Je porte en
moi le tombeau de moi même
et suis plus
mort que ne sont bien de morts
Le gocce cadevano
rare...
qual sangue che
sgorghi tepente
le intesi sul
volto colare:
e l'afa era
greve, opprimente
in quell'estuare
precoce
di un livido
cielo inclemente.
Ne 'l core mi
tacque ogni voce:
il cuore mi fu un
utensile
inutile, sordo e
veloce.
La stupida mente
servile
pur senza
sentiero, sentiva
null'altro che
d'esser vile...
Ne 'l sonno che
lento sfiniva
le membra pesanti
mi parve
la stessa mia
vita non viva.
Venivano intorno
le larve
di un sogno che
con l'oscurare
del sole più non
comparve:
le gocce cadevano
rare...
Nubila è il titolo di una poesia di Guido Ruberti (Roma 1885 - ivi 1955), che fa parte della raccolta Fiaccole, pubblicata nel 1905 dalla Casa Editrice Nazionale Roux & Viarengo, che aveva sede sia a Roma che a Torino. Più precisamente, Nubila (titolo in lingua latina che significa "Nuvole"), si trova alle pagine 16 e 17 di detto volume (vedi foto in alto), come terzo componimento poetico della prima sezione intitolata: Libro I (1903-04). L'epigrafe riporta due versi di Théophile Gautier, che fanno parte della lirica Le trou du serpent (in italiano si possono tradurre così: Porto in me la tomba di me stesso / e sono più morto di molti morti). Dopo molti anni dalla sua prima pubblicazione in volume, Nubila fu recuperata dal critico letterario Nino Tripodi, che la inserì nell'antologia I crepuscolari (Il Borghese, Milano 1966); qui la si legge a pag. 399. Il tema trattato da questi versi è comune a molti poeti crepuscolari, e riguarda sostanzialmente il sentirsi svanire, in una giornata caldissima, sia a livello cerebrale che corporale. Da notare che Ruberti parla di qualcosa già avvenuto, come dimostra l'uso dell'imperfetto. Mentre l'afa imperversa spietata, il poeta sente le gocce di sudore che scorrono lungo il suo volto e poi cadono; nello stesso tempo egli prova una sorta di torpore, un senso di debolezza ed una soverchiante sonnolenza che lo spingono a lasciarsi andare, quasi stesse per morire, abbandonandosi alle larve di un sogno che, col finire della giornata, si dilegua, scompare così come la sensazione di vivere, lasciando prevalere soltanto il presentimento di una imminente e dolce morte.
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