Come un po' tutti
sappiamo fin dall'infanzia, gli angeli sono esseri spirituali, asessuati,
dotati di ali simili a quelle degli uccelli, che gli permettono di volare; essi
svolgono i compiti assegnatigli da Dio, e così possono essere messaggeri, protettori
o guardiani. Nelle infinite opere figurative in cui compaiono gli angeli, molto
spesso sono raffigurati con particolari tratti somatici: biondi, spesso ricci,
con gli occhi chiari, col volto paffuto, vestiti di bianco, simili agli
adolescenti che si avvicinano alla maggiore età. Quand'ero bambino, così come
da giovane, gli angeli mi attiravano ben poco; col passare degli anni, invece,
l'interesse verso questi personaggi fantastici è cresciuto in me, pur non
credendo affatto che possano esistere. Di poesie sugli angeli ne esistono
tantissime, anche molto belle; a tal proposito c'è un'antologia - di cui in
futuro parlerò - che ha come argomento portante proprio questi esseri
soprannaturali. Per la mia selezione, ho cercato di non inserire le poesie che,
spesso famose, sono presenti nell'antologia citata. Nei versi che ho
selezionato, gli angeli hanno varie forme; c'è chi li riconosce perché hanno le
sembianze della propria sorella o della propria madre morta; chi li identifica
come dispensatori d'amore e nello stesso tempo di morte; chi li vede tutti
d'oro; chi li trova soli e sperduti; chi li raccoglie bagnati dalla pioggia;
chi riconosce soltanto una traccia indelebile del loro passaggio... La fantasia
dei poeti è semplicemente infinita: grazie ad essa nascono versi come questi e
come tanti altri, dove l'immaginazione riesce a creare figure, situazioni e
luoghi fantastici, impossibili, ineguagliabili.
GLI ANGELI IN 10
POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
L'ANGELO DI SILOÉ
di Antonio
Barolini (Vicenza 1910 - Roma 1971)
Tocca
con l'ali
le acque
della fonte di
Siloé.
Come nel gioco
dei dadi:
chi mi butta per
primo,
mia sorte?
Logoro il giorno,
dispersa la
speranza,
inutile la morte.
Chi sa
cosa distingue
dalle belve
e cosa confonde
con esse?
Perché
questo reame di
viltà?
(da
"L'angelo attento. Il meraviglioso giardino", Feltrinelli, Milano
1968, p. 264)
L'ANGELO DEI
BAFFI
di Vittorio
Bodini (Bari 1914 - Roma 1970)
Coi suoi denti
più falsamente bianchi
ghigna squittisce
litiga
coi camerieri
all'alba,
e lesina la
mancia.
è detestabile.
Spia le mondane e
le ama
come spettacolo
non la virtù i
fascisti
i piselli di
scatola
il lapsus-calami
il lapsus-linguae
l'arruffio il
cumulo il viluppo
il costume
spilorcio della sua musa.
Ridendo
s'allontana
avvolto nel suo
sudario
nel più vasto
sudario di un mattino
tra gessoso e violetto
in cui l'ombre
senza un gemito si disfanno
nelle vie e nelle
macchine
e l'angelo dei
baffi
ecco infine si
posa sul parabrezza.
(da "Tutte
le poesie", BESA, Lecce 1997, p. 125)
L'ANGELO
di Filippo De
Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956)
Angelo biondo di
dove sei venuto
a consolarmi, di
dove?
O l'oro antico
dei tuoi capelli
e la fronte pura
e l'occhio
ridente, pur nella tua nequizia
(è un giorno e
mezzo che non mangi, hai detto)
e le spalle
gentili
e le gambe marmo
antico
e il tuo sorriso
nell'ombra
e la tua voce.
Un bacio sulla
fronte ti ho dato
e leggero ho
abbozzato il segno della croce
sul tuo petto di
giovane atleta.
Sulla porta hai
voluto rendermi
fuggevole un
bacetto.
Sull'albero di
verde cupo
ho visto
accendersi una luce in cielo,
e poi sei
scomparso.
(da
"Poesie", Garzanti, Milano 2003, p. 152)
LA SORELLINA
ANGELO
di Donata Doni (pseud.
di Santina Maccarone, Lagonegro 1912 - Roma 1972)
La sorellina
morta,
ritratto che
guardava la tua infanzia,
la sorellina
angelo,
Santina come te
si chiamava,
per anni è stata
poi sepolta
nel fondo cuore.
Santina,
Lagonegro,
il paese ove
nacqui, ove dormi
il tuo sonno di
bambola piccina
nella cuffietta
della fotografia.
Ora che la morte
mi tende
una mano che
rifiuto,
ora, dopo anni di
silenzio,
riascolto la tua
voce.
Tu, prenata a me,
tu angelo che mi
segui
con un sorriso
lontano.
Sorellina, e se
tu fossi rimasta
oltre i cancelli
del giardino
dei morti, a
Lagonegro?
(da "La
carta dispari", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968, p. 48)
IL MIO ANGELO
di Giacomo Falco
(Savigliano 1901 - Milano 1959)
E tu, smarrito
angelo, sei solo.
Erri, sceso dai
cieli, quasi sulla terra,
quasi sui
mortali, quasi sui sepolcri.
Sulle mie
sillabe, tu, sulla mia carne,
segno di Dio
visibile, percorri
questo mio stesso
camminare ansioso:
ed io non temo,
se d'argento un'ala,
rivelata al mio
cuore, passa sui miei giorni.
(da "Dove io
m'esilio", Garzanti, Milano 1960, p. 36)
L'ANGELO BAGNATO
di Renzo Pezzani
(Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951)
Angelo mio, come
siete bagnato.
Andiamo al fuoco
dei carbonai.
Delle nuvole di
maggio
non bisogna
fidarsi mai.
Come fumano le
vostre ali,
i capelli lisci e
neri.
Bianche nuvole come
dai prati
si distaccano dai
vostri pensieri.
Nella luce dei
vostri occhi
vedo splendere
l'arcobaleno.
Dormiremo come
fratelli
sopra un cumulo
di fieno.
Sembreremo,
coricati,
due gigli
fulminati.
(da
"Belverde", SEI, Torino 1935, pp. 53-54)
L'ANGELO C'È...
di Marino
Piazzolla (San Ferdinando di Puglia 1910 - Roma 1985)
L'Angelo c'è ed è
quasi sempre nostra madre morta, che noi immaginiamo, ancora viva, ma in un
altro paese della terra.
(da
"Parabole dell'Angelo di cenere", Fermenti, Roma 1980, p. 19)
L'ANGELO D'ORO
di Giuseppe
Raimondi (Bologna 1898 - ivi 1985)
L'angelo apparve
nella curva
dilatata del
cielo all'ora di sera.
La luce ha fuso
il verde del
mare con
l'azzurro dell'aria
in un qualcosa di
grigio e di rose,
venuto lento sino
in terra.
Un'ombra di nero
tinge
il grande
azzurro. Lottano
d'amore il nero e
l'azzurro
nel caldo delle
rose, forate da
luci di fanali
come grosse lucciole
riapparse.
Insegne di fuoco si accendono
e spengono,
lasciano cicatrici sul
grigio di rose.
Finché un oro diffuso
in polvere d'oro
disegnò una figura
diretta sulla
terra. Trionfo della sera
ormai svenuta
come fanciulla.
Un angelo, era,
avviluppato di oro,
dentro un manto
di splendida
gioventù. - «Angelo, mio angelo,
venuto dalla tua
riva di perla,
cos'è che si
grida? Cosa è
che impugni e
protendi al
fianco? E' una
lunga, bruciante
spada di puro oro
come
il timone al navigante
del
cielo. L'oro che
tu porti, temprato
in un sogno
immacolato mi ha
bruciato per la
vita. Fra poco,
angelo di vita,
di sogno, tu
ripartirai per la
tua riva.
Partendo lasciami
vicina la
tua grande spada,
che resti
con me, carne e
sostanza
d'oro, luce,
memoria, speranza.
Solo con la notte
tornerà
il dolore
dolcissimo della
speranza, mio
angelo».
[da "Poesie
(1924-1982)", Scheiwiller, Milano 1999, pp. 39-40]
ANGELO D'AMORE E
DI MORTE
di Enrico Somarè
(Travedonia 1889 - Milano 1953)
Angelo d'amore e
di morte,
sale verso il mio
sguardo che t'implora,
affranto, la tua
tenebrosa aurora
vestita d'erba
sepolcrale.
Si leva un vento
siderale
gemendo là
nell'arido roveto,
come il flutto
angoscioso nel canneto
del lago spento
che s'oscura.
L'aria inquieta
s'impaura,
l'anima trema
intorno a questi fiori
riarsi dal
silenzio e dai terrori
e piange su la
tomba immane.
O presagi, le
campane
percuotono il mio
cuore già sepolto.
Arde il cielo sul
tuo povero volto
d'ombra, fra
croci e rami.
Cadono i funebri
velami.
Mutò la luce in
tenebra splendente,
la vita in una
morte più vivente,
il tempo
nell'eternità.
E poi che
precipiterà
la sera del mio
giorno di dolore,
cadrò su questa
fossa del mio cuore,
in braccio alla
tua sorte.
(da
"Canti", Edizioni dell'Esame, Milano 1951, pp. 91-92)
L'IMPRONTA
di Giorgio Vigolo
(Roma 1894 - ivi 1983)
Dentro le pagine
spesse di roccia
che col suo peso
l'alpe incuba opprime
è stampata d'un
angelo la forma
come in un libro
ove fu chiuso un fiore.
Nel duro impasto
di rupe e di ferro
quella celeste
immagine s'impresse
gittata nella
tenebra: la pietra
come cera rispose
alla sua impronta.
Ed or le volte
sotterranee, i curvi
gomiti delle
grotte, gli archi, i vani
son la cava
figura,
lo stampo delle
membra in questi porfidi
come inciso cameo
dentro la terra.
L'inverso d'una
statua. Non aria
la circonda ma
pietra: aria è il suo corpo.
Sulla roccia
granita di scaglia,
incrostata di
mica e di quarzo
balena l'ala
occhiuta del serafino:
e nell'acuta
volta tra lo sfarzo
dei metalli e le
vene di rubino
la faticosa
scapola s'incastra
sull'omero divino
e in uno slancio
di volo ancora la pietra solleva.
Questo è l'antico
esempio di quel divo
spirto che un
giorno inabitò la terra,
anima viva dentro
vive membra.
O sensibile
terra, carne e ossa
dell'ineluttabile
creatura
che si vestì di
te come d'un corpo,
quali celesti
sensi
scossero allora
questa pietra dura,
quali pensieri
immensi in questo teschio
ebbero albergo, e
passioni e sogni
nello scheletro
bianco dei calcari?
O macerie d'un
tempio,
o sconsacrati
altari.
Venne la morte:
ed in quell'ora estrema
l'astro si
spense, s'agghiacciò, fu terra,
l'immortale
esalando anima al cielo.
Esanime rimase,
inerte salma
d'un dio, spoglia
immortale.
Delle angeliche
membra allor la cieca
materia si
disfece in brulicanti
miriadi di bestie
avide e uccelli:
tutta fu sparsa
dalle muffe verdi
delle foreste.
E fu la nostra
vita.
(da "Canto
fermo", Greco e Greco, Milano 2001, pp. 148-150)
Hugo Simberg, "The Wounded Angel" (da questa pagina web) |