domenica 22 agosto 2021

La poesia di Trilussa

 

Pur non essendo un appassionato di poesia dialettale, da quando leggo libri di versi, a volte mi sono imbattuto in pagine di antologie che riportavano versi in dialetto. Essendo io romano, è naturale che andassi a cercare prevalentemente i poeti nati nella capitale; tra costoro, colui che mi ha attratto di più è senz'altro Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, Roma 1871 - ivi 1950). In verità, alcuni suoi versi, li avevo già letti fin da bambino, trovandosi essi nei testi scolastici per una evidente semplicità che ne consentiva la comprensione anche ad un pubblico infantile. Trilussa è stato, tra l'altro, uno dei primi poeti che ho letto, proprio perché il suo dialetto romanesco non era "puro", ma contaminato dalla lingua italiana, e quindi tutt'altro che complicato. Se è vero che - parlando di poeti dialettali romani - Giuseppe Gioacchino Belli rimane e forse rimarrà sempre il numero uno in assoluto, è altrettanto vero che Trilussa, in popolarità, superò e tutt'ora supera quest'ultimo. La sua poesia, come giustamente affermarono molti critici, ebbe larga fortuna grazie ad alcuni elementi base che la contraddistinguono: l'ironia, l'umorismo, la satira e il sentimentalismo. Altro elemento che ha permesso al Trilussa di affascinare una larga fascia di pubblico, è stato quello favolistico; la favola, con gli animali che parlano e che rispecchiano i pensieri e le azioni degli esseri umani, si ritrova molto spesso nei componimenti del poeta romano, il quale certamente ebbe ben presenti favolisti famosi come Esopo e La Fontaine. Ma le favole del Trilussa non hanno alcunché di moraleggiante; al contrario, tendono a far emergere tutti i lati peggiori dell'umanità; poiché, se determinati comportamenti animaleschi sono dettati soltanto dall'istinto, nei personaggi trilussiani vengono fuori parecchi difetti prettamente umani, che vanno dall'egoismo al menefreghismo, dall'avarizia all'invidia, dalla cattiveria alla spietatezza. Qualcuno, inoltre, ha notato in determinati versi, una certa amarezza mista a malinconia, elementi questi che possono perfino avvicinarlo ai crepuscolari; d'altronde, egli visse a Roma nei primissimi anni del XX secolo, proprio quando nacque il gruppo romano che aveva come punto di riferimento Sergio Corazzini; i poeti di questo cenacolo, sicuramente dovettero conoscerlo (se non di persona, almeno dalle tante sue poesie che in quel tempo venivano pubblicate sui giornali e sulle riviste più popolari), e forse più di qualcuno lo imitò¹. Chiudo riportando dapprima tutte le opere poetiche pubblicate dal Trilussa, quindi tre fra le sue poesie che più mi piacquero, leggendo l'unico libro di versi del poeta romano che acquistai quasi trent'anni or sono.

 

NOTE

1) Da ricordare che Sergio Corazzini, giovanissimo, pubblicò su alcune riviste romane, diverse poesie in romanesco che avevano alla base una buona dose di satira.

 

 

Opere poetiche

 

"Stelle de Roma", Cerroni & Solaro, 1889.

"Er mago de Borgo", Cicerone, 1890.

"Quaranta sonetti romaneschi", Voghera, 1895.

"Altri sonetti", Folchetto, 1898.

"Favole romanesche", Voghera, 1901.

"Caffè-concerto", Voghera, 1901.

"Er serajo", Voghera, 1903.

"Le favole", Voghera, 1908.

"I sonetti", Voghera, 1909.

"Nuove poesie", Voghera, 1910.

"Le storie", Voghera, 1912.

"Omini e bestie", Voghera, 1914.

"Le finzioni della vita", Cappelli, Rocca S. Casciano 1918.

"Lupi e agnelli", Voghera, 1919.

"Le favole", Modernissima, 1920.

"La gente", Mondadori, 1927.

"Libro n. 9", Mondadori, 1929.

"Giove e le bestie", Mondadori, 1932.

"Libro muto", Mondadori, 1935.

"Acqua e vino", Mondadori", 1945.

"Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1951.

 

 


 

 

Testi

 

 

 

LA MASCHERA

 

Vent'anni fa m'ammascherai pur'io!

E ancora tengo er grugno de cartone

che servì p'annisconne quello mio.

Sta da vent'anni sopra un credenzone

quella Maschera buffa, ch'è restata

sempre co' la medesima espressione,

sempre co' la medesima risata.

Una vorta je chiesi: - E come fai

a conservà lo stesso bon umore

puro ne li momenti der dolore,

puro quanno me trovo fra li guai?

Felice te, che nun te cambi mai!

Felice te, che vivi senza core! -

La Maschera rispose: - E tu che piagni

che ce guadagni? Gnente! Ce guadagni

che la gente dirà: Povero diavolo,

te compatisco... me dispiace assai...

Ma, in fonno, credi, nun j'importa un cavolo!

Fa' invece come me, ch'ho sempre riso:

e se te pija la malinconia

coprete er viso co' la faccia mia

così la gente nun se scoccerà... -

D'allora in poi nascónno li dolori

de dietro a un'allegria de cartapista

e passo per un celebre egoista

che se ne frega de l'umanità!

 

 (da "Poesie scelte", volume primo, Mondadori, Milano 1993, p. 151)

 

 

 

 

AVARIZZIA

 

Ho conosciuto un vecchio

ricco, ma avaro: avaro a un punto tale

che guarda li quattrini ne lo specchio

pe' vede raddoppiato er capitale.

 

Allora dice: - Quelli li do via

perché ce faccio la beneficenza;

ma questi me li tengo pe' prudenza... -

E li ripone ne la scrivania.

 

(da "Poesie scelte", volume secondo, Mondadori, Milano 1993, p. 109)


 

 

  

FELICITÀ

 

C'è un'Ape che se posa

su un bottone de rosa:

lo succhia e se ne va...

Tutto sommato, la felicità

è una piccola cosa.

 

(da "Poesie scelte", volume secondo, Mondadori, Milano 1993, p. 278)

 

 

 

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