domenica 1 dicembre 2019

"La Città di Vita" di Diego Angeli


Il nome di Diego Angeli (Firenze 1869 - Roma 1937) ricorreva spesso nelle più importanti riviste italiane di fine Ottocento e d'inizio Novecento; interventi e articoli di vario genere, prose, traduzioni e poesie infatti si ritrovano sulle pagine del Convito, del Marzocco, di Nuova Antologia e addirittura in Poesia. Scrisse versi in gioventù, pubblicando due raccolte poetiche di grande valore. La Città di Vita uscì nel 1896 e segnò il suo esordio poetico. Il libriccino, edito a Spoleto dalla Tipografia dell'Umbria, si sostanzia in 62 pagine che contengono 38 poesie. La prima, che dà il titolo all'opera, mette in risalto una sorta di luogo ideale, ovvero una città dell'anima, popolata da pensieri di estrema purezza, da sogni, da orti protetti da mura alte e da santi pregati o invocati dal poeta all'interno di un oratorio ben isolato e sicuro; altro non è che la torre d'avorio immacolata dove nessun altro ha mai potuto giungere né sporcare o violare quel luogo fantastico eppur reale, necessario al poeta per poter vivere una vita degna. Altra poesia da segnalare è il sonetto Lacrime, dove si assiste ad una pioggia notturna di gocce ardenti che giungono al suolo e vengono bevute dalla terra. La pioggia di lacrime non ha fine e donde vengano è un mistero assoluto. Il mondo intero rimane esterrefatto di fonte a questa caduta continua d'acqua, mentre la Terra se ne compiace e l'accoglie felice di essere fecondata grazie da essa. Molto bella è anche Tristezze d'una sera d'inverno, seppure debba più di qualcosa al D'Annunzio del Poema Paradisiaco. Più avanti, si trovano tre poesie: L'Amorosa, Il Castigo e L'Addolorata, incentrate su personaggi femminili sofferenti; anche in questi versi Angeli è debitore del D'Annunzio, ma riesce comunque ad aggiungere qualcosa di più intenso rispetto al poeta pescarese, mostrando una partecipazione ed una comprensione personale al dolore sofferto dalle donne descritte in modo eccelso. L'Abbandonato e L'Albero sono invece due brevi poesie che devono molto al Giovanni Pascoli di Myricae; piace comunque la prima delle due, per l'ottima capacità di Angeli nel tratteggiare il patimento del povero bambino a cui è stato da poco amputato un arto. Ne La vedova, è di nuovo in primo piano una figura femminile dolorante, ma insieme a lei, il dolore ha sconvolto anche l'intera famiglia, ovvero i due piccoli figli che la seguono sulla strada verso il cimitero, dove il defunto genitore troverà sepoltura. Bellissime le poesie intitolate Il parco e Orto botanico, in cui è evidente l'influenza dannunziana esercitata sul nostro (soprattutto pensando ai versi di Hortus conclusus e Hortus larvarum, inserite nella raccolta Poema paradisiaco), ma, come in altri casi, Angeli riesce ad eguagliare - se non a migliorare - il suo maestro, inserendo nel contesto del giardino-parco-orto decadente, personaggi ed atmosfere di grande suggestione. Seguono, nell'ordine, quattro poesie invernali (Santa Sabina; Sera d'inverno ad Acqua Traversa; Giorno d'inverno a Lunghezza; Pomeriggio di Decembre ai monti Parioli) e tre autunnali (In una villa, d'autunno; Tramonto di un giorno d'ottobre; Sonetto d'autunno), in cui di nuovo la fa da padrone un clima decadente che Angeli riesce a ricostruire in maniera egregia. Nell'ultima lirica: La festa, si rilevano elementi che paiono anticipare le prime poesie di Aldo Palazzeschi. In effetti, a proposito di quest'ultimo accostamento, sia La Città di Vita che L'Oratorio d'amore (pubblicato nel 1904), sono libri che presentano molti versi "crepuscolari", se non fosse che l'autore li scrisse in netto anticipo rispetto alla nascita del movimento poetico che inaugurò la migliore stagione della poesia italiana del Novecento.
Chiuso riportando tre poesie presenti in La Città di Vita.




L'AMOROSA


Sotto il bassorilievo del seicento,
nel parco, un poco triste, ella è seduta.
Ora in lei sorge un nuovo sentimento:
pensa la dolce illusion perduta,
e sibila tra i rami esili, il vento.

Ella è sola e già prossima è la sera;
un vapor d'oro scende su gli estremi
orizzonti; una tacita preghiera
in lei s'agita; i bianchi crisantemi
tutti abbandona sulla veste nera.

Ella pensa: - L'amore è stato breve.
Il bel sogno è finito! Ora qui sola
io ritorno. L'amore è stato breve. -
Chi ascolterà la sua dolce parola?
Oh il silenzio! L'amore è stato breve.

Sta sul banco di marmo l'Amorosa:
un platano su lei tende una rama
tutta d'oro; la fronte dolorosa,
casta, rispecchia la profonda brama
del suo cuore. Nell'ombra ella riposa.

(da La Città di Vita, p. 20)




ORTO BOTANICO

Era quello che ho visto in una sera
d'inverno, dentro l'orto abbandonato.
Il sole a quando a quando era velato
dalle nebbie diafane, sul prato
cadean le foglie ed era già la sera.

Nessuno più sedea sopra i sedili
marmorei, nessuno più passava
nei viali ove l'erba germogliava
da tempo; qualche foglia pur restava
su gli olmi, altre ingombravano i sedili.

Fumigava nel vespero la terra
umida e si spargea come un odore
grave di muffe e il sole avea un languore
indefinito e sembrava che l'ore
indugiasser più lente sulla Terra.

E in fondo all'Orto ardea limpido un fuoco.
In fondo, accanto alle solenni porte
di travertino ardean le foglie morte
le fiamme divampavano scontorte,
e sola cosa viva era quel fuoco.

(da La Città di Vita, p. 50)




IN UNA VILLA, D'AUTUNNO

L'infinita tristezza del cortile 
veduto nelle lunghe ore piovose 
a traverso le imposte polverose 
rigate dalla fredda acqua sottile. 
La pianta che intristisce in un bacile 
di creta tra le mura tediose, 
e le bianche pozzanghere fangose 
in fondo allo scalone signorile. 

Piombano l'ore ad una ad una nello 
spazio, senza speranza di ritorno, 
lenta misura dell'eternità. 
Ma l'aspetto del luogo è sempre quello, 
sempre quello, così per tutto il giorno 

per sempre: e chi sa mai se cambierà?

(da La Città di Vita, p. 55)

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