Lo so, lo so:
dentro la scorza e i duri
Stami di vostre
fibre, o piccioletti
Tronchi, o
fascine, imprigionato è il sole
Che vi diè
vita... Un dì, giovani rami,
Superbamente la
materna quercia
Coronaste di
verde; e ben vi parve
Miserevole cosa
il gramo arbusto
Su cui l'ombra
cadea di vostre foglie,
Tremolanti alla
brezza e al vivo sole,
Libere, in alto.
Oggi uno stesso fato
Qui vi accomuna;
con mal ferma mano
Vi sovrappongo,
e, come allor, l'arbusto,
Or tagliato in
fascine, un'altra volta
Vi sottostà, ma
con diversa sorte.
Ai suoi rami
sottili io raccomando
La cara fiamma,
ed esso a voi non ombra
Rende, ma luce,
ma calore, e al raggio
Almo del sole, in
voi dormente, indice
Lietamente la
sveglia... Ecco sorride
Il picciol antro
affumicato; crepita,
Crepita la
fiammata, e in alto spingesi
E per la gola del
camino esalasi,
Quasi tornar
voglia lassù, nell'aere,
Là dove il padre
Sol la invita a ascendere.
Ed io stendo le
mani, e il corpo tutto
Protendo, e parte
almen tento assorbire
Del colore novo.
Un po' di sole ho anch'io,
Latente, sangue,
fibre, ossa ridotto
Ed anima... Ma
niente ahimè v'induce
Fiamma e
calore!... Sopravvivo. È morto
Tutto per me;
morti i miei cari; morte
Le mie speranze,
i sogni miei!... Felici
Voi, tronchi,
voi, fascine! Ecco già siete
Ritornati lassù,
mentr'io rimango,
Cenere, a
contemplare il cener vostro!
Ecco una poesia
molto bella, firmata da un certo Pietro Griffo, di cui non ho trovato alcuna
notizia (escludendo che possa essere il famoso vescovo pisano vissuto a cavallo
tra il XV ed il XVI secolo). Questi versi, che furono pubblicati nella rivista Cenerentola del 3 dicembre 1893, parlano
di un signore anziano e solo - forse il poeta stesso che li ha scritti -, che si trova nella sua casa in una rigida giornata
invernale e che, per riscaldarsi, raduna un po' di legna e accende un fuoco nel
suo caminetto. Fatto ciò, postosi davanti al focolare, comincia a meditare su
quei rami e quelle fascine che guarda mentre a poco a poco s'infiammano. Pensa
a quando, anche loro, giovani e forti, erano parti di un albero robusto; ora,
secchi e in pezzi, si ritrovano tutti accomunati dalla medesima sorte, e il
fuoco li divora incenerendoli; la loro energia adesso abbandona per sempre la terra
e s'innalza verso il cielo, dove il sole, come un padre che aspetta il ritorno
dei figli lontani, li accoglie lietamente. E quest'estrema energia vitale che,
col fuoco, si trasforma in calore, viene utile anche all'anziano uomo, che
protende il suo corpo verso la fiamma del focolare, e prova ad immettere dentro
sé quella forza che ormai ha perduto, a causa della vecchiaia. Poi si rende
conto che la sua è soltanto un'illusione: quel calore che prova ad
immagazzinare nel suo corpo, nulla può davanti al tempo spietato che lo ha
ridotto ad un rottame umano. Egli ora aspira soltanto a sopravvivere; per
quanto riguarda il resto, non gli è rimasto nulla: sono scomparsi i suoi cari,
le sue speranze ed anche i suoi sogni. E allora si ritrova, completamente solo
e affranto, ad invidiare quei tronchi e quelle fascine che, finalmente, tornano
nel sole, ovvero da colui che li ha fatti nascere e li ha nutriti. A lui,
povero vecchio, non rimane che osservare la cenere: residuo della combustione
che tanto somiglia alla sua persona.
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