sabato 1 ottobre 2016

Ottobre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Ed ecco il primo mese autunnale: il caro Ottobre. A me che vivo a Roma, Ottobre può offrire delle giornate splendide, soleggiate, che ricordano un po' la primavera: sono le cosiddette "ottobrate romane". Ma questo mese somiglia a marzo: può regalare bel tempo o pioggia, o già qualche giorno rigido. Nelle poesie che seguono si parla di tutto questo; e c'è chi ti ama e chi ti odia, chi vede in te il tramontare definitivo dell'estate, chi ti loda e ti decanta, chi medita su di te, carissimo Ottobre, mese a me amico.


IMPROVVISA, LA FANTASIA...
di Riccardo Bacchelli (1891-1985)

Improvvisa, la fantasia m'ha condotto per le strade
rettilinee del Bolognese, bordate di rami
freddolosi, toccati dall'ottobre , con prospettive
di persiane verdi allineate sulle facciate.
Il Reno si stacca dai monti con incantevoli
indugi  e prende spazio  in pianura, alberi
e frutteti si spogliano con incredibile bellezza,
riposano al sole le terre. È il tempo
adesso che le cantine odorano di fermentazione,
e il contadino esce senz'arnesi a guardare
forse se qualche fosso non scola. Le terre,
gli uomini, il paese fortunato nelle adiacenze
del fiume, godono questo sole breve.
Gli uccelli son di passo.

(Da "Memorie del tempo presente", Milano 1953)




LA NOTTE D'OTTOBRE
di Attilio Bertolucci (1911-2000)

Mi ha svegliato il tuo canto solitario,
triste amica dell'ottobre, innocente civetta.
Era la notte,
brulicante di sogni come api.

Ronzavano
agitando le chiome di fuoco
e le bionde barbe,
ma i loro occhi erano rossi e tristi.

Tu cantavi, malinconica
come una prigioniera orientale
sotto il cielo azzurro...
Io ascoltavo battere il mio cuore.

(Da "Fuochi in novembre", Minardi, Parma 1934)




OTTOBRE
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Un tempo, era d'estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si svegliava la mia fantasia.
Inclino adesso all'autunno
dal colore che inebbria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulla vigne saccheggiate.
Sole d'autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la morte nell'anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
sole che rivediamo,
col tuo giungere ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t'inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch'è tutta una dolcissima agonia.

(Da "Il sole a picco", L'Italiano, Bologna 1929)




D'OTTOBRE
di Bartolo Cattafi (1922-1979)

Nei punti meditati
sui gradini dove
il pensiero si ferma e non riposa
perduta la stagione
(lucecalore forza
di fuochi fantasiosi)
mentre il mondo ingiallito prova
foglia per foglia a perdersi.

(Da "L'allodola ottobrina", Mondadori, Milano 1979)




PAREVI UN CHE SEDESSE...
di Francesco Chiesa (1871-1973)

Parevi un che sedesse, ieri, ravvolto
d'un mantel bigio, sotto un'acqua fina
che fluiva in silenzio. Stamattina
non piove più; ti batte il sole in volto,

fratello ottobre; e tu balzi disciolto
d'ogni mal, scuoti via quel po' di brina
dal mantel ch'era d'oro, e oro la spina
che, per trartela, il piede in mano hai tolto.

E vai, sommerso in un dorato oblio,
la terra e il ciel nelle pupille ignare
rispecchiando, frutteti, uve... Parevi

ieri l'ombra tua morta. Oggi ti levi
radioso, signor delle tue chiare
giornate ultime: ottobre, fratel mio.

(Da "L'artefice malcontento", Mondadori, Milano 1950)




TRISTEZZA D'UNA SERA D'OTTOBRE
di Guelfo Civinini (1873-1954)

Son rientrato or ora. Per la via
di casa s'accendevano i fanali
tremuli fuochi di malinconia.

Ha piovuto per tutta la giornata.
Son già le prime acque autunnali.
Poi l'aria a vespro s'è rasserenata.

Ma in questa trasparenza d'ametiste
il cielo è come un'anima ch'è stanca
di piangere, ed ancora è tanto triste.

Nessun passava, per la via remota:
incombeva una gran nuvola bianca
sovra le case, tragica ed immota,

un pianger di campane era nell'aria,
dai platani cadean le prime foglie;
tremava qualche stella solitaria;

ed un accoramento indefinito
era in quell'ora satura di doglie
che mi tenea come un fanciul smarrito:

un fiorir vago di memorie spente,
di rimpianto per ogni ben perduto
cui passai forse accanto indifferente:

volti di donne intravedute appena,
anime apparse in gesto di saluto
per qualche solitudine serena,

fantasmi erranti che più non ravviso
chiusi nei veli della lontananza,
ombre di pianto, luci di sorriso

rievocanti all'anima in tremore
un fulgor biondo, un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una veranda in fiore.

Dogliosa nostalgia, la più dogliosa:
quella di ciò che trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce sorte ascosa.

Forse... Triste parola, triste quale
fra le rame dei platani stasera
questo languor di cielo autunnale:

triste e pur buona, che pur s'addolora
ne illude ancor di qualche tenerezza
di cui viviamo, in cui crediamo ancora,

di cui può ancora l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a tedio ogni certezza
e il sogno solo può ancor consolare.

Ma questa sera, oh, nulla la consola:
così triste è la casa all'imbrunire
quando si è soli, e pur l'anima è sola.

Le cose amate, le cose più care
son come morte e più nulla san dire
in questa scialba angoscia che traspare

di tra i ricami delle tende bianche
nell'agonia dell'ultimo chiarore
fra voci di campane umili e stanche.

Tristezze d'un crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un vecchio cuore
triste, che una mortal stanchezza ingombra.

«Addio» mormora l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede svolare a frotte
fra rade stelle fantasime lente

nubi di sogni, vanienti forme
perdute incontro all'imminente notte
verso il mistero immobile ed enorme,

e un bisogno d'addii, forse di pianto,
la stringe. Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è partito già, da tanto,

da tanto tempo. «Addio» mormora ancora
e piange stanca, e sentesi morire.
Di che, non sa. Malinconia l'accora.

(Da "I sentieri e le nuvole", Treves, Milano 1911)




UN MITE OTTOBRE
di Gian Carlo Conti (1928-1983)

Pigri voli d'addio
sulla casa fanno
le ultime ali dell'anno.
Quale dolce stagione è mai la nostra:
stare con le braccia nude senza tremare.

(Da "Il profumo dei tigli", Feltrinelli, Milano 1960)




OTTOBRE DENTRO UN NUVOLO DECLIVE
di Arturo Onofri (1885-1928)

Ottobre dentro un nuvolo declive
sui castagneti, mèdita assonanze
fra l'oro morto delle foglie estive
e l'aria azzurra, pregna di distanze.

Ma un rullio d'ali stringe e circoscrive
l'ultime quasi esanimi fragranze
di terra, e irradia nelle zolle attive
l'armonia di più sveglie concordanze.

Un sussulto, che sembra esalar fuori
dal profondo dei suoli agita a tratti
le morte foglie in brividi sonori.

Ma le respinge in basso, dalle zone
alte, qual pullulio d'angoli esatti,
che l'inverno dei cieli in terra pone.

(Da "Vincere il drago!", Ribet, Torino 1928)




OTTOBRE
di Antonia Pozzi (1912-1938)

È crollo di morta stagione
quest'acqua notturna sui ciotoli.

Lànguono
fuochi di carbonai sulla montagna
e gela
nella fontana un fioco lume.

L'alba vedrà
l'ultima mandria divallare
coi cani, coi cavalli,
in poca polvere
dietro un dosso scomporsi.

Pasturo, 30 settembre 1935

(Da "Parole", Garzanti, Milano 1998)




TRAMONTO D'OTTOBRE
di Francesco Scaglione (1891-1946) ed Emilio Scaglione (?-?)

Non più lunghi crepuscoli: difformi
d'ombre i monti e di luci, in queste sere
rapidamente perdon le severe
aridità de le lor cime enormi.

Non più indugi: l'estate è seppellita;
pace a l'anima sua! Questa è la vita.

Che bella sera! Una campana squilla,
ad occidente Venere sfavilla.

(Da "Limen", Giannotta, Catania 1910)



Santiago Rusiñol, "Paseo de los plátanos"
(da https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12082935)



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