Nell'imminenza del
giorno dedicato a tutti i defunti ecco venti poesie che parlano dei morti. Ma
l'argomento di questi versi quasi mai riguarda la ricorrenza del 2 novembre;
ogni poeta qui ricorda le persone scomparse a modo suo: chi le vede arrivare in
casa, attirate dal profumo di tipici dolci; chi prega per la loro pace,
chiamandole per nome ad una ad una, in attesa di rincontrarle; chi fa strani
ragionamenti sull'età dei vivi che supera quella dei morti; chi ha una visione
fraterna delle anime defunte, e le immagina sofferenti per non poter più vedere i propri
figli e tutte le cose a cui erano profondamente legate; chi medita o si fa
domande sul destino di chi varca il confine della vita; chi vede un legame
indissolubile e invisibile tra i morti ed i viventi; chi, da buon cristiano,
confessa di attendere con trepidazione il momento del trapasso "per conquistare la resurrezione / della carne
dell'anima e del volto"; chi dedica una poesia a coloro che non hanno
potuto usufruire di una sepoltura perché troppo poveri; chi, pur pensando
spesso ai propri cari scomparsi, ammette di non frequentare i cimiteri e di non
amare i fiori; chi vede queste anime trapassate aggirarsi in vari luoghi e in
diverse situazioni; chi pensa agli amici morti; chi descrive le usanze del
paese nativo allorquando qualcuno viene a mancare... In ogni caso, protagonisti
sono sempre i morti.
LE FAVE DEI MORTI
di Sandro
Baganzani (1889-1950)
Quando vengono senza
stazioni
le dolci fave dei
Morti
quando vengono
senza scarpe
le dolci fave dei
Morti
quando hanno
perso la strada
di su di giù
cavedagne vicoli
lampioni
le dolci fave dei
Morti
piacciono ai
bambini morti.
Entrano senza
bussare
si riscaldano al
focolare.
Bambole chicche
fucili
non toccano che
le fave dei Morti.
Hanno fatto la
via
che si scaldino
al focolare
anche ai morti
del loro sangue.
Andiamo per la
sagra
dei Morti.
Vengono senza
scarpe
vengono senza
stazioni
tutti in fila
dietro a loro.
Entrano senza
bussare.
Non li vede
neanche la luna
non li sente
neanche il cane.
Partono senza
mangiare
neanche una
delle dolci fave
dei Morti
bimbi e vecchi -
alla mattina.
Restasse almeno
l'impronta della
vostra manina
sulle dolci fave
dei Morti
miei piccoli
morti,
per me.
(da "A bocca
chiusa", Orione, Rovereto 1944)
A TARDA SERA
di Angelo Barile
(1888-1967)
A tarda sera
quando
prego pace ai
miei morti,
ad una ad una vi
chiamo per nome,
mie sensibili
anime. In un lampo
a ciascun nome mi
risponde il viso
desiderato,
e il sangue vi
ripalpita vi segna
i suoi segreti.
Odono il mio
sussurro anche gli anziani
che in grembo
alla memoria
già posano quieti
e forse ancora
anelano in cammino
per i valichi
estremi al loro Cielo.
Un poco, andando,
si volgono e alcuno
lontanamente
sorride...
Ma questi,
al mio cuore i
più mesti,
che ieri appena
spezzavano il pane
con noi sotto la
lampada e nell’ombra
son passati
tenendosi per mano,
lo sguardo al
focolare:
questi quando la
sera
chiamo per nome i
miei morti, li vedo
ancora fermi,
ancora
trepidi e tesi di
là della porta
non richiusa, che
geme.
Ecco mi fate
cenno, anime care,
d’incamminarci
insieme.
(da "Poesie", Scheiwiller,
Milano 1986)
I MORTI NON
INVECCHIANO
di Arnaldo
Beccaria (?-?)
I morti non
invecchiano
nel tempo
congelato delle tombe.
Sono i vivi che
invecchiano:
raggiungono e
sorpassano
l'età dei propri
morti;
sì che il figlio
è più adulto di suo padre,
è, per età,
fratello di sua madre.
"La distanza
più breve fra due punti
è quella che li
unisce
con una linea
retta",
i morti sanno
questa Geometria.
Immoti nella loro
età perenne,
li vedono
invecchiare
ora per ora i
vivi,
andando senza
posa,
quand'anche
abbiano l'aria d'ignorarlo,
verso di loro.
Sanno che dovunque
essi vadano, i
vivi, che qualunque
cosa essi
facciano,
sempre, a ogni
momento,
la distanza fra
essi e loro è quella
che congiunge i
due punti
con una linea
retta.
(da
"Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966)
FRATELLI
di Umberto
Bellintani (1914-1999)
I poveri morti
sono miei fratelli,
passeggio con
loro per il cimitero,
non vi è nessuno
che abbia il cuore felice.
Chi ha ucciso,
rubato, o disprezzato
in questa vita
così fatta per gli uomini;
chi è penetrato
nottetempo nel campo del vicino
e ha distrutto le
colture, e chi la donna
dell'amico ha
condotta a perdizione.
Ma non per questo
nessuno v'è che peni;
ognuno soffre la
montagna della morte
che gl'impedisce
di vedere il proprio figlio
e la sua donna,
la casa, il campo amato,
un volto amico,
un arnese, umili cose.
I poveri morti
sono miei fratelli,
passeggio con
loro per il cimitero,
non vi è nessuno
che abbia il cuore felice.
(da "Nella
grande pianura, Mondadori, Milano 1998)
I MORTI
di Attilio
Bertolucci (1911-2000)
Lascia che lo
squallore dell’autunno
distenda la
nebbia bassa sulla terra
e il giorno
avanzando lunghe nubi
chiudano nevose
il cielo lontano.
La fragile
spoglia degli alberi (quelle
gaggìe e siepi
deserte e solitarie)
trema per un volo
troppo raso
di passeri, è il
tempo più grigio
e dolce
dell’anno, prima ancora
che brilli la
bacca improvvisa
dell’inverno. Lo
scricciolo
lo saluterà col
suo becco minuto.
L’uomo cammina
solo e le foglie umide
che gli
ingombrano il passo per i campi
non lo lasciano
andare lontano, se pure
una turba
familiare lo chiami, confusa
nella ruggine
lacrimosa delle ultime piante.
(da "Le
poesie", Garzanti, Milano 1992)
SE I MORTI SONO
VERAMENTE MORTI
di Carlo Betocchi
(1899-1986)
Se i morti sono
veramente morti
allora noi non
siamo vivi, ché
della loro già
morta vita
andiamo tutti i
giorni nutrendoci,
spesso
inconsapevolmente, e quasi
dormendo, come
bambini alle poppe
materne, a volte
assopiti, e come in sogno.
Che quanto la
veglia ci nutre il sogno,
e i morti come la
vita ci nutrono, in una
inestinguibile
catena di tramonti.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1984)
AI MORTI
di Ugo Betti
(1892-1953)
Quale topo a noi
rode nella memoria
l'amato ovale del
vostro viso? E perché,
se di esso
s'anima il pallido
lastrico dei
sogni, remoto
s'oblia
quell'occhio che di noi gioiva
né lo chinano le
discolpe
che ardono il
guanciale dei vivi?
Quali segreti ci
divisero, quale
carico, notturni
giudici,
imputate a coloro
che dal vostro
oscuro ramo
pendono, feriti
dal sole ancora?
Alle chete
stanze dove il
respiro
vostro alitò, o
là dove
odora d'orto la
vostra aiuola,
viene talvolta un
passo
solitario. Voi
cerca.
Ma voi lo udite?
Tremò
quel giorno il
vostro fresco
sonno al Dies
Irae quando
tuonò su voi
piegando
le fiamme dei
ceri? O partiti
già eravate come
da coltri
rovesciate un
tepore?
Ma se non siete
dove
vi ponemmo, quale
cosa
di voi fuggì?
Quel raggio
che punse la
notte quando
vagiste, ancor
vola
procellaria
impetuosa,
o cadde come fa
muto un respiro?
Polvere in noi
d'antica fola
dunque è quella
gloriosa
fuga che
c'innamora?
Ma quale brezza
allora
recò a noi
l'inebriante
polline, a questa
dimora
straniero? E voi
da questa
dimora veramente
vi alzaste
fumo leggero?
E compone voi
ancora
quell'inasprita
stilla
che fa nostra e
di noi amara
una memoria, una
ferita? O è
davvero morte una
quiete
che sé e tutto
ignora
simile a quella
che l'uomo
stanco sospira,
donde
spiraglio più non
traluca?
Da tale vana cupa
ripa dunque
piombavano i nostri
bisbigli, i passi
che intorno
a noi gremivano
il giorno?
Non per altro
compenso
la pupilla nostra
s'aprì
nel buio eterno?
Evento
d'un sogno, ciò
che l'invaghì? E d'un sogno
queste domande,
che io
vo sillabando
e soltanto le ode
il silenzio? Così
le divago e di
ciò le sere inganno
come chi dentro
vuote
stanze fra sé
parla e crede,
di sé sorpreso,
d'altri
la lieve eco.
(da
"Poesie", Cappelli, Rocca S. Casciano 1957)
MORTI
di Bartolo
Cattafi (1922-1979)
I morti ci sono
addosso
sparsi qui
attorno come una pioggia
muschio dietro
alberi muri e macigni
ci guatano per
quel tanto di confuso
di tenebra
inclusa nella luce
di luce in paludi
appiccicose
che il transfuga
ricorda a mezzagamba
cose egregie
sbatterono
impiccate agli
alberi di giuda
e le mie mani nei
neri mercati
commerciano con
mani di defunti
stringono patti
menzogneri
si congiungono in
false preghiere.
(da "Occhio
e oggetto precisi", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1999)
I MORTI
di Girolamo Comi
(1890-1968)
Ossa aride, carne
sgretolata,
fibre dissolte,
voi sapete il sale
- poi che l'ora
terrestre è consumata -
del corpo umano
ch'è spirituale.
Or che il
silenzio è vostro nutrimento
approfondite il
sapore e il dono
di vostra
gioventù che morta al mondo
si veste d'ali
per un altro avvento.
Scheletri
logorati, ossa leggere
- nel sottosuolo
dove spenta vige,
Umanità, la tua
divina effige -
come voi aspetto
d'essere sepolto
per conquistare
la resurrezione
della carne
dell'anima e del volto.
(da "Sonetti
e poesie", Ceschina, Milano 1960)
GLI AMICI MORTI
di Luigi
Fallacara (1890-1963)
Là dove resta il
vostro dì perduto
è un'ombra di cui
siete e parte e tutto;
non tanto vostra
era la vita intensa
che vi rapiva con
la sua violenza.
Ci gettate così
uno sguardo d'ieri,
o diventato a un
tratto così intero;
perché viva il
ricordo a quel baleno
tenta il perpetuo
il tempo che non viene.
O voi senza più
attendere d'eventi,
o voi per sempre
fermi a quel momento
che per gli altri
soltanto passa, diteci
se anche il
vostro amore è stato, o amici,
per restare tale
interamente accolto
dove non cambia
più la voce, il volto.
[da "Poesie
(1914-1963)", Longo, Ravenna 1986]
IO PENSO AI MORTI
di Alfonso Gatto
(1909-1976)
Nella pioggia che
batte e scioglie i cieli
– i grandi cieli
all’improvviso soli –
io penso ai
morti, udranno a lungo i treni
chiamare in
sogno, le città perdute
e dare ai nomi
dell’addio la voce
che resta della
sera.
Sei, a chiamarti,
il nome delle sere
che non risponde,
ma potresti avere
bisogno del
racconto, d’una voce,
per questa
pioggia che ti fa più sola
dei lumi senza
requie.
Tornerai
dalle musiche
morte, dalle gronde
dei tuoi mattini,
amore che riprendi
dal naufragio
l’ala del tuo volo.
(da "Poesie
d'amore", Mondadori, Milano 1973)
AI SENZA-TOMBA
di Ofelia Mazzoni
(1883-1935)
Ultimissimi morti
che non opprimete
la terra,
di mausolei e di
croci
e non ribadite
- con epigrafi -
menzogne in terra,
candidi morti (i
più poveri!)
che nudi vi
restituiste
all'inscrutabile
Tutto
- che ne faccia
suo fiore suo frutto -
e, anime nude,
veloci
più dell'altre a
Dio risalite
(la cui pietà
ogni carico vi toglie)
vi diligo,
umilissimi morti!
con le vostre,
nella necropoli
che sconfinata
v'accoglie,
son di mio padre
le spoglie,
e con le vostre
l'anima paterna,
per virtù del
patito dolore,
in dolcezza
s'eterna
e gode l'Infinito
dell'Amore.
(da "L'oro
del tramonto", Bocca, Milano 1933)
FESTIVAL DEI
MORTI
di Marino Moretti
(1885-1979)
Un vecchio dirà
sempre arrivederci
se rifiuti il
pensiero ultimo, e intanto
non vedrà il
camposanto
se non per
rimanerci.
Ed io non mi ci
trovo da qualche anno.
Non vado da mia
madre. Ella mi scusa.
Sa che, pur come
s'usa,
sfuggo ogni cosa
ch'operi a mio danno.
Lo sanno i miei
che furon già mia guida,
più che da
cinquant'anni nell'avello,
col povero
fratello
di cui ci
vergognammo, suicida.
Come lontano il
dramma di famiglia!
Come remota
questa idea del dramma!
L'angoscia della
mamma
che a nessun
altro spasimo somiglia...
Non amo i fiori.
Un vecchio non li vuole.
Fiori e tumolo
son la stessa cosa.
E ch'è mai una
rosa
che lambe un
marmo con nome e parole?
Una mestizia
finta dei più accorti
s'incontra qui
con certa compagnia...
Ma non spiace una
sorta d'allegria
al festival dei
morti.
Il vecchio
inascoltato
può ricordare il
tempo della culla,
non già l'opera
sua che ormai s'annulla
nel terminare il
tempo che gli è dato.
Non ci fu interna
voce
aspra e dolente
insieme
che insegni a
fare ciò che non si fece;
e non preghiera
che si muti in "prece"
e non speranza
che divenga "speme"
in cimitero
all'ombra della croce.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1966)
SERENO DEI MORTI
di Sergio
Ortolani (1896-1949)
Al tempo chiaro,
al lieve andar del vento,
votato in canto
per l'alto sereno,
a stilla a stilla
anche l'angoscia sveno.
Basta lo sguardo
al mio consentimento.
Ora di grazia: e
come ancora duole
il confidarla a
questo canto. Io sono
umiliato nelle
mie parole.
Solo quanto ho
sofferto mi perdono.
Nel roseo lume
che inserena il monte
mi ricontempla
amor, come amor tace.
Fossa di pioggia,
mia povera fonte,
il poco specchio
rendi a questa pace.
(da
"Poesie", Mondadori, Milano 1957)
I MORTI
di Lucio Piccolo
(1901-1969)
Un'ombra
che s'allungò su
la credenza,
o nel cortile
sotto la caldaia
l'occhio che
ancora luce
quando tutto è
spento,
soltanto questo,
ma sono
i morti. Male non
fanno, che può
un flusso di
memoria
senza muscoli o
sangue? terrore
dei vani al
crepuscolo, bianche
ombre, movenze
agli spiani
tesi di luna nei
sogni infantili...
Pure un
turbamento sono, nelle sere
sommesse -
pazienza, preghiere.
Sono su le
giogaie e i passi
dei monti, anche
nei giorni
quando spiegato è
calmo il manto
delle domeniche a
frange d'oro...
(da
"Plumelia", Scheiwiller, Milano 1967)
I MORTI
di Antonia Pozzi
(1912-1938)
Siedon sul grembo
dei prati
a un crocicchio
di strade:
odon fruscìo di
ruote per la china,
bimbi e cavalli
saltare le siepi.
Sentono il tuono
venire,
gli scrosci sul
nudo fieno
(quando gli
uomini per salvarlo
escono dalle case
coi corpi protesi
alla terra).
Ogni sera,
prima che il
campanile verde sbocci in suono,
si domandan se la
cresta del monte
non disegni un
bambino riverso
dormente su loro.
Poi, quando nel
cavo degli occhi
corolle sperse di
campane
scendono a bere,
lenti essi
volgono il volto
ai cancelli:
se d'autunno un
pastore s'attardi
senza timore a
rompere il suo pane
e il gregge
chiaro si prema alle sbarre.
Allora ridono i
morti
piano fra loro:
sognano lieve e
più calda la notte.
(da
"Parole", Garzanti, Milano 1998)
I MORTI
di Salvatore
Quasimodo (1901-1968)
Mi parve
s'aprissero voci,
che labbra
cercassero acque,
che mani
s'alzassero a cieli.
Che cieli! Più
bianchi dei morti
che sempre mi
destano piano;
i piedi hanno
scalzi; non vanno lontano.
Gazzelle alle
fonti bevevano,
vento a frugare
ginepri
e rami ad alzare
le stelle?
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1995)
I MORTI AMICI
di Umberto Saba
(1883-1957)
I morti amici
rivivono in te,
e le morte
stagioni. Che tu esista
è un prodigio; ma
un altro lo sorpassa:
che in te ritrovi
un mio tempo che fu.
In un paese
m’aggiro che più
non era,
remotissimo, sepolto
dalla mia volontà
di vita. È questo
il bene o il
male, non so, che m’hai fatto.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1994)
I MORTI
di Leonardo
Sciascia (1921-1989)
I morti vanno,
dentro il nero carro
incrostato di
funebre oro, col passo
lento dei
cavalli: e spesso
per loro suona la
banda.
Al passaggio, le
donne si precipitano
a chiudere le
finestre di casa,
le botteghe si
chiudono: appena uno spiraglio
per guardare al
dolore dei parenti,
al numero degli
amici che è dietro,
alla classe del
carro, alle corone.
Così vanno via i
morti, al mio paese;
finestre e porte
chiuse, ad implorarli
di passar oltre,
di dimenticare
le donne
affaccendate nelle case,
il bottegaio che
pesa e ruba,
il bambino che
gioca ed odia,
gli occhi vivi
che brulicano
dietro l'inganno
delle imposte chiuse.
(da "La
Sicilia, il suo cuore", Bardi, Roma 1952)
I MORTI
di Rocco
Scotellaro (1923-1953)
Una selva di pini
su un colle
la città della
gente defunta
il cimitero.
All'anime vostre
parlo
o trapassati.
Un posto
tra voi preparate
a quest'anima
mia?
Voi mi direte
certo di tutto
ché il vostro
volto
alla morte
fu quello del
mistero.
(da
"Margherite e rosolacci", Mondadori, Milano 1978)
Caspar David Friedrich, "The Cemetery Entrance" |