Il cacciatore
uccide sempre per giocare
(Francesco De Gregori)
Mi sono sempre
chiesto perché, ai tempi nostri, tanti esseri umani si dedichino ancora alle
attività di caccia e pesca, quando è facile procacciarsi il cibo in tutt’altra
maniera. Risulta evidente che chiunque vada a caccia di animali – quasi sempre
questi ultimi sono piccoli e pressoché indifesi – lo fa solamente per
divertimento personale; ma come è possibile divertirsi uccidendo degli esseri
viventi come noi? Ovviamente io non me lo so spiegare; so soltanto che l’uomo,
in tempi lontanissimi, cacciava per procurasi il cibo necessario a vivere, e
per tale motivo la caccia era comprensibile; quei tempi sono finiti da svariati
secoli, ma l’uomo prosegue ad esercitare questa attività, giustificato e
perfino protetto dalla legge. Qui si possono leggere dieci poesie scritte da
dieci poeti italiani che, più o meno apertamente, si dichiarano contrari alla
caccia. In verità ve n’è qualcuno che ammette di essere un cacciatore, ma
guardando un povera colomba colpita dalla sua arma, agonizzare e poi morire, si
pente di tutti quei piccoli delitti che ha compiuto andando a caccia per anni e
anni. Un altro poeta non si capacita che un suo collega ed amico possa,
sorridendo, puntare il suo fucile contro un uccellino e colpirlo a morte con
soddisfazione. La poesia di Alessandro Parronchi – che per me è di gran lunga
la migliore delle dieci – afferma in maniera ineccepibile ciò che io e chissà
quanti altri come me pensano riguardo alla caccia, ed esorta gli uomini
affinché la finiscano di togliere la vita in modo crudele a degli esseri
viventi che non li disturbano minimamente, e anche se lo facessero, ci sarebbe
certo un motivo, mentre appaiono immotivati molti dei comportamenti violenti
cui sono soliti dedicarsi gli umani. Ma la realtà – triste ammetterlo – è che
l’uomo continuerà sempre a cacciare ed a pescare, e non serviranno versi,
parole o suppliche di qualsiasi genere a farli desistere da questi
comportamenti ingiustificabili; soltanto la legge può intervenire, punendo
severamente chi, ai giorni nostri, ancora si diletta nell’uccidere degli esseri
viventi.
10 POESIE CONTRO
LA CACCIA DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
Da "PER
PARTITO PRESO"
di Fernando
Bandini (1931-2013)
2
Un milione di
cacciatori
hanno sterminato
i pettirossi
colmandone i
carnieri.
I concimi chimici
hanno ucciso gl'insetti
fino all'ultima
larva
sotto la foglia
caduta dell'ultimo acero.
Ma i pettirossi
si avvicinano fiduciosi alla casa
dell'uomo dove
c'è un water-closet,
si avvicinano al
mese dell'ultimo tuono.
E tutto
rispunterà,
marciume di
foglie e garrito,
dal velo delle
piogge autunnali.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 2018, p. 29)
COLOMBA FERITA A
MORTE
di Luigi
Bartolini (1892-1963)
Tale nel verde
tappeto, delle erbe,
nel bosco
crogiolava la sua ferita,
rossa specie nel
collo che singultava
la colomba non
vide più oltre al suo cerchio di morte.
Le ali falcate si
dischiusero; tremò il suo corpo;
le zampe di
corallo a lungo vacillarono.
Crudele era stata
la mortale ferita.
II
(Per plaghe
abbacinanti d'un'estate selvaggia
così io fui:
cacciatore crudele che uccise e uccise.
Vita che,
barbaro, tolsi ai gaudiosi uccelli).
(da "Poesie
1911-1963", Rebellato, Padova 1964, p. 168)
AD UN POETA
CACCIATORE
di Enrico
Braccesi (1882-?)
Tu puntasti il
fucile
atteggiando la
faccia ad un sorriso,
già pregustando
in cuore
il cadere d'un
povero uccellino
per la tua mano
ucciso.
Ma non volli
veder, non volli udire,
non volli
maledire...
e tornai
indietro, assorto,
pregando Dio che
il piccolo cantore,
no, non cadesse
morto.
Un poeta non può,
non deve uccidere;
un poeta non può
fare soffrire,
egli non può
mentire.
Anche una goccia,
anche una goccia sola
di sangue, che
per te macchiò la terra,
offuscherà per
sempre
i giorni tuoi
sereni.
Lascia ad altri
spezzare il canto in gola
al piccolo
cantore;
tu no: tu non
devi.
Firenze, 24 gennaio 1927.
[da "Liriche
(1905-1928)", Edizioni "La Cavalcata", Firenze 1929, pp. 35-36]
IL FAGIANO
di Giorgio
Caproni (1912-1990)
Cercavo «il fagiano».
O, forse, era «il
fagiano»
a cercar me?
La mano
esitava.
Sparai.
Forse sparò lui.
O un altro.
S'io caddi (chi cadde),
non l'ho saputo
mai.
(da "Poesie
1932-1986", Garzanti, Milano 1993, p. 544)
CACCIA
di Bartolo
Cattafi (1922-1979)
Non ti aspetta in
aria
vola
mira più alto e
più avanti
mentre tiri egli
vola
traiettoria più
alta
e il piombo
portalo più avanti
per l’impatto
la resistenza
dell’aria
velocità distanza
sempre più avanti
e più in alto
rincorrilo
finché non ti
trovi
stranito
in terra
tramontana
trasmarina
e non siete gli
stessi
in un pallido
cielo
lui non vola
tu non spari.
(da “Marzo e le
sue Idi”, Mondadori, Milano 1977, pp. 102-103)
ANEDDOTO
di Libero De
Libero (1906-1981)
All'alba
scherzose pernici
mi destarono e
felici
della tornata
luce
al campo di
stoppie m'invitarono.
Seguii di pernici
la brigata
che amano
pietrosi luoghi
e in dono ne
portano colore,
il mio ozio era
d'amore.
A meriggio
stavano dilette
pernici dietro la
siepe,
venne il
cacciatore.
(da "Le
poesie", Bulzoni, Roma 2011, pp. 266-267)
CACCIA
di Mario Luzi
(1914-2005)
Che mare livido
nelle sue rincorse contro i muri a fil di piombo dei bunker,
che branchi
d'uccelli attesi al passo od al ritorno
gridano più
d'ogni altra volta: «È autunno,
è il tempo di tua
nascita a questa vita» nell' ora che a uno a uno
cadono uccelli
sotto il piombo, prendono
vento lungo la
caduta, ed a perdita d'occhio la foresta
lascia di ramo in
ramo foglie, lembi
di fuoco, brani
di vita ancora palpitante tra le piume.
Ora e qui, dove
il cane alza la starna
e talvolta per
una breve tappa
di ore si
attendano i re zingari
nel viaggio tra
borgo e borgo, e foglie
e uccelli
stanziali e migratori,
lievi e grevi,
s'abbattono sul suolo
fradicio, non
ancora freddo, tempo
di mia nascita e
insieme tempo e luogo
per ricordare i
miei morti per forza,
i miei caduti
sotto il piombo - poco
prima i miei
padri, dopo i miei fratelli -
m'investe a
fiotti in pieno viso il vento
di vita e
tutt'uno di rapina
e di morte, mi
mozza il fiato, mentre
levo le mani a
questi alberi e spicco
frutti per la mia
cena ancora avido.
«È il tempo di
tua nascita». Riposano,
muoiono nella
vita, essi, periscono
nell'avvenite; e
il festoso, l'oscuro si diffondono
per foglie morte,
per ali inerti come piombo
a vincere e a
espiare tutto quel che ha avuto fine.
(da "Tutte
le poesie", Garzanti, Milano 1993, p. 280)
LA CACCIA
di Eugenio
Montale (1896-1981)
Si dice che il
poeta debba andare
a caccia dei suoi
contenuti.
E si afferma
altresì che le sue prede
debbono
corrispondere a ciò che avviene nel mondo,
anzi a quel che
sarebbe un mondo che fosse migliore.
Ma nel mondo peggiore
si può impallinare
qualche altro
cacciatore oppure un pollo
di batteria
fuggito dalla gabbia.
Quanto al
migliore non ci sarà bisogno
di poeti.
Ruspanti saremo tutti.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1996, p. 503)
CONTRO LA CACCIA
di Alessandro
Parronchi (1914-2007)
L'aria è dolce,
il cielo coperto.
Nella campagna
inanimata
da stamani,
domenica invernale,
sparano
ininterrottamente.
Che uccideranno?
Discendo da una
famiglia di cacciatori.
Mio padre stava
fuori l'intero giorno
per riportare, a
sera, una ghiandaia.
Tirava
d'imbracciata
maledettamente
bene.
Ma so che appena
avuto l'animale
gli avrebbe reso
vita volentieri.
Il suo non era
gusto di uccidere
ma di cercare e
scovare una preda.
Lo so ben io, che
preda e ricerca
ho trasferito in
parole ed immagini.
Devo a lui se ho
conosciuto la selva
quando ancora
esisteva e era possibile
ascoltarne
l'inconscio respiro.
Ora non più. I
boschi sono orti.
E l'istinto di
uccidere si esercita
su passerotti
dall'ali mozze
scampati a
qualche tiro d'inesperto.
Non uccidete il
cucùlo che segnala
il va e vieni
della primavera
senza di che non
so più orientarmi.
Non uccidete la
tortora che cola
al molle filtro
il grigio delle nuvole.
Non uccidete il
merlo
ubriaco del mosto
del crepuscolo.
Non uccidete la
ghiandaia che tra nero
e bianco stringe
al petto l'azzurro.
Non uccidete la
lepre occhi e orecchi
spuntati sul
sentiero.
Non uccidete la
biscia d'erba viva
non sfrangete il
piccolo cuore della lucertola
non uccidete la
futile farfalla
né il ragno
laborioso
né il rospo
filosofo indifeso.
E se tutti questi
sono morti?
Non avrete che
larve
pei vostri fucili
automatici.
(da “Diadema.
Antologia personale 1934-1997”, Mondadori, Milano 1998, pp. 126-127)
BATTUTA DI CACCIA
di Lucio Pisani
(1930-2018)
La folaga
impazzita
al secco scoppio
dello schioppo
infido
non trovò tempo e
modo
a una ragione
che il secondo
omicida
il volo estinse.
L'improbabile
cielo
in cui fu vortice
e nella guazza
tonfo
la caduta
il livido
scenario
sulla morte.
Come folaga in
volo
l'esistenza
che
all'improvviso colpo
senza scoppio
patisce più che
il rischio
la paura.
(da "Interno
d'autore", Genesi Editrice, Torino 1984, p. 28)
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