domenica 3 gennaio 2021

La poesia di Dino Campana

 

Dino Campana (Marradi 1885 - Scandicci 1932) ha sempre creato enormi divisioni nei critici e nei lettori di poesia: fin da quando fu pubblicata la sua unica raccolta di versi e prose intitolata Canti orfici (correva l'anno 1914), nacquero delle discussioni tra chi lo riteneva un talento eccezionale e chi invece lo stroncava in modo netto. Tutt'ora, credo, vi siano ancora delle valutazioni contrastanti nei suoi riguardi. Per quel che concerne il mio pensiero, devo ammettere che non fui mai particolarmente attratto dalla poesia di Campana e ancor meno dalle sue prose poetiche. Tuttavia non penso, come fecero e fanno alcuni, che il poeta di Marradi fosse soltanto un malato di mente; alcune sue poesie sono bellissime e se dovessi compilare un'antologia della migliore poesia italiana novecentesca, non lascerei certamente fuori almeno tre fra le sue composizioni in versi; Chimera, Giardino autunnale e Canto della tenebra. Da qui a considerarlo, come hanno fatto molti critici in passato, quale capostipite della cosiddetta "poesia pura", ce ne passa; penso che tale privilegio - ammesso che lo sia - vada attribuito al solo Arturo Onofri (e parlo, ovviamente, dell'ultima fase poetica dello scrittore romano). Campana invece, a me sembra più legato al secolo XIX, e in particolare alle poetiche care ai decadenti e ai simbolisti; per esempio è facile e forse un po' abusato il suo accostamento ad Arthur Rimbaud. Ma, rimanendo in Italia, a me sembra che ci siano alcune somiglianze anche con un poeta troppo spesso etichettato come "scapigliato": Giovanni Camerana; se si leggono alcuni versi del poeta piemontese, come Guarda lo stagno livido o Corot, è facile trovare la stessa intensità visionaria che si respira in Giardino autunnale o in L'invetriata. Non mi sembra invece di riscontrare alcuna comunanza di contenuti con l'opera poetica di Giosuè Carducci, che qualche critico ha chiamato in causa; per quanto riguarda i vociani, se è vero che Campana predilesse come loro i frammenti poetici e prosastici, per il resto c'è ben poco che li fa stare insieme. Chiudo riportando le tre poesie di Dino Campana che ho citato in precedenza: tre autentici e indimenticabili capolavori della poesia italiana del Novecento.

 

 


 

 

LA CHIMERA

 

Non so se tra roccie il tuo pallido

Viso m'apparve, o sorriso

Di lontananze ignote

Fosti, la china eburnea

Fronte fulgente o giovine

Suora de la Gioconda:

O delle primavere

Spente, per i tuoi mitici pallori

O Regina o Regina adolescente:

Ma per il tuo ignoto poema

Di voluttà e di dolore

Musica fanciulla esangue,

Segnato di linea di sangue

Nel cerchio delle labbra sinuose,

Regina de la melodia:

Ma per il vergine capo

Reclino, io poeta notturno

Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,

Io per il tuo dolce mistero

Io per il tuo divenir taciturno.

Non so se la fiamma pallida

Fu dei capelli il vivente

Segno del suo pallore,

Non so se fu un dolce vapore,

Dolce sul mio dolore,

Sorriso di un volto notturno:

Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti

E l'immobilità dei firmamenti

E i gonfi rivi che vanno piangenti

E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti

E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti

E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.

 

(da "Opere", TEA, Milano 1989, pp. 23-24)

 

 

 

 

GIARDINO AUTUNNALE (FIRENZE)

 

Al giardino spettrale al lauro muto

De le verdi ghirlande

A la terra autunnale

Un ultimo saluto!

A l'aride pendici

Aspre arrossate nell'estremo sole

Confusa di rumori

Rauchi grida la lontana vita:

Grida al morente sole

Che insanguina le aiole.

S'intende una fanfara

Che straziante sale: il fiume spare

Ne le arene dorate: nel silenzio

Stanno le bianche statue a capo i ponti

Volte: e le cose già non sono più.

E dal fondo silenzio come un coro

Tenero e grandioso

Sorge ed anela in alto al mio balcone:

E in aroma d'alloro,

In aroma d'alloro acre languente,

Tra le statue immortali nel tramonto

Ella m'appar, presente.

 

(da "Opere", TEA, Milano 1989, pp. 25)

 

 

 

 

IL CANTO DELLA TENEBRA

 

La luce del crepuscolo si attenua:

Inquieti spiriti sia dolce la tenebra

Al cuore che non ama più!

Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare,

Sorgenti sorgenti che sanno

Sorgenti che sanno che spiriti stanno

Che spiriti stanno a ascoltare...

Ascolta: la luce del crepuscolo attenua

Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:

Ascolta: ti ha vinto la Sorte:

Ma per i cuori leggeri un'altra vita è alle porte:

Non c'è di dolcezza che possa uguagliare la Morte

Più Più Più

Intendi chi ancora ti culla:

Intendi la dolce fanciulla

Che dice all'orecchio: Più Più

Ed ecco si leva e scompare

Il vento: ecco torna dal mare

Ed ecco sentiamo ansimare

Il cuore che ci amò di più!

Guardiamo: di già il paesaggio

Degli alberi e l'acque è notturno

Il fiume va via taciturno...

Pùm! mamma quell'omo lassù!

 

(da "Opere", TEA, Milano 1989, pp. 28)

 

 

 

1 commento:

  1. Concordo assolutamente sull'accostamento con Camerana. A titolo di esempio porrei il sonetto "Catania" le cui prime due quartine sono pervase dalla stessa visionaria ossessività del poeta marradese. Va considerato il modo in cui si trascina l'endecasillabo, la sua assoluta preponderanza quasi fine a se stessa.

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