Talvolta
(la notte è scesa
con la paura
e il vipistrello
sventola
l’ali sue di
spettro
che non fanno
strepito)
dentro la nostra
casa solitaria
sentiamo brevi
rumori nell’aria...
Sono le piccole
cose che tremano.
Talvolta
(entrando nella
stanza
dove l’ombra ha
dormito in una bara)
sentiamo una lima
lontanissima
limare,
stridere un
tarlo...
Sono le piccole
cose che gemono.
Talvolta
(l'anima nostra è
in pace
e l'occhio svaria
dalla finestra
aperta
su la campagna
che giace
quieta e
solitaria
sotto la luna
deserta)
sentiamo
nell'aria...
Sono le piccole
cose che cantano.
Le piccole cose è il titolo di una poesia di Tito Marrone (pseud. di Amedeo Marrone, Trapani 1882 - Roma 1967), che fu
pubblicata per la prima volta nella rivista La
Vita Letteraria del 1° di giugno del 1905. In seguito ricomparve in varie antologie,
per essere poi inclusa nel volume: Tito Marrone, Antologia poetica a cura di Donatella Breschi, Guida Napoli 1974;
qui la si trova alla pagina 128 (vedi foto in alto), come sesta poesia della
sezione Poemi provinciali (1903-1907).
Questi versi hanno ben poca attinenza con la poesia delle "piccole cose"
di pascoliana memoria; nemmeno hanno a che vedere con le famose "cose di
pessimo gusto" decantate da Guido Gozzano. Il poeta che più si avvicina,
per tematica e per modus operandi,
alla lirica del Marrone, è senz'altro Sergio Corazzini, che in una prosa lirica
intitolata Soliloquio delle cose, fa
un'operazione molto simile a quella del poeta siciliano: entrambi danno vita
agli oggetti - piccoli e insignificanti - che si trovano all'interno della loro
casa; questi ultimi quindi si animano, pensano, parlano, a volte si muovono e
di conseguenza emettono dei rumori. A mio personale parere, è anche una sorta
di reazione che nasce da un'esistenza costretta alla solitudine - magari
limitata e confinata alle mura di un appartamento -, da cui la mente cerca di
evadere immaginando che gli oggetti domestici (unici compagni presenti) possano
in qualche modo possedere dei requisiti inerenti alla vita, così come le
piante. Da questo presupposto nascono le fantasticherie raccontate dal Marrone,
che percepisce dei rumori insoliti e misteriosi, e li spiega col fatto che gli
oggetti siano in grado di far avvertire la loro essenza vitale soltanto in quel
modo, e che il poeta sia il solo (o uno dei pochi) a poterlo testimoniare.
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