Roma è la mia
città di nascita ed è anche la città in cui vivo, quindi non potevano mancare,
in questo blog, delle poesie dedicate a quella che è stata definita "Città
eterna". Io non so se sia veramente eterna, ma certamente Roma è una delle
metropoli più belle e visitate del mondo. I poeti che ho scelto in questa
selezione, non sono tutti romani, ma tutti hanno amato Roma e la gran
parte di essi ha vissuto molti anni nella capitale italiana. Questi versi a
volte parlano di specifici luoghi romani, che possono essere quartieri, piazze
o tratti di strade famosissime; Corazzini definisce "Isola dei morti"
la nota Isola Tiberina, poiché tanti anni or sono, vi si trovava un vero e
proprio lazzaretto in cui, purtroppo, andavano a morire migliaia di persone
gravemente malate. Ci sono poeti che descrivono Roma in determinate stagioni;
altri si ricordano di particolari momenti della loro vita nella capitale
italiana; altri ancora si lamentano dei comportamenti spesso assunti da
determinati romani. Un discorso a parte merita Giorgio Vigolo: poeta nato e
vissuto sempre a Roma, che ha decantato, sia in verso che in prosa, le infinite
bellezze di Roma in modo incantevole, e che qui certamente non poteva essere
assente.
COLOSSEO
di Elio Filippo
Accrocca (1923-1996)
Da quella mia
finestra
penetra,
nell'orchestra
assorto, il gaio
colle
che al molle
oppio del nome si richiama
e dice a rude,
che ama, pietra (come
nel verde può sua
brama
nascondere?):
"La trama
del suo lento
raggiro non si perde".
(da "Ritorno
a Portonaccio, Mondadori, Milano 1959, p. 126)
AURELIA ANTICA
di Elena
Clementelli (1923-2019)
Sulla pomposa porta pontificia
piegano il dorso
pini sconosciuti.
Consueto
passaggio
che la fretta di
tutti i giorni
a pertugio
obbligato riduce.
Oggi ci astrae
nella sosta allo
scatto del semaforo
il contorno di
cose che un chiarore
alto di luna fa
scure e precise,
mentre si placa
la malattia d'andare
sempre fuggendo,
fissi gli occhi a
un vuoto
che l'esistere
stesso pone in forse
o ha già annientato.
No,
se trionfa anche
un solo istante
questa capacità
di assumere
un brivido
esteriore di vita
e farlo nostro
nello stupore
da cui sempre
nasce e rinasce la coscienza
d'essere
presenti.
(da "Così
parlando onesto", Garzanti, Milano 1977, p. 35)
ISOLA DEI MORTI
di Sergio
Corazzini (1886-1907)
Il lampione di
San Bartolomeo
non si rassegna
alla sua mala sorte;
il tragico fanale
della Morte
rinnovella il
martirio prometeo?
Veglia se vada il
funebre corteo
del morto ignoto
oltre le fosche porte
ove già tante
creature morte
stanno come in un
fetido museo.
Su le pietre, dai
luridi lenzuoli
cola il sangue
nerastro degli umani
che agonizzaron,
nella notte, soli.
Ritto, immoto, su
l’isola terribile,
per i fratelli
che sono lontani
arde il fanale
d’odio inestinguibile.
(da
"Poesie", Rizzoli, Milano 1992, p. 139)
PRIMAVERA ROMANA
di Donata Doni
(pseud. di Santina Maccarone, 1913-1972)
Non puoi
rifiutarla.
Ti assale con i
suoi fiori
la primavera.
Le cascate dei
glicini
lungo le strade,
i grappoli dei
lillà
nei chioschi dei
fiorai,
le rose che si
affacciano
dai cancelli
delle case,
le candide siepi
di spirea,
le calle
immacolate,
il rosa tenue dei
gerani
spinto oltre i
balconi.
E tanti tanti
altri fiori.
Ti tradisce un
risveglio nel cuore
che la neve
di lunghi inverni
rese di pietra.
Un tremore
sottile
come l'aura che
passa
tra le acacie in
boccio.
Non puoi
rifiutarla.
Anche per te,
per i tuoi occhi
smemorati
è venuta la
primavera.
Roma 27 aprile 1971
(da "Il
fiore della gaggìa", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1973, pp. 85-86)
PORTA SAN
GIOVANNI
di Luciana Frezza
(1926-1992)
Il mio vecchio
quartiere
con un sospiro di
colori e odori
risuscita con me
nel mezzogiorno
sfumato dal primo
caldo, si leva
brulicante
preghiera alla basilica
- ingranaggio di
marmi e antri gelidi
soverchiati
dall'azzurro e l'alta passeggiata dei Dodici -
festeggia il mio
ritorno
con rosse trombe
distese
all'ombra dei
baracconi
la porchetta
soave
le conocchie di spigo per la veglia
della notte
stregata.
Città sangue
tante volte
rifiutata
per quante ho
rifiutato me stessa,
oggi festosa e
lacera, impugnata
bandiera della
mia vita, dai tempi
dai luoghi, è
questo il nostro incontro.
(da
"Comunione col fuoco. Opera poetica", Editori Internazionali Riuniti,
Urbino 2013, p. 297)
A VILLA MEDICI
di Adriano Grande
(1897-1972)
Protese mani, le
foglie del fico
varcano i muri.
Ne sbucano, sassi
della rena d'un
rivolo, gli acerbi
frutti azzurrini.
Più oltre, dai rami
curvi del cedro,
verdi cenci pendono
immoti. Ancor più
dietro è il candelabro
storto d'un pino
verdescuro; e ancora
più dietro, vaghi
ciuffi frastagliati,
schizzano in aria
le palme giganti.
Cime e poi cime
di aguzzi cipressi
frugano il cielo.
Sembran strane piume
di corvo, gonfi
pennelli nerastri.
Come cornici di
spesso velluto
siepi di tasso e
lauro, di mortella
e d'oleandro
esaltano aiuole,
vasche, gradini,
grotteschi e viali;
forme sapienti
quanto le facciate
dei palazzi,
rossastre, che il riverbero
sfuma e
corrode...
È quando la feroce
immensa estate
romana tramuta
persino le colonne
in tronchi d'albero,
quando gli
antichi monumenti oscillano
nella calura come
in uno specchio
e le statue si
fan creature vive,
pigre, stordite
di sole e d'azzurro.
(da
"Acquivento", Carpena, Sarzana 1962, pp. 106-107)
IL PALATINO
di Aldo
Palazzeschi (1885-1974)
Sui morbidi
cuscini del tempo
il corpo riposa
nel torrido
meriggio d'estate.
Il pensiero
non ha la forza
di evocare
né ombre né
fantasmi
e l'occhio appena
sorprende
dei vapori
trasparenti
che salgono dalla
terra
e il calore
discioglie e discolora
nella luce.
Bevute dal sole
le pietre sono
bianche
come tombe
anonime e deserte
riarse
e le fronde
palpitano leggere
di un'aspirazione
celeste.
Pel cocente
abbandono
i sensi
percepiscono
soltanto un profumo:
il presente puzza
e il futuro è
termine vago...
il passato non
puzza più
ha un vago
profumo di foglie secche
il passato.
(da "Cuor
mio", Mondadori, Milano 1977, pp. 55-56)
BELLA ROMA
di Mario Tobino
(1910-1991)
Bella Roma
quando al
tramonto
l'ocra dei
palazzi risponde
al sole che se ne
va,
mormorio di
infinite storie,
archivio di
secoli.
Ma, ohimè!
ci sono i romani
viventi,
quelli di oggi,
grossi di parole,
si muovono da
facchini,
un'orda di
bisonti.
(da "L'asso
di picche. Veleno e Amore secondo", Mondadori, Milano 1974)
IO SONO VISSUTO
di Giorgio Vigolo
(1894-1983)
Io sono vissuto
da lunga
epoca in questa
città di rimorsi,
di colossei
bruciati dal sole,
di nere chiese
vendicative;
da lungo tempo il
mio sonno accoglie
una fuga di
secoli la notte,
come dormissi nel
letto d'un fiume
e alta sulla mia
testa
andasse l'onda
dei morti.
Tralucono dentro
al mio sonno
gl'incendi dei
grandi templi
e i cavalli
corrono
sui ponti
notturni a Castello
dove la scure è
levata.
- Ferma, ferma la
mano del boja,
grida la voce
afona dei sogni:
ma già la mia
testa è caduta.
(da "La luce
ricorda", Mondadori, Milano 1967, pp. 247-248)
QUANDO TORNAI A
ROMA
di Saverio
Vollaro (1922-1986)
Quando tornai a
Roma pioveva da due giorni,
s'erano
ingrossate le fogne
e le fontane
salivano diritte senza lavare.
I preti e i gatti
dormivano
nei loro buchi
solenni, una macchia di professori
usciva dal
ministero coprendosi di giornali.
Il Tevere agitava
le prime disgrazie
ed erano chiusi i
circoli siciliani.
Vidi operai che
riparavano la via Olimpica
usando un
semolino a pronta presa
conservato nei
bidoni, scope e mazzetti di rami.
(da "Romoli
e rome", Mondadori, Milano 1962, p. 108)
Giovanni Paolo Panini, "Roma antica" (da questa pagina web) |
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