venerdì 1 maggio 2015

Il viandante nella poesia italiana simbolista e decadente

Il viandante ha a che vedere con la libertà e, nello stesso tempo, con la ricerca di qualcosa. Questo qualcosa varia a seconda dei casi: Dio, la felicità, il senso della vita ecc. Spesso succede che il protagonista delle poesie sottostanti rimanga deluso dalla sua ricerca, e si penta persino di averla iniziata. Altro simbolo che può essere identificato è quello della solitudine: il viandante, tranne rari casi, è solitario per scelta e, malgrado tale stato non gli comporti dei vantaggi, si percepisce una sua certa fierezza. In molti casi il viaggio che ogni viandante compie, le strade che attraversa, altro non sono che la vita, da tutti affrontata in solitudine, armati di speranze e curiosità che via via vengono meno, fino al momento della morte. Nella poesia di Rubino, il Viandante magro è la morte stessa, descritta in modo sinistro e grottesco, nell'atto di sghignazzare alle spalle dei poveri viventi, destinati prima o poi ad incontrarla.



RONDÒ
di Giuseppe Altomonte (1889-1905)

Io sono un viandante: vado e canto
e canto e vado, solitario, per le
deserte valli, sotto un verde ammanto
di foglie verdi, lacrimanti perle.

E pur non vivo: io sono come un morto
tuffato ne la vita: io questa sento
e pur non vivo ancora: io non ho porto
e me trascina, qual festuca, il vento.

Io non vado: qual possa mi conduce
fra cielo e terra, via, fra terra e cielo?
Ed io son cieco! E a torno tanta luce
sento, vi sia, che a me nasconde un velo!

(Da "Canzoniere minuscolo", Garofalo, Bitonto 1905)





PICCOLI VIANDANTI
di Antonio Beltramelli (1879-1930)

Oggi ho incontrato tre bimbi (oggi è il quinto giorno di gennaio e questa campagna è tetra come una landa) tre bimbi che si tenevano per mano e andavano per una strada interminata. Si sono soffermati quando mi hanno scorto (mi giungevano appena al ginocchio); ma non uno fra essi ha pronunciata parola; mi hanno seguito tacitamente, affrettando il loro piccolo passo su le mie grandi orme.
La neve uguagliava tutte le cose nel freddo dominio invernale.
Giunto alla mia soglia remota, fra gli alberi bianchi, mi sono soffermato volgendomi. I tre bimbi erano a pochi passi da me.
- Che volete piccini?
Si sono guardati senza sorridere. Stavano fra le nevi come gli ultimi virgulti di un ceppo morituro. Poi il più piccolo ha teso di sotto le vesti un moncherino sanguinante e le misere creature, socallate le palpebre, hanno pianto in silenzio.

(Da "I Canti di Faunus", Perrella, Napoli 1908) 





IL VIANDANTE SOLITARIO
di Dionisio Buraggi (?-?)

Oltre quei monti, oltre la selva bruna,
vidi un chiarore pallido, lontano....
Ma d'alba no; di moriente luna.

Ora il bordone sotto la mia mano
tremava; un velo cupo di stanchezza
mi scendeva sul viso. Eppure ancora
volli stradare, contro ogni tristezza;
per non morire prima dell'aurora.

Guardai lontano, oltre una fosca altura;
e la speranza mi sorrise ancora....
Non alba, no; ma lampi di calura!

Null'altro amato aveva che quell'aurora,
finta dal desiderio, divinata
dal sogno; e, avvinto all'ultima speranza,
fissai quella gran terra abbandonata,
protesa nella buia lontananza.

Era silenzio sepolcrale intorno:
larve di luce, pallide, lontane,
mi promisero ancora il grande giorno....
Non era l'alba; erano stelle vane.

(Da "Vigilia", Ricciardi, Napoli 1912)





L'ETERNO VIANDANTE
di Enrico Cavacchioli (1885-1964)

...ed Egli cammina, e va, e va, più non torna,
       e non parla, e non ride, e non
grida. Qual pensiero la sua vecchiezza distorna?
       Ed egli cammina e va:
un feretro sembra il corpo velato d'incanto
       nel sogno ch'è lugubre, con
l'ultima tenerezza d'un ultimo scoppio di pianto.

Deserti e deserti, passò come il core suo vuoto,
       freddo d'angoscia, né sa
per quale cammino il suo desiderio di moto
       fermare un momento, e non
si vuole smarrire nel vento che rugge, nel sole,
       nella livida Eternità
che rese sconvolto il sòno delle sue parole.

Qual carro, passando, non mai l'invitò nel cammino,
       tra l'afa, la neve, la piova?
Così. Non rispose. Andò contro il proprio destino,
       immemore del focolare,
col gesto epilettico d'un povero pazzo canuto
       che cerca, che cerca e non trova.
E quale cavallo, furente del passo perduto

non l'incontrò per la strada sonante di schiocchi?
       Passava, Egli, senza guardare,
tremando di morte su gli istancabili ginocchi,
       cercava la strada nòva
al piede livido e scarno; pensava e passava
       dimentico del verberare
esausto nel grigio cammino di ferro e di lava.

...ed Egli cammina, e va, e va. Più non torna!
       Non più si accorgerà se
albeggi, se annotti: la nebbia del sonno lo attornia
       col vento che porta il suo spirito
per mille salite, per mille discese di monti
       e piani, veduti ne
la malinconia di mille sognati orizzonti...

(Da "L'incubo velato", Edizioni di «Poesia», Milano 1906)





ODE ALL'IGNOTO VIANDANTE
di Sergio Corazzini (1886-1907)

I

Ben ch’io t’oda passare
vicino alla mia soglia
e pensi che tu voglia
battere e domandare,

non tormento a più viva
fiamma la mia lucerna
— cui, nella notte eterna
guardo come a una riva —

e non se, a poco a poco,
cresca la lontananza,
vedovo di speranza,
ormai, te folle invoco,

ché le tue mani sono
colme di doni: porti
ai dolenti conforti,
ai felici perdono.

Hai pianto e un poco vuoi
di quel pianto godere,
qualche lagrima bere,
ancora, con i tuoi.

Donare e perdonare!
Contener nell’immenso
cuore grani d’incenso
pe’ ’l più lontano altare.

Dire al nemico: Sei,
tu, mio padre, mio figlio:
dormi sul mio giaciglio,
che io sul tuo dormirei.

E questo, senza pena
dire e senza tristezza;
sfarsi alla tenerezza
come al mare la rena.

Ma, forse, tu non hai
nessuno e, pure, torni,
così, per pochi giorni,
per un’ora, e non sai

tu, non sai che la povera
piccola casa accoglie
cader di nuove foglie,
fiorir di rose nuove

e che più nulla, più
nulla! del tuo rimane
se, triste come un cane
randagio, vaghi tu

imaginando i nidi
più folti e più canori,
tanto, che ora ne muori
di dolcezza e sorridi.

Ma l’ombra non lo vede
quel tuo sorriso: vela
piccola che s’incela,
sembra, nella sua fede,

e non è che una cosa
trepida, tutta sola,
che, per te, forse, vola,
ma per gli altri non osa,

ma per gli altri non pare
che una vela, una vela
piccola che s’incela
a l’estremo del mare.


II

Viandante, ancor io
risi alla mia speranza,
vissi la lontananza
per vivere d’oblio,

come te, come tutti
gli uomini. Un giorno volli
cantare ne’ più folli
canti i miei folli lutti,

parlare al sole come
al mio cuore e, talvolta,
ove l’ombra più folta
fosse, chiamarmi a nome

e dirmi: «Creatura
vergine, non udire
più. Apprendi, ora, a morire
nella tua sepoltura.

Accendi un lume, un solo.
Medita la tua nuova
vita. A te sia la prova
d’una morte o d’un volo.

Ma non tentare, mai.
Confida, anche, ma senza
elegger la semenza:
dopo non piangerai.

Canzoni assai soavi
canta, se vuoi cantare.
Canzoni marinare
dai ponti delle navi,

canzoni di parole
semplici, a pena nate,
che, ancora, dall’estate
odorano di sole.

Così vivrai, né cura
ti terrà del passante,
ignaro viandante
di una via peritura,

se tu l’oda cantare
o piangere alla soglia
e imagini che voglia
battere e domandare».

(Da "Piccolo libro inutile", Tipografia operaia romana, Roma 1906)





IL VIANDANTE
di Ugo Ghiron (1876-1952)

Quello che soffri è vano,
vano ogni tuo gioire...
Ben tu lo sai, ma invano,
uom che singhiozzi e ridi,
il cammino a ingannar del tuo morire.

[Da "Poesie (1908-1930)", Sandron, Milano 1932]





I DUE VIANDANTI
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

PRIMO VIANDANTE

Duon dì, giovane Sire!


SECONDO VIANDANTE

Viandante, buon giorno!


PRIMO VIANDANTE

Io mi chiamo Ritorno.


SECONDO VIANDANTE

Io mi chiamo Avvenire.
Come canti giulivo!


PRIMO VIANDANTE

Come il tuo canto invita!


SECONDO VIANDANTE

Muovo incontro alla vita!


PRIMO VIANDANTE

Io dalla vita arrivo!


SECONDO VIANDANTE

Profumeranno a mille
sul mio sentier le rose:
avran per me le spose
lampi nelle pupille.


PRIMO VIANDANTE

Profumarono a mille
sul mio sentier le rose:
ebber per me le spose
lampi nelle pupille.


SECONDO VIANDANTE

Sul mio capo la Fama
intesserà suoi veli:
non odi tu? Pei cicli
la Fantasia mi chiama.


PRIMO VIANDANTE

Sul mio capo la Fama
tessè suoi rosei veli;
chiamò, se più non chiama
me Fantasia pei cieli.

Addio, Speranza!


SECONDO VIANDANTE

         Addio,
Ricordo!


PRIMO VIANDANTE (richiamandolo)

       Ascolta ancora...
Quando il ciel che scolora
ti insegnerà l'oblìo,
quando il tuo roseo giorno
premeranno ombre oscure:
quando sarai tu pure
il viator Ritorno,

oh! a chi parte non dire
che son le donne infide,
non dir che il Sogno uccide,
tra le sue folli spire:

Non dir che l'Arte ai cuori
rado sorride: e il mondo
come uno stagno immondo
è di gracidatori:

lascia ch'ei, lieto, al pio
miraggio muova, e canti;
partenti e ritornanti
cantin la vita...
                  Addio!

(Da "Primavere del Desiderio e dell'Oblio", Lattes, Torino 1903)





IL VIANDANTE
di Giuseppe Lipparini (1877-1951)

Io vengo da un paese lontano;
la speranza sola è la mia guida;
ed ho traversato il monte e il piano
sempre con quella compagnia fida.

Ho varcato fiumi larghi e chiari,
corso ho il mare su piccole navi;
mi hanno insidiato i flutti amari,
trovato ho scampo in porti soavi.

Da le sabbie immani del deserto
levai prodigi di pietra al cielo:
mostrò la montagna il fianco aperto
perch'io le togliessi ogni velo:

perché il gran mistero delle età
chiuso nel buio dell'infinito,
risorgesse da l'eternità
davanti a questo mio sguardo ardito.

Animai la pietra ed il metallo,
rapii alla folgore il suo valore,
scrutai le stelle con un cristallo,
e al cielo volgerò nuove prore.

Chi sono? Io vengo d'assai lontano;
ho scritto negli occhi il mio destino,
la Speranza mi tiene per mano.
Io solo, ascolta, io sol son divino.

(Da "Le foglie dell'alloro", Zanichelli, Bologna 1916)





VIANDANTI
di Guido Marta (1882-?)

Ogni cosa cammina.

io ben vedo il cammino
faticoso dei monti,
che sfilano a passo greve
su tutti gli orizzonti —
pellegrini vestiti di turchino
con la loro bisaccia di neve.

E vedo ancora il mare,
che a gran passi d' azzurro
tocca i mondi cantando —
viatore secolare — 
e reca in man come farfalle
le vele rosse e gialle.

Vedo le strade bianche
che camminano per inconitrarsi,
che s'incontrano per fuggire,
che si parlano sottovoce
e lasciano, per segno
del loro incontro, una croce.

E vedo sulla nitida parete
il cammino immutabile del tempo
nel dondolar dell' orologio a pendolo:
e il cammino del cuculo barbogio,
che s'affaccia ogni tanto alla sua tana
per dirci che la morte,
ad ogni ora, si fa meno lontana.

...Ma l'ombra del cuore, che va
pari passo con me, per il mondo,
fratelli, non posso vedere,
ma solo sentir nel profondo:
e mi sembra il nottambulo
ohe ci accompagna ogni notte
per la solita via,
quello che sappiamo all'ascolto,
disperandoci solo
di non conoscerne il volto.

(Da "La neve in giardino", Il Giornale dell'Isola Letteraria, Catania 1922)





IL VIANDANTE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

Un uomo va:
solo solo solo.
Nessuno gli parla,
nessuno lo guarda:
cammina cammina cammina.
Ogni tanto lascia cadere
qualche cosa
che non si vede
che non si conosce:
solo solo solo.
Una volta guardava le stelle
ora guarda il mare
lontano lontano lontano.
Una volta guardò una fanciulla
una volta, una volta sola!
e seguitò a camminare
a camminare a camminare.

Caduta l'ultima illusione
raggiungerà
il possibile porto della Felicità
chiomato di cipressi.

(Da "La Veglia", Unione Arti Grafiche, L'Aquila 1913)





IL VIANDANTE MAGRO
di Antonio Rubino (1880-1964)

Grigie nel violaceo mattino
traggon le nubi ad una ridda folle:
per l'erta solitaria del colle
s'affretta un singolare pellegrino.

Porta una cappa di candido lino,
e incontro a lui su rei càlami estolle
tasso barbasso le fetenti ampolle:
funghi immondi gl'infiorano il cammino.

Or sì or no l'accidia d'un vento
con un trito gridìo di spiriti egri
garrisce tra gli stecchi un suo lamento,

e il peplo balla tentenna e svolazza,
scoprendo l'ossa degli stinchi allegri
e l'atroce mascella cbe sghignazza.

(Da "Versi e disegni", Selga, Milano 1911)





UN VIANDANTE
di Diego Valeri (1887-1976)

Tutto il mio giorno, fratello, ho camminato.
La sera è presso: sono stanco, e non posso
più proseguire... Mi siedo in riva al fosso:
buona è la terra al corpo affaticato.

Tutto il mio giorno per le strade sperdute
nella pianura, pei sentieri dei monti,
verso l'abbraccio dei più vasti orizzonti,
verso un sorriso di stelle sconosciute.

Folle era il sogno, e bugiardo l'invito,
e stolta l'ansia, l'ansia d'andare vana...
Poter tornare alla casa lontana!..
O mio fratello, perché son partito?

(Da "Crisalide", Taddei, Ferrara 1919)





SERENATA ALL'ALTRO VIANDANTE
di Mario Venditti (1889-1964)

Io vado solo: in vece a te s'allaccia
colei che a vespro t'era ignota ancora
(stella fissa o cadente? passiflora
o aconito?). E per ciò mi ridi in faccia.

Hai troppa fretta: tu non sai né meno
se in fondo a questa via splenda lo stemma
d'una reggia, o si mascheri il dilemma
d'una navaja intrisa di veleno.

Aspetta, per deridermi, che possa
il sole trasformare il tuo cammino
di vagabondo in orma del destino
e il labbro ignoto in una rosa rossa.

Ed, anche allora, chiediti se io sia
degno soltanto del tuo scherno, o pure
se delle due dissimili venture
non sia più dolce della tua la mia:

la mia che — solo — sa non separarmi
dal mio Amore; e mi dona il privilegio
supremo che nessuno il sacrilegio
commetta, amando, di rassomigliarmi.

(Da "Il cuore al trapezio", Taddei, Ferrara 1921)



Caspar David Friedrich, "Wanderer above the sea of fog"

2 commenti:

  1. Grazie per quest'altra bella ricerca di poeti dimenticati (o mai conosciuti). Ho trovato di Dionisio Buraggi questa pagina https://archive.org/details/vigiliaversi00bura dove si possono leggere molte altre sue poesie. Un caro saluto.

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    1. Grazie a lei per il suo bellissimo e interessantissimo blog. Per quel che riguarda Dionisio Buraggi, la sua poesia "Il viandante solitario" proviene proprio dalla raccolta da lei menzionata (come sicuramente avrà notato). Continuerò a proporre altre ricerche sulla poesia primo-novecentesca italiana, sperando ancora di suscitare il suo interesse. Un caro saluto.

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