domenica 2 luglio 2023

La poesia di Angelo Barile


 


Prima di pubblicare questo post, ho avuto la tentazione di considerare Angelo Barile (Albisola Marina 1888 – ivi 1967) alla stregua di un “poeta dimenticato”; in effetti, questo grande poeta del Novecento, da almeno un trentennio a questa parte è praticamente caduto nell’oblio, e oggi ben pochi lo ricordano. Eppure, l’unica pecca che si può trovare in Barile, è la sua scarsa prolificità; ma pur avendo scritto poche poesie, ha trovato il modo di lasciare il segno sia nell’ambito della poesia italiana novecentesca, sia nella cosiddetta “linea ligure” – di cui è un esponente di primo piano – che comprende nomi di suoi corregionali assai illustri come Sbarbaro e Montale. Certamente fu un isolato, poiché trascorse l’intera sua esistenza nel paese natale, occupandosi di un’azienda manifatturiera, e dedicandosi alla scrittura soltanto nei momenti liberi; pure, collaborò a diversi giornali, e fondò, insieme ad Adriano Grande, la rivista Circoli, in cui furono pubblicate per la prima volta alcune delle sue migliori poesie. Per meglio comprendere l’essenza della poesia di Barile, trascrivo due brevi frammenti tratti da altrettanti saggi che si sono occupati di lui; il primo è di Gianni Pozzi, e proviene dal volume La poesia italiana del Novecento:

 

La poesia di Angelo Barile nasce e si sviluppa in una zona periferica, ma collaterale alla poesia degli ermetici. Nella sua elegante, limpida e intermittente produzione, partecipa al clima letterario dell’epoca con la esigenza di una purezza esclusiva, tanto importante, ormai, di per se stessa, da esonerare il poeta da un contenuto diverso della solitudine innamorata della sua memoria.

La sua illuminante caratteristica consiste in una aperta e fondamentale assimilazione dei modi stilistici contemporanei, in una sorta di virtuoso e alto dilettantismo. Barile è un cesellatore di elaborati intarsi stilistici, senza protervia: ricostruiti in una specie di ipnotica, spontanea adesione al clima decadente che li determina. […]¹

 

Il secondo è invece estrapolato dall’antologia Poesia italiana del Novecento, a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio; l’autore è Silvio Riolfo Marengo. Quest’ultimo, inizialmente cita parte di una postilla appartenente ad un’opera poetica di Barile, identificando la sua concezione di poesia come “energia vitale dello spirito”; segue un’ulteriore citazione tratta da uno scritto di Giovanni Boine, in cui si pone in risalto l’essenzialità e la pazienza nell’arte dello scrivere, che sono sinonimo di qualità; quindi così prosegue:

 

L’opera quantitativamente selezionata e fedele a pochi tempi essenziali di Barile nasce da questa poetica della necessità: sono momenti, immagini, situazioni della vita e del mondo familiare che la memoria recupera alla luce della poesia solo dopo che sono state a lungo «sepolte nel cuore» e traspone, con metafore balenanti, dal piano dell’esistere a quello dell’essere. Ed è naturale che l’epicedio venga eletto a modello deputato per fissare i caratteri dell’unica certezza metafisica concessa al credente: la morte che è tutt’uno con la vita, anzi ne riassume e ne esalta la pienezza, anche in presenza del dolore e del peccato, due motivi che increspano quasi sempre anche le evocazioni più tenere di Barile. […]²

 

Barile pubblicò soltanto tre raccolte poetiche, sebbene l’ultima non sia altro che una ricapitolazione della sua produzione in versi, con l’aggiunta di un’ulteriore, breve silloge conclusiva. Scrisse anche delle prose di buon valore, che sono per lo più incluse nel volume Risonanze (Quaderni di «Persona», Roma 1966).

Dopo aver elencato i volumi in versi del poeta di Albisola, trascrivo tre indimenticabili poesie dello stesso, tratte dalla nuova edizione di Poesie (1930-1963), pubblicata da Scheiwiller in Milano nel 1986.

 

NOTE

1)     Da: Gianni Pozzi, La poesia italiana del Novecento, Einaudi, Torino 1995, p. 286)

2)     Da: Poesia italiana del Novecento, Garzanti, Milano 1980, pp. 263-264.

 


 

Opere poetiche

 

“Primasera”, Edizioni di «Circoli», Genova 1933.

“Quasi sereno”, Neri Pozza, Venezia 1957.

“Poesie (1930-1963)”, Scheiwiller, Milano 1965.

 


 

Testi

 

USCIRE DALLA VITA

 

Uscire dalla vita come quando

s’esce di chiesa

in un finale d’organo: s’avventa

l’anima a scale prodigiose, trova

il piede sulla soglia

un bianco che vi palpita: e la luce

è nuova.

 

Ma uscire non è dato in rapimento.

Ch’io possa almeno

lasciarmi dietro la mia stanza, un poco

volgendo il capo a riguardarla, alfine

pulita, sgombra

d’ogni discordia, in ordine sereno

come la chiesa ora vuota: le croci

fanno una chiara ombra

sul pavimento.

 

(da "Poesie", Scheiwiller, Milano 1986, p. 69)

 

 

 

 

OSTERIA DELLA BELLA BREZZA

 

Padre, finita la giornata uscivi

le belle sere

a prendere l’aria di mare. Sedevi

fuori dell’osteria che non c’è più;

che aveva un nome così fresco, pinto

in azzurro di lettere leggere

sulla bianca maiolica. Hanno stinto

il tempo ed il salino

tante in me cose e non quel nome: spira

dal tuo celeste ancora

la bella brezza.

 

Discendevi su l’ora

che il nostro mare è una cara contrada

con tesi teli e fumo di comignoli.

Tra poco, e ancora è giorno,

treman sull’acque lumi e nelle case.

Cantan, su' remi, amanti.

Navi fanno ritorno,

escono navi dal prossimo porto,

van per quieta strada

all’orizzonte che il vespro avvicina.

 

Andavano, per te, sul mare grande.

Andavano distante

anche i piccoli barchi, e tu con loro.

I capitani della Bella Brezza

rifanno a gara

la traversata, toccano le Americhe.

Tempi di vela! Un palpito di nomi

i più marini di Liguria... Ognuno

passava al vostro tavolo, beveva

venti severi -

e il goccio d’oro al fiato vespertino.

 

Veniva alla tua frasca

l’umana brezza,

sotto il cielo benevolo il brusìo

che fa il paese conciliato a riva.

I cerchi delle donne

che giocavano a tombola con i sassi

tolti alla rena; i cerchi delle rondini

che stridevano basse

toccavano la testa dei ragazzi,

tutto animava la tua sera. E l’Ave

sul riposo di un popolo che scioglie

la sua gravezza ai margini turchini.

 

Ora respiri la brezza infinita.

 

(da "Poesie", Scheiwiller, Milano 1986, pp. 77-78)

 

 

 

 

A TARDA SERA

 

A tarda sera quando

prego pace ai miei morti,

ad una ad una vi chiamo per nome,

mie sensibili anime. In un lampo

a ciascun nome mi risponde il viso

desiderato,

e il sangue vi ripalpita vi segna

i suoi segreti.

 

Odono il mio susurro anche gli anziani

che in grembo alla memoria

già posano quieti

e forse ancora anelano in cammino

per i valichi estremi al loro Cielo.

Un poco, andando, si volgono e alcuno

lontanamente sorride...

                       

                        Ma questi,

al mio cuore i più mesti,

che ieri appena spezzavano il pane

con noi sotto la lampada e nell’ombra

son passati tenendosi per mano,

lo sguardo al focolare:

questi quando la sera

chiamo per nome i miei morti, li vedo

ancora fermi, ancora

trepidi e tesi di là della porta

non richiusa, che geme.

 

Ecco mi fate cenno, anime care,

d’incamminarci insieme.

 

(da "Poesie", Scheiwiller, Milano 1986, pp. 146-147)

 

 

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