fattura

d'un'Afrodite,

sento ancor meno assai la mia natura

di dinamite.

 

A chi ti guarda, o immagine, dir sembri:

- Ecco il pagliaccio! -

Sta ben che alcuno te così rimembri,

testa di ghiaccio!»

 

Villan chi sputa; stolto chi lingueggia,

chi sbuccia il vero;

più che sculta, talor, val pietra greggia:

vale il mistero!

 

(da "Le Ultime Liriche", Tipografia Moderna di Trieste, 1969, pp. 51-53)

 

 

 

  

FOTOGRAFIA

di Valerio Magrelli (1957)

 

È che lo scatto recide l'ombelico

della luce. Recide, quella forbice,

il filamento lento e lungo dello

sguardo, budello

del nutrimento, separa

perché l'immagine

venga al mondo dividendosi

dalla madre.

E quella pupa d'ombra,

quel bozzolo, è la cesta

lasciata a galleggiare sulle acque

per mettere in salvo la forma.

 

(da "Didascalie per la lettura di un giornale", Einaudi, Torino 1999, p. 58)

 

 

 

 

LETTERA

di Nelo Risi (1920-2015)

 

Ho un'immagine di te tra le mie carte

e i libri che comprammo...

                                          era l'età

felice delle rose, aprile maggio

giugno, di là dal vetro di veranda

i cigni popolavano il tuo lago

e un volo in un istante ricreava

il vero in un romantico paesaggio;

o forse autunno tra giardini d'ombra

con un vento che accumula le foglie

verso sera, a La Tour... ma è tanto antica

la tua fotografia, che non mi aiuta?

 

(da "Poesia d'amore del '900", Mondadori, Milano 1992, p. 435)

 

 

 

 

FOTOGRAFIA

di Umberto Saba (pseud. di Umberto Poli, 1883-1957)

 

Questo volto che indurano gli affanni

ed il tempo, e tu a volo,

Nora, gentile fotografa, hai colto;

è il mio, tu dici. – Io, se mi vedo, è solo

morto. O ragazzo di quindici anni.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 612)

 

 

 

 

PER UNA FOTOGRAFIA DI TE GIOVANE

di Francesco Tentori (1924-1995)

 

 

Affacciata al balcone della vita

sorridi - non a me, di me non sai

il nome né le contrade che vedono

il pio passo consumare le vie -

sorridi dalla primavera schiusa

nei rossi gialli lilla della veste

tagliata a metà braccio dove posa

la mano e sfiora forse una parvenza

che si disegna appena nella luce

declinante: sorridi, non concedi

atro di te che l'attesa e il sospiro.

 

(da "Migrazioni", Passigli, Firenze 1997, p. 118)

 

 

 

 

RIGUARDANDO UNA TUA FOTOGRAFIA

di Alberto Viviani (1894-1970)

 

Oggi proprio di Martedì

ò pensato

di riguardare una tua fotografia

per avere un'idea precisa

di quanto io ti ò amato.

Ò guardato, ò guardato,

ò contato

anche sui diti

ma non ò sommato.

C'era una piccola macchia d'inchiostro

su un lato

che mi à distratto:

e così mi à fatto dimenticare

quanto ti avevo amato

e quanto ti dovevo amare.

 

(da "Rose d'argento", Tip. Galileiana, Firenze 1916, p. 79)

 




domenica 7 marzo 2021

La nobiltà nella poesia italiana decadente e simbolista

 

In questi versi, numericamente prevalgono i re e le regine, seguiti dai principi e dalle principesse; a parte qualche barone, il resto dei titoli nobiliari è pressoché assente. Le regine sono descritte in vario modo: pensose, disperate o libidinose, quasi sempre si rivelano sofferenti e, in qualche caso, muoiono. Non vale lo stesso discorso per i re, descritti durante le loro occupazioni preferite o - in un'aura di fiaba - alla stessa stregua degli dei; fa eccezione Lucini, che dà la parola ad un re colmo d'ira e di disperazione: quasi al limite della pazzia. I principi invece, spesso si trovano in luoghi isolati, seppur circondati da esseri viventi curiosi, che li spiano. Anche le principesse, più rare, vivono situazioni d' un isolamento forzato, che è dovuto a problemi fisici. Tito Marrone, infine, dedica una poesia alle uniche nobildonne presenti nella Chanson de Roland, ponendo l'attenzione al lato più tragico dell'opera in versi scritta durante il medioevo, che appartiene alla migliore tradizione popolare francese.

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Saba" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Ugo Betti: "Il figlio del re" e "La principessina cieca" in "Il Re pensieroso" (1922).

Enrico Cavacchioli: "La regina adultera" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Cosimo Giorgieri Contri: "La caccia" in "Il convegno dei cipressi" (1894).

Corrado Govoni "Gli uomini e i cani del re" in "Gli aborti" (1907).

Gian Pietro Lucini: "I Baroni" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).

Gian Pietro Lucini: "Il Re" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).

Enzo Marcellusi: "Il re" in "I canti violetti" (1912).

Tito Marrone: "Alda e Braminonda" in «Rivista di Roma», ottobre 1905.

Aldo Palazzeschi: "Il figlio d'un Re" in "I cavalli bianchi" (1905).

Aldo Palazzeschi: "Il Principe Bianco" e "La principessa bianca" in "Lanterna" (1907).

Aldo Palazzeschi: "Regina Paolina", "Regina Carmela" e "Regina Carlotta" in "Poemi" (1909).

Antonio Rubino: "La Regina che non dorme" in «Poesia», ottobre 1908.

Carlo Vallini: "L'offerta del Re" in "Un giorno e altre poesie" (1967).

Remigio Zena: "Il mio nome è Cristiana..." in "Le Pellegrine" (1894).

 

 

 

 Testi

 

 

 IL RE

di Gian Pietro Lucini

 

I.

«Ahi, sono il Re, son la Dominazione,

triste di vecchie Torri e di Palazzi.

Antico nome! Io vidi sulli arazzi

scolorirsi le imprese a compassione;

vidi cader le pietre del bastione

nel fango della gora. Anche i topazzi

smuntano al serto, e m'irridono i lazzi

sanguinosi del garrulo buffone.

 

Ahi! vecchio nome: delle Principesse

forse nate da me, non mi ricordo,

cercano filtri dalle Pitonesse

e incantano alla mia prossima morte;

son troppo stanco, ahimè!... quel lieve accordo

d'arpa giovane e sana oltre le porte,

 

II.

queste ferre porte del maniero!

Non vogliate suonar gioja ai festini!

Vecchio Re, vecchio Re! torbido e latero.

Ma io sono la Patria; io sui destini

siedo; a me la zagaglia ed il cimiero.

Son la Città, le Dame ed i Bambini,

la Legge!.. Oh il biondo imberbe cavaliero...

Via, Paggio, tra le Belle a inocui inchini.

 

E queste Principesse... e questi canti?

Ma chiudete nel carcere le bionde

creature mal nate. Ahi! Nell'incanti

d'un bieco strangolar non ho io visto

delle mani liliali, erte e gioconde

stendersi gloriose al grande acquisto?»

 

III.

Tutti mi odiano qui?... Non me ne importa.

Io porto tutto l'oro del paese

dentro al cuore. Chi è là? Che fa la scorta?

Perché s'arruginisce il mio palvese?

Flora, sei troppo bella! Alcun ti ha scorta

nel bagno forse, od un Barone inglese

s'immagò de' tuoi occhi? Oh! questa porta

che stride, Flora!... Chiudi. No, senza difese,

 

povero vecchio! Ma volete sgozzarmi?...

Io porto tutto il Mondo dentro al cuore

ma bevetemi il sangue, tutto il sangue!

Il Boja, il Boja, li Alabardieri, l'armi...

Flora, mia dolce; un veleno;.. oh quel fiore

turgido come un bimbo... e chi langue

 

IV.

la forca, Boja!.. No; non bestemmiate.

Perché vi son dei giovani? La vita

non termina con me? L'arrubinate

labra di Flora stillano un'ardita

malia d'intenzioni; l'ingemmate

mamme voglion dei bimbi. L'Archimandrita

mi sposerà con lei: oh, superate,

sfondate la Torre... Oh la sparita

 

Flora in un lago di sangue! Pietà!

Non vogliate sgozzarmi; son pazzo,

verrò con voi, coi giovani; ho paura;

sono cieco, son sordo, in una oscura

notte che non ha fine, e il mio palazzo

suda veleni, incesti... Via!... Chi è là?!..»


 (da "Il Libro delle Imagini Terrene")

 

 

 

 

 

LA REGINA CHE NON DORME

di Antonio Rubino

 

Su pel cielo in funerei trofei

la conglobata caligine dorme:

varcano l'aria invisibili torme

sciamando forte come scarabei.

 

Ora che l'Ombra attinge con l'enorme

chioma l'arco, non è chi veda Lei,

ma bene sente gli occhi medusei

dell'Ombra la Regina che non dorme.

 

Morsa dal desiderio che non dorme,

poi che il cuore le torcano gl'incubi,

ripete ella il suo lungo urlo uniforme;

 

ma la morta città dei mausolei

è vuota d'echi. Muovono le nubi

su pel cielo fantastici imenei.

 

(dalla rivista «Poesia», ottobre 1908)

 

 

Gustav Klimt, "Porträt der Baroness Elisabeth Bachofen-Echt"
(da questa pagina web)


 

 

 

domenica 28 febbraio 2021

Omaggio personale alla poesia e alla prosa di Giacomo Leopardi


 


Sarebbe del tutto inutile aggiungere, in questo mio post, ulteriori, inutili parole alle tante, ben più importanti, che sono state dedicate all'opera poetica di Giacomo Leopardi. Per questo mi limiterò a sottolineare l'estrema importanza che ha avuto, per me, la poesia leopardiana, conosciuta già sui banchi della scuola media inferiore (che frequentavo nella seconda metà degli anni '70 del XX secolo), e approfondita negli anni successivi, grazie a nuovi e diversi libri scolastici. Quand'ero un adolescente timido, introverso e solitario, leggere alcuni dei versi scritti da Giacomo Leopardi, mi aiutò non poco; fu, per me, come scoprire un amico virtuale: un amico che mi ha preceduto di qualche secolo, ma che ebbi la fortuna di conoscere e di sentire vicino, malgrado la sua assenza. Devo anche aggiungere che grazie al Leopardi ho cominciato ad amare questo tipo di arte; e devo ammettere che la poesia, in precedenza, non mi attraeva più di tanto; proprio tramite la conoscenza dei migliori versi di Giacomo Leopardi, ebbi modo di capire che, grazie alla poesia, era possibile provare emozioni fortissime, scoprire che c'era un identico modo di pensare, amare, soffrire e vivere, tra un essere umano vissuto nella prima parte del XIX secolo e un altro (me stesso), che, non ancora maggiorenne, si era appena incamminato verso l'ultimo ventennio del XX secolo. Scoprii, insomma, che la poesia, la prosa e tutta l'arte in generale, hanno l'imparagonabile potere di unire generazioni vissute in epoche lontane e diversissime. Tra le liriche dello scrittore marchigiano che più mi piacquero ricordo Il sabato del villaggio, L'infinito, Alla luna, Il passero solitario, La quiete dopo la tempesta... Purtroppo, cogli anni, ho trascurato sempre di più i versi di Leopardi, attirato da altri poeti italiani; ciò non toglie che ancora oggi egli sia per me un poeta di fondamentale importanza.

Il mio omaggio a questo scrittore immortale e dotato di un talento veramente eccezionale si conclude con la trascrizione di tre suoi conosciutissimi capolavori, che poi sono quelli che ho amato e tutt'ora amo di più, seguiti da due frammenti in prosa estratti rispettivamente dai Pensieri e dallo Zibaldone.

 

 


 


 

IL PASSERO SOLITARIO

 

 D'in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finché non more il giorno;

Ed erra l'armonia per questa valle.

Primavera dintorno

Brilla nell'aria, e per li campi esulta,

Sì ch'a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

Gli altri augelli contenti, a gara insieme

Per lo libero ciel fan mille giri,

Pur festeggiando il lor tempo migliore:

Tu pensoso in disparte il tutto miri;

Non compagni, non voli,

Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;

Canti, e così trapassi

Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

 Ohimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

Della novella età dolce famiglia,

E te german di giovinezza, amore,

Sospiro acerbo de' provetti giorni,

Non curo, io non so come; anzi da loro

Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch'omai cede alla sera,

Festeggiar si costuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

Odi spesso un tonar di ferree canne,

Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.

Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell'aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica

Che la beata gioventù vien meno.

 Tu, solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto

Ogni vostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all'altrui core,

E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro

Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

Che di quest'anni miei? che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 33-34)

 

 

 

 

 ALLA LUNA

 

 O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l'anno, sovra questo colle

Io venia pien d'angoscia a rimirarti:

E tu pendevi allor su quella selva

Siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

Il tuo volto apparia, che travagliosa

Era mia vita: ed è, né cangia stile,

O mia diletta luna. E pur mi giova

La ricordanza, e il noverar l'etate

Del mio dolore. Oh come grato occorre

Nel tempo giovanil, quando ancor lungo

La speme e breve ha la memoria il corso,

Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l'affanno duri!

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 36)

 

 

 

 

IL SABATO DEL VILLAGGIO

 

 La donzelletta vien dalla campagna,

In sul calar del sole,

Col suo fascio dell'erba; e reca in mano

Un mazzolin di rose e di viole,

Onde, siccome suole,

Ornare ella si appresta

Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.

Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchierella,

Incontro là dove si perde il giorno;

E novellando vien del suo buon tempo,

Quando ai dì della festa ella si ornava,

Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei

Ch'ebbe compagni dell'età più bella.

Già tutta l'aria imbruna,

Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre

Giù da' colli e da' tetti,

Al biancheggiar della recente luna.

Or la squilla dà segno

Della festa che viene;

Ed a quel suon diresti

Che il cor si riconforta.

I fanciulli gridando

Su la piazzuola in frotta,

E qua e là saltando,

Fanno un lieto romore:

E intanto riede alla sua parca mensa,

Fischiando, il zappatore,

E seco pensa al dì del suo riposo.

 Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l'altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s'affretta, e s'adopra

Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

 Questo di sette è il più gradito giorno,

Pien di speme e di gioia:

Diman tristezza e noia

Recheran l'ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

 Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

È come un giorno d'allegrezza pieno,

Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave,

Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo'; ma la tua festa

Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, pp. 65-66)



 

 

Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita; come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 582)

 



 

La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbero esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi.

 

(da "Poesie e prose", Hoepli, Milano 1983, p. 589)

 

 

 

 

 

 

domenica 21 febbraio 2021

Antologie: Antologia della Poesia Cattolica Italiana del Novecento

 

Tra le antologie ad argomento religioso che riguardano la poesia italiana del Novecento, merita una certa considerazione anche questa che uscì a Roma nel 1959, grazie all'UNISC, ovvero all'Unione poeti e scrittori italiani Cattolici. Il curatore è Mario Nanteli (1899-1962), che per quest'opera antologica ottenne il VII premio nazionale di critica letteraria «Cosenza 1959». Dopo una lunga prefazione (ben 64 pagine!), l'antologia inizia con tre poesie di Giovanni Alfredo Cesareo; la poetessa Elena Bono chiude la ricca selezione che comprende 89 poeti. In appendice viene inserita un'ultima e poco conosciuta composizione in versi di Gabriele D'Annunzio, scritta dal poeta abruzzese dopo una visita al celeberrimo affresco L'ultima cena di Leonardo da Vinci. Ai versi del vate, segue un ulteriore saggio riassuntivo che, a mio avviso, va ad appesantire ulteriormente la parte dedicata all'approfondimento e quindi risulta superfluo. Chiudo, come di consueto, riportando l'elenco dei poeti che sono presenti coi loro versi in questa vecchia antologia.

 

 


 

ANTOLOGIA DELLA POESIA CATTOLICA ITALIANA DEL NOVECENTO

 

Cesareo G. A., Novaro A. S., Bertacchi G., Negri Ada, Chiesa F., Occhipinti G., Orsini L., Gerace V., Marrone T., Paolucci P., Papini G., Calcara A., Tozzi F., Mazzoni O., Govoni C., Rosati M., Del Carmelo I., Rebora C., Onofri A., De Maria F., Di Natale R., Melli R., Valeri D., Giuliotti D., D'Alba A., Barile A., Ungaretti G., Villaroel G., Hermet A., Carrieri G., Comi G., Fallacara L., Titta Rosa G., Tosatti B. M., Umani G., Jenco E., Vernieri N., Rivosecchi M., Fiumi L., Bonavia Calogero, Alvano D., Grande A., Pezzani R., Novelli G., Betocchi C., Abbondio V., Pesce-Gorini E., Giacobbe O., Marvardi U., Ademollo E., Vitali M., Capizzano Verri B., Fasolo U., Mercuri S., Josia A., Varisco S., Tosto De Caro A., Dell'Era I., Scafile F., Papasogli G., Marzoli G., Gargiuto G., Consalvatico T., De Simone G., Durand F., Spediacci M., Berardelli F., Corsaro A., Capasso A., D'Amuri M. I., Stipi L. G., Testaverde P., Bevilacqua S., De Franchis C., Rebellato B., Gizzi C., Turoldo D. M., D'Angelo A., Musolino G., Dore G., Del Colle G., Ubiali A., Guidacci M., Frattini A., Tagliabue F., Bettelli C., Carbone D., Bono E.