ad
Angiolo Orvieto
L'aere torbido
quando è sera
si quieta in una
intima canorità.
Con lo scender
che fa la nube a valle,
presa a lembi qua
e là,
come ragna tra
fronde intricata,
tutto il mondo è
dipinto di viola.
Non è allora un
più dolce vagare,
per l'anima che
tutto il dì s'affanna
ed in se stessa,
incredula, si torce.
Dai borghi
affaccendati,
qui sotto,
però che al lungo
riposo
vuol esser presta
ogni cura,
e quasi,
declinando,
l'opere sue più
il giorno affretta,
è un venire di
voci
alacri e folte
come le formiche.
Vi si mischia il
pulsare, il batter secco
ed alto del
camion sullo stradone
che varca i monti
con stupor dell'occhio
incarcerato
nell'eterno cerchio.
E tutto quanto a
sera,
dai campanili
dalle fonti
dalle introvabili
alcove
degl'insetti
sonori,
fa concerto e
preghiera,
lascia nell'aria
sgombra
la sua tremante
risonanza effusa.
Ma sovrattutto
come più riluce,
nell'ombra che
non ha un altro riso,
il manto de' tuoi
fianchi ampii, appennino!
Sui tuoi prati
che salgono a gironi
questo liquido
verde, che s'accenta
più chiaramente
sulle prode erbose,
dove la mucca
vorace non rade,
e dovunque lo
stria,
mobile come il
vento,
un mirabile
argento di ninfea,
tante volte
rinasce
quant'acqua è che
ricade,
novellamente, tra
gl'inganni del sole.
Ed io n'ho punto
il cuore.
Non pur la sera,
è questo santo
colore
che veste Iddio
nell'atto germinale,
quando le cose
uscite appena
sono ancor umide
del suo mistero,
che mi rapisce
sull'inquieta via
e sì teneramente
fa star muto
il mio perenne
monologo acerbo.
COMMENTO
Con l'arrivo
della sera, nella località di Gavinana (quartiere di Firenze) e in tutto il circostante Appennino
toscano smette di piovere; le nubi scendono a valle sparpagliate, quasi
strappate a lembi - tanto da far pensare a delle ragnatele che s'avvolgono tra
i rami degli alberi - mentre i monti, con lo scemare della luce, assumono un
colore violaceo. In questi momenti è bello vagabondare, soprattutto per coloro
che, durante la giornata, sono troppo presi dai soliti affanni e si tormentano
per la loro mancanza totale di qualsivoglia fede. Dai borghi sottostanti giunge
un vociare piacevole e fitto, che fa da prologo alla fine della giornata ed
all'imminente riposo notturno. A quest'ultimo si mescola il rumore di un camion
che passa sulla strada e attraversa i monti; con esso, si odono altri rumori
gradevoli: grilli che cantano, campane che suonano e fonti che chioccolano; il
tutto, forma una sorta di concerto o preghiera serale che sembra tremare
nell'aria sgombra della fine di un giorno. Ma, proprio in quest'ora quasi buia,
lo sguardo rimane attonito nel vedere lo splendore dei prati presenti sui
fianchi dell'Appennino, i quali sembrano salire a fasce; questo verde limpido,
che torna più vivo ogni volta che è caduta la pioggia e che, grazie al vento e
alla luce ingannevole irradiata dal sole, ha riacquistato una sua particolare lucentezza,
trasmette all'anima un senso vago di rapimento; così, quest'anima soventemente
troppo inquieta e vagabonda, può permettersi una sosta di silenzio e di
estasiata tenerezza.
Questa poesia di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959) mostra più di un'affinità con alcune liriche di Giacomo Leopardi, come La quiete dopo la tempesta o Il sabato del villaggio; è, insomma, una sorta d'idillio in cui il poeta, nel descrivere particolari momenti di una giornata (in questo caso quelli che seguono lunghe ore di pioggia e preannunciano un notte tranquilla), inserisce anche considerazioni intime e morali favorite dall'osservazione di certi fenomeni naturali, che alla fine divengono massime, sentenze e ammonimenti. Sera di Gavinana fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Lirica, nel numero speciale del Natale 1913. Ricomparve in Il Tevere del 4 settembre 1929; nel medesimo anno, Cardarelli la inserì nel volume di prose e versi Il sole a picco (L’Italiano, Bologna 1929); fu quindi reinserita in Giorni in piena (Quaderni di Novissima, Roma 1934) e, finalmente, nel primo volume che comprendeva la gran parte dei versi del poeta tarquiniese: Poesie (Novissima, Roma 1936). Nella foto che apre questo post, si può leggere dalla pagina 24 del volume Opere (Mondadori, Milano 1993); subito dopo, ho trascritto la prima versione della poesia, che, come ho già detto, comparve sulla rivista Lirica.
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