domenica 15 dicembre 2019

10 poesie tratte da 10 opere in versi per l'infanzia, scritte da 10 poeti italiani del XX secolo


Quando, già diversi anni or sono, riandai a sfogliare dopo tanto tempo i vecchi libri di scuola, mi fece grandissimo piacere il ritrovarvi alcune poesie semplici, che a volte erano vere e proprie filastrocche, e che mi avevano accompagnato durante i favolosi anni dell'infanzia. Erano versi che avevo quasi dimenticato; ho detto quasi, perché in realtà, dentro di me, qualcosa era rimasto, e questo qualcosa è riemerso non appena ho riletto quelle pagine, suscitandomi un'emozione rara, ed una altrettanto intensa tenerezza, forse dovuta all'estrema ingenuità di quelle parole in rima che ritrovavo intatte, e che ora leggevo con altri occhi e con altri pensieri. Gli autori delle poesie per ragazzi che ho ritrovato nei testi scolastici dei miei tempi, sono più o meno famosi, e rispondono ai nomi di Giovanni Pascoli, Guido Gozzano, Angiolo Silvio Novaro, Renzo Pezzani, Lina Schwarz, Diego Valeri e altri ancora, che non conoscevo né conosco. Da quando mi è nata la passione per la poesia italiana, alcuni di questi poeti hanno riempito gli scaffali della mia personale libreria; però non tutti hanno scritto dei libri di versi destinati al solo pubblico infantile, anzi, ce n'è più di uno che non lo ha mai fatto. In questo mio post, intendo ricordare alcuni di coloro che scrissero e pubblicarono libri di versi per ragazzi o per bambini durante il XX secolo. Sono 10 poeti e 10 poesie; spiccano alcuni nomi, che sono, alla fine, quelli che ho già citato in precedenza. Il libro più vecchio è del 1904 e fu scritto da Lina Schwarz; il più recente, autore Nico Orengo, è del 2000, e quindi si pone al confine col nuovo millennio. I testi che ho scelto forse non sono tra i più famosi, ma proprio per questo ho voluto metterli in luce, visto che li ritengo particolarmente belli e meritevoli. I temi trattati sono svariati, e si può notare che in alcuni fa la sua prepotente comparsa l'argomento religioso; ciò è comprensibilissimo, considerando l'educazione prettamente cattolica che generazioni e generazioni di bambini del XX secolo hanno avuto (me compreso). Ci sono anche degli elementi drammatici: piccoli, nel caso in cui un canarino in gabbia viene catturato da un predatore; ma anche grandi, quando, in un cimitero di campagna, una madre che ha perduto la figlioletta si raccomanda a tutti coloro che dovessero visitare quello sperduto cimitero, affinché dedichino un canto o una preghiera a quella povera bambina che, sebbene sia morta, può ancora udire e rallegrarsi delle manifestazioni di affetto che riceve dalla buona gente.


10 poesie tratte da 10 opere in versi per l'infanzia scritte da 10 poeti italiani del XX secolo



ANGELO MIO
di Graziella Ajmone

Angelo mio custode,
che invisibile accanto
mi fosti dal fiorire dei miei giorni,
compagno silenzioso
al mio canto e al mio pianto,
forse un poco t'oblio nel mio cammino.
Ma talvolta, in cert'ore
incantate e sognanti,
io ti sento vicino
- trasparenza d'un'ala,
splendor d'un viso bianco -
come quando bambina,
umidi ancora gli occhi d'innocenza,
ti vedevo al mio fianco
e stavo cheta e buona
perché tu non fuggissi.
Non i bimbi soltanto;
per quel piccolo lume di poesia,
che il Signor m'ha donato
e che tu reggi acceso
a illuminarmi il cuore,
io ti vedo talora, angelo mio,
così come ti vidi
sulle strade d'allora.

(da "Mattutino", Vita e Pensiero, Milano 1942)






LA CICALA
di Vittorio d'Aste

Nel querceto assolato
la cicala ha cantato.
Frii, frii, frii, qua e là,
ha cantato e canterà:
gli occhi bevono il sole.
Tutto per sé lo vuole.
Ha l'ala trasparente
e canta assiduamente;
ma se il cielo s'oscura,
la pioggia la impaura.
Stremo sole d'agosto,
in autunno bolle il mosto;
quando l'uva s'ammora
la cicala canta ancora.
Il sole la gioia le dà:
Frii, frii, frii: Dove sarà?

(da "I flauti azzurri", Vallecchi, Firenze 1926)






IL MANTO DELLA PRIMAVERA
di Idilio Dell'Era

La primavera è come una regina,
appende drappi d'oro alle finestre,
inargenta di gigli la collina,
mette zecchini in bocca alle ginestre,
e specchia dentro gli occhi dei ruscelli
la sua giovane grazia innamorata
e ci lascia l'odore dei capelli
come una lucentissima cascata
di petali ed il suo bel manto rosa
perde una frangia in mezzo ai biancospini,
la sera si addormenta luminosa
dietro l'ombra di rondini e bambini.

(da "Il canzoniere del fanciullo", Effigi, Arcidosso 2000)






PICCOLO DRAMMA
di Matilde Fondi Caccia

Avevo un canarino nella gabbia,
vicino al rampicante, sul balcone.

Stamani nel portargli il biscottino
e l'acqua e il miglio per la colazione,
ho visto, ahimé, che vuota era la gabbia!
Il canarino mio non c'era più!

Poche piume leggiere tra due sbarre
con un grumo nerastro appiccicato.

«Un uccellaccio? La civetta! Oh è certo!
Questa notte cantava...»

E m'ha serrato
tra le braccia la mamma, consolando
in silenzio il mio pianto desolato.

(da "Voci sommesse", Tip. Rondoni, Roma 1964)






LA BUONA NOTTE DELLE RONDINI
di Angiolo Silvio Novaro

Quando muore il dì perduto
dietro qualche oscura vetta,
quando il buio òccupa muto
ogni vuota erbosa via,
una strana frenesia
tra le rondini scoppietta.

Come bimbi sopra l’aia
giocan elle con giulive
grida intorno alla grondaia,
e poi su pel cielo rosa
vanno vanno senza posa
dove Iddio soletto vive.

Gaie arrivano in presenza
del buon Dio, che tutto accoglie;
una bella riverenza
fa ciascuna; e poi dice:
- Sia la notte tua felice! -
Dice, e il volo, quindi, scioglie.

Scioglie il volo, e giù si china
con un poco di tremore
per la lieve aria turchina;
e ritrova le sue orme,
trova il nido, e vi si addorme
col capino sopra il cuore.

(da "Il Cestello", Mondadori, Milano 1939)






LA SABBIA
di Nico Orengo

Non scompare mai
la sabbia dell'estate,
riappare fra le lenzuola,
nello zaino di scuola,
fresca saltella in tasca,
da Natale a Pasqua
e giù ancora
quando è l'ora
di tornare al mare.

(da "Spiaggia, sdraio e solleone", Einaudi, Torino 2000)






CIMITERO DI CAMPAGNA
di Renzo Pezzani

Campetto fuori mano
col muro inamidato di calce
dove non passa la falce,
dove non cresce mai grano;

più piccolo d'un cortile,
più povero d'un sagrato,
ma verde come un prato,
prato di mezzaprile;

se non ci fosse la povera gente
che si china per un fuscello
e viene a pregare al tuo cancello
aguzzo come un tridente;

se non ci fosse di tanto in tanto
un morto da seminare,
una croce da piantare,
povero camposanto.

Chi vive, chi cerca pane
- e i giorni sono così corti -
non ha tempo di pensare ai morti
dei paesi verdi e sotterranei.

Solo una mamma che so io,
quando butta le briciole agli uccelli,
dice loro: - O benedetti da Dio,
quella bambina di così bei capelli,

ricordate? quella bambina
che pettinavo sulla porta
e le facevo una treccina
per ogni spalla, è morta.

Sui ginocchi me la son vista mancare.
Era così savia che l'ha voluta Gesù.
(Gli uccellini per ascoltare
sono lì che non beccano più).

Se mai passaste dal cimitero
così verde col muro di gesso,
fermatevi. C'è un cipresso.
Ma buono, anche se nero.

Cantate l'aria che volete.
La mia piccola vi sentirà.
Ancora briciole, prendete:
carità per carità.

(da "Belverde", Società Editrice Internazionale, Torino 1935)






ARMI DELL'ALLEGRIA
di Gianni Rodari

Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche fumetto)
ma buchi non ne fa...
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino...
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio,
ma non farebbe male
né a una mosca né a un caporale...
Armi dell’allegria!
Le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!

(da "Il libro degli errori", Einaudi, Torino 1980)







LA BAMBOLA DIMENTICATA
di Lina Schwarz

La bimba dorme nel suo lettino,
Dorme tranquilla, sogna beata...
E la sua bambola, fuori in giardino,
Sta sola sola, dimenticata.

Piove a dirotto tutta la notte...
Povera bambola, che infreddatura!
Star lì inzuppata, con l'ossa rotte,
Liquefacendosi per la paura.

Ma quella bimba, poi, domattina,
Quanti rimproveri farsi dovrà,
Quando la cara sua bambolina,
In quello stato ritroverà!

(da "Il libro dei bimbi", Bemporad, Firenze 1928)





CHIARO
di Diego Valeri

Quando il trenino campagnuolo
sosta alle piccole stazioni
(cubetti rossi di mattoni
su un sfondo di verde oro),

nel silenzio improvviso immenso
odi cantare uccelli, frusciare
tra le fronde fresche e rare
il respiro piumoso del vento.

Vedi levarsi tra rosei pèschi
un ciliegio bianco verdino,
segnando nel grigio celestino
del cielo i suoi teneri rabeschi.

Di qua di là, tra gelsi verdoni,
vedi casolari spalancati,
coi materassi arrotolati
che traboccano dai balconi.

Donne si fanno su la soglia,
le braccia nude arcate sui fianchi,
bimbi sollevano le gambe stillanti
dall'acqua azzurra della roggia.

Ombre trascorrono su la faccia
del piano, che sospira profondo:
ombre di angeli che vanno intorno
per il cielo, in pallida traccia.

(da "Poesie piccole", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1969)





lunedì 9 dicembre 2019

Dal canzoniere di un vecchio: Davanti al caminetto


Lo so, lo so: dentro la scorza e i duri
Stami di vostre fibre, o piccioletti
Tronchi, o fascine, imprigionato è il sole
Che vi diè vita... Un dì, giovani rami,
Superbamente la materna quercia
Coronaste di verde; e ben vi parve
Miserevole cosa il gramo arbusto
Su cui l'ombra cadea di vostre foglie,
Tremolanti alla brezza e al vivo sole,
Libere, in alto. Oggi uno stesso fato
Qui vi accomuna; con mal ferma mano
Vi sovrappongo, e, come allor, l'arbusto,
Or tagliato in fascine, un'altra volta
Vi sottostà, ma con diversa sorte.
Ai suoi rami sottili io raccomando
La cara fiamma, ed esso a voi non ombra
Rende, ma luce, ma calore, e al raggio
Almo del sole, in voi dormente, indice
Lietamente la sveglia... Ecco sorride
Il picciol antro affumicato; crepita,
Crepita la fiammata, e in alto spingesi
E per la gola del camino esalasi,
Quasi tornar voglia lassù, nell'aere,
Là dove il padre Sol la invita a ascendere.
Ed io stendo le mani, e il corpo tutto
Protendo, e parte almen tento assorbire
Del colore novo. Un po' di sole ho anch'io,
Latente, sangue, fibre, ossa ridotto
Ed anima... Ma niente ahimè v'induce
Fiamma e calore!... Sopravvivo. È morto
Tutto per me; morti i miei cari; morte
Le mie speranze, i sogni miei!... Felici
Voi, tronchi, voi, fascine! Ecco già siete
Ritornati lassù, mentr'io rimango,
Cenere, a contemplare il cener vostro!





Ecco una poesia molto bella, firmata da un certo Pietro Griffo, di cui non ho trovato alcuna notizia (escludendo che possa essere il famoso vescovo pisano vissuto a cavallo tra il XV ed il XVI secolo). Questi versi, che furono pubblicati nella rivista Cenerentola del 3 dicembre 1893, parlano di un signore anziano e solo - forse il poeta stesso che li ha scritti -, che si trova nella sua casa in una rigida giornata invernale e che, per riscaldarsi, raduna un po' di legna e accende un fuoco nel suo caminetto. Fatto ciò, postosi davanti al focolare, comincia a meditare su quei rami e quelle fascine che guarda mentre a poco a poco s'infiammano. Pensa a quando, anche loro, giovani e forti, erano parti di un albero robusto; ora, secchi e in pezzi, si ritrovano tutti accomunati dalla medesima sorte, e il fuoco li divora incenerendoli; la loro energia adesso abbandona per sempre la terra e s'innalza verso il cielo, dove il sole, come un padre che aspetta il ritorno dei figli lontani, li accoglie lietamente. E quest'estrema energia vitale che, col fuoco, si trasforma in calore, viene utile anche all'anziano uomo, che protende il suo corpo verso la fiamma del focolare, e prova ad immettere dentro sé quella forza che ormai ha perduto, a causa della vecchiaia. Poi si rende conto che la sua è soltanto un'illusione: quel calore che prova ad immagazzinare nel suo corpo, nulla può davanti al tempo spietato che lo ha ridotto ad un rottame umano. Egli ora aspira soltanto a sopravvivere; per quanto riguarda il resto, non gli è rimasto nulla: sono scomparsi i suoi cari, le sue speranze ed anche i suoi sogni. E allora si ritrova, completamente solo e affranto, ad invidiare quei tronchi e quelle fascine che, finalmente, tornano nel sole, ovvero da colui che li ha fatti nascere e li ha nutriti. A lui, povero vecchio, non rimane che osservare la cenere: residuo della combustione che tanto somiglia alla sua persona.

domenica 8 dicembre 2019

La mitologia nella poesia italiana decadente e simbolista


Di riferimenti alla mitologia se ne possono trovare a non finire in tutta la poesia di ogni epoca, ed anche, ovviamente, nelle poesie dei decadenti e dei simbolisti italiani; quella greca è, per forza di cose, la più presente: miriadi di versi sono dedicati a divinità, mostri e personaggi vari che compongono la stupenda e altamente affascinante mitologia della Grecia antica. In minor misura, ma ben presenti, sono altre figure leggendarie, spesso appartenenti alla storia della letteratura. Ancora più rari sono i versi in cui la fanno da protagonisti i santi o comunque i personaggi della religione cristiana che, col tempo, furono ammantati da un'aura leggendaria (tanto potente e convincente da divenire veri e propri miti). C'è infine qualche poeta che rievoca le mitologie nordiche: anch'esse colme di personaggi fantasiosi e di storie suadenti, ma evidentemente meno conosciute nel nostro paese. Inutile aggiungere che ogni storia ed ogni personaggio di queste poesie hanno un riferimento più o meno chiaro ai tempi in cui furono scritte, e di conseguenza possono essere il simbolo di qualcosa o di qualcuno.



Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "Circe" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Vittoria Aganoor: "L'ultimo canto di Saffo" in "Poesie complete" (1912).
Diego Angeli: "Dafne" in "L'Oratorio d'amore" (1904).
Alfredo Baccelli: "Miti silvestri" in "Poesie" (1929).
Gustavo Botta: "Medusa" in "Alcuni scritti" (1952).
Giovanni Camerana: "Su, galoppate adunque..." in "Poesie" (1968).
Guglielmo Felice Damiani: "Leggenda" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Diana inerme" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Gabriele D'Annunzio: "Psiche giacente" in "Poema paradisiaco" (1893).
Luisa Giaconi: "Philomela" in «Dai nostri poeti viventi» (1896).
Luisa Giaconi: "Il pianto di Agar" in "Tebaide" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il viale delle Muse" in "Mirti in ombra" (1913).
Domenico Gnoli: "Ostia" in "Fra terra ed astri" (1903).
Domenico Gnoli: "Via Appia" in "Poesie edite e inedite" (1907).
Corrado Govoni: "Siringa fioca", "San Giorgio",  "Gruppo" e "Graal" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni "Loengrino" in "Gli aborti" (1907).
Guido Gozzano: "L'invito" in "poesie e prose" (1961).
Arturo Graf: "Le Danaidi" in "Le Danaidi" (1905).
Luigi Gualdo: "Venere nera" in "Le Nostalgie" (1883).
Virgilio La Scola: "Delo" in "La placida fonte" (1907).
Giuseppe Lipparini: "Il fauno" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "Protesa Ella fatale e sovrumana", "La "Chimera" e "Penelope moderna, dalle spole" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Gian Pietro Lucini: "Adone" e "Klingsor" in "Il Libro delle Imagini Terrene" (1898).
Marino Marin: "È l'Ellade..." in "Sonetti secolari" (1896).
Tito Marrone: "La Gorgone" in "Sonetti dell'estate e dell'autunno" (1900).
Tito Marrone: "Nummus" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Tito Marrone: "La morte dei centauri" in "Liriche" (1904).
Fausto Maria Martini: "Il Cavaliere" in "Le piccole morte" (1906).
Angiolo Orvieto: "Le Chimere" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Apua, Ninfa" in «Riviera Ligure», 1903.
Umberto Saffiotti: "Le Sirene" in "Le Fontane" (1902).
Giulio Salvadori: "Saffica ascolana" in «Nuova Antologia», ottobre 1920.
Fausto Salvatori: "La Chimera" in "La Terra promessa" (1907).
Emanuele Sella: "I Numi" in "Rudimentum" (1911).
Pietro Sgabelloni: "Fauno" in «Il Tirso», aprile 1907.
Agostino John Sinadinò: "La morte di Parsifal" in «Poesia», ottobre/novembre/dicembre/gennaio 1906/1907.
Agostino john Sinadinò: "La Dea nel sonno" e "L'Ara d'Apolline" in "Il Dio dell'attimo" (1924).
Giovanni Tecchio: "Alastor" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati: "Aretusa" in "Liriche" (1937).
Alfredo Tusti: "L'arco" in «Roma Flamma», luglio 1904.
Domenico Zarlatti: "Nascono le Walkirie" in «Cronache latine», gennaio 1906.



Testi

VENERE NERA
di Luigi Gualdo

Era una notte chiara e tropicale.
          Nell'aria torrida
Passava un soffio di languor letale,
          Afrodisiaco.

Sul mar brillava un luccichìo di fosforo,
          Misterïoso;
Parca forier di cósmiche battaglie
          L'alto riposo,

Morivan lenti in su la calda riva
          I flutti languidi,
L'onda lambendo la rena moriva
          Con lungo murmurare.

Tutto era bruno: e terra e cielo e oceano;
          Taceano i venti,
Eppur movea lassù un arcano palpito
          Le stelle ardenti.

Stendeasi in là, vastissima pianura,
          Il suol dell'India;
Il sacro suoi della gran fede oscura
          Pieno di tènebre.

Pareva il mar d'alto portento gravido.
          Irrequieto,
Ma la natura già potea conoscere
          Il suo segreto.

Ecco, d'un tratto, l'onda si divide,
          E sorge argentea
In mezzo al mar che intorno ad essa ride
          Una conchiglia,

Vasta conchiglia illuminata, rosea,
          Che par dischiuda
Cosa di ciel, poiché vi sorge Venere
          Divina e nuda,

Ma paurosa ancor più della greca
          Bellezza candida,
Ché bianca no, ma è d'un color che acceca,
          Di bronzo splendido.

S'allieta il ciel, la luna vibra un raggio...
          Ed ecco altera
Incanta allora in sua beltà terribile
          Venere Nera.

(da "Le nostalgie")




IL FAUNO
di Giuseppe Lipparini

Appresso a la fontana ove perenni
sgorgan dal seno del granito l'acque,
a un antico signor del loco piacque
erger un Fauno con lascivi cenni.

Danzavan le fanciulle quando venni
nel magico recesso. Tosto tacque
ogni danzare; ognuna d'esse giacque
a' pie de l'Erma con arguti accenni.

Una sottile voluttà ne l'aria
era; dal suolo un umido languore
saliva; ed elle co i procaci gesti

destavano ne l'anima una varia
brama di baci, o di tranquillo amore,
o di abbracci malefici funesti.

(da "Le foglie dell'alloro")



Gaston Bussière, "Le Nereidi"
(da questa pagina web)


domenica 1 dicembre 2019

"La Città di Vita" di Diego Angeli


Il nome di Diego Angeli (Firenze 1869 - Roma 1937) ricorreva spesso nelle più importanti riviste italiane di fine Ottocento e d'inizio Novecento; interventi e articoli di vario genere, prose, traduzioni e poesie infatti si ritrovano sulle pagine del Convito, del Marzocco, di Nuova Antologia e addirittura in Poesia. Scrisse versi in gioventù, pubblicando due raccolte poetiche di grande valore. La Città di Vita uscì nel 1896 e segnò il suo esordio poetico. Il libriccino, edito a Spoleto dalla Tipografia dell'Umbria, si sostanzia in 62 pagine che contengono 38 poesie. La prima, che dà il titolo all'opera, mette in risalto una sorta di luogo ideale, ovvero una città dell'anima, popolata da pensieri di estrema purezza, da sogni, da orti protetti da mura alte e da santi pregati o invocati dal poeta all'interno di un oratorio ben isolato e sicuro; altro non è che la torre d'avorio immacolata dove nessun altro ha mai potuto giungere né sporcare o violare quel luogo fantastico eppur reale, necessario al poeta per poter vivere una vita degna. Altra poesia da segnalare è il sonetto Lacrime, dove si assiste ad una pioggia notturna di gocce ardenti che giungono al suolo e vengono bevute dalla terra. La pioggia di lacrime non ha fine e donde vengano è un mistero assoluto. Il mondo intero rimane esterrefatto di fonte a questa caduta continua d'acqua, mentre la Terra se ne compiace e l'accoglie felice di essere fecondata grazie da essa. Molto bella è anche Tristezze d'una sera d'inverno, seppure debba più di qualcosa al D'Annunzio del Poema Paradisiaco. Più avanti, si trovano tre poesie: L'Amorosa, Il Castigo e L'Addolorata, incentrate su personaggi femminili sofferenti; anche in questi versi Angeli è debitore del D'Annunzio, ma riesce comunque ad aggiungere qualcosa di più intenso rispetto al poeta pescarese, mostrando una partecipazione ed una comprensione personale al dolore sofferto dalle donne descritte in modo eccelso. L'Abbandonato e L'Albero sono invece due brevi poesie che devono molto al Giovanni Pascoli di Myricae; piace comunque la prima delle due, per l'ottima capacità di Angeli nel tratteggiare il patimento del povero bambino a cui è stato da poco amputato un arto. Ne La vedova, è di nuovo in primo piano una figura femminile dolorante, ma insieme a lei, il dolore ha sconvolto anche l'intera famiglia, ovvero i due piccoli figli che la seguono sulla strada verso il cimitero, dove il defunto genitore troverà sepoltura. Bellissime le poesie intitolate Il parco e Orto botanico, in cui è evidente l'influenza dannunziana esercitata sul nostro (soprattutto pensando ai versi di Hortus conclusus e Hortus larvarum, inserite nella raccolta Poema paradisiaco), ma, come in altri casi, Angeli riesce ad eguagliare - se non a migliorare - il suo maestro, inserendo nel contesto del giardino-parco-orto decadente, personaggi ed atmosfere di grande suggestione. Seguono, nell'ordine, quattro poesie invernali (Santa Sabina; Sera d'inverno ad Acqua Traversa; Giorno d'inverno a Lunghezza; Pomeriggio di Decembre ai monti Parioli) e tre autunnali (In una villa, d'autunno; Tramonto di un giorno d'ottobre; Sonetto d'autunno), in cui di nuovo la fa da padrone un clima decadente che Angeli riesce a ricostruire in maniera egregia. Nell'ultima lirica: La festa, si rilevano elementi che paiono anticipare le prime poesie di Aldo Palazzeschi. In effetti, a proposito di quest'ultimo accostamento, sia La Città di Vita che L'Oratorio d'amore (pubblicato nel 1904), sono libri che presentano molti versi "crepuscolari", se non fosse che l'autore li scrisse in netto anticipo rispetto alla nascita del movimento poetico che inaugurò la migliore stagione della poesia italiana del Novecento.
Chiuso riportando tre poesie presenti in La Città di Vita.




L'AMOROSA


Sotto il bassorilievo del seicento,
nel parco, un poco triste, ella è seduta.
Ora in lei sorge un nuovo sentimento:
pensa la dolce illusion perduta,
e sibila tra i rami esili, il vento.

Ella è sola e già prossima è la sera;
un vapor d'oro scende su gli estremi
orizzonti; una tacita preghiera
in lei s'agita; i bianchi crisantemi
tutti abbandona sulla veste nera.

Ella pensa: - L'amore è stato breve.
Il bel sogno è finito! Ora qui sola
io ritorno. L'amore è stato breve. -
Chi ascolterà la sua dolce parola?
Oh il silenzio! L'amore è stato breve.

Sta sul banco di marmo l'Amorosa:
un platano su lei tende una rama
tutta d'oro; la fronte dolorosa,
casta, rispecchia la profonda brama
del suo cuore. Nell'ombra ella riposa.

(da La Città di Vita, p. 20)




ORTO BOTANICO

Era quello che ho visto in una sera
d'inverno, dentro l'orto abbandonato.
Il sole a quando a quando era velato
dalle nebbie diafane, sul prato
cadean le foglie ed era già la sera.

Nessuno più sedea sopra i sedili
marmorei, nessuno più passava
nei viali ove l'erba germogliava
da tempo; qualche foglia pur restava
su gli olmi, altre ingombravano i sedili.

Fumigava nel vespero la terra
umida e si spargea come un odore
grave di muffe e il sole avea un languore
indefinito e sembrava che l'ore
indugiasser più lente sulla Terra.

E in fondo all'Orto ardea limpido un fuoco.
In fondo, accanto alle solenni porte
di travertino ardean le foglie morte
le fiamme divampavano scontorte,
e sola cosa viva era quel fuoco.

(da La Città di Vita, p. 50)




IN UNA VILLA, D'AUTUNNO

L'infinita tristezza del cortile 
veduto nelle lunghe ore piovose 
a traverso le imposte polverose 
rigate dalla fredda acqua sottile. 
La pianta che intristisce in un bacile 
di creta tra le mura tediose, 
e le bianche pozzanghere fangose 
in fondo allo scalone signorile. 

Piombano l'ore ad una ad una nello 
spazio, senza speranza di ritorno, 
lenta misura dell'eternità. 
Ma l'aspetto del luogo è sempre quello, 
sempre quello, così per tutto il giorno 

per sempre: e chi sa mai se cambierà?

(da La Città di Vita, p. 55)