domenica 30 aprile 2023

Sera di Gavinana


 




                                          ad Angiolo Orvieto

 

 

L'aere torbido quando è sera

si quieta in una intima canorità.

Con lo scender che fa la nube a valle,

presa a lembi qua e là,

come ragna tra fronde intricata,

tutto il mondo è dipinto di viola.

Non è allora un più dolce vagare,

per l'anima che tutto il dì s'affanna

ed in se stessa, incredula, si torce.

Dai borghi affaccendati,

qui sotto,

però che al lungo riposo

vuol esser presta ogni cura,

e quasi, declinando,

l'opere sue più il giorno affretta,

è un venire di voci

alacri e folte come le formiche.

Vi si mischia il pulsare, il batter secco

ed alto del camion sullo stradone

che varca i monti con stupor dell'occhio

incarcerato nell'eterno cerchio.

E tutto quanto a sera,

dai campanili dalle fonti

dalle introvabili alcove

degl'insetti sonori,

fa concerto e preghiera,

lascia nell'aria sgombra

la sua tremante risonanza effusa.

Ma sovrattutto come più riluce,

nell'ombra che non ha un altro riso,

il manto de' tuoi fianchi ampii, appennino!

Sui tuoi prati che salgono a gironi

questo liquido verde, che s'accenta

più chiaramente sulle prode erbose,

dove la mucca vorace non rade,

e dovunque lo stria,

mobile come il vento,

un mirabile argento di ninfea,

tante volte rinasce

quant'acqua è che ricade,

novellamente, tra gl'inganni del sole.

Ed io n'ho punto il cuore.

Non pur la sera,

è questo santo colore

che veste Iddio nell'atto germinale,

quando le cose uscite appena

sono ancor umide del suo mistero,

che mi rapisce sull'inquieta via

e sì teneramente fa star muto

il mio perenne monologo acerbo.




COMMENTO

Con l'arrivo della sera, nella località di Gavinana (quartiere di Firenze) e in tutto il circostante Appennino toscano smette di piovere; le nubi scendono a valle sparpagliate, quasi strappate a lembi - tanto da far pensare a delle ragnatele che s'avvolgono tra i rami degli alberi - mentre i monti, con lo scemare della luce, assumono un colore violaceo. In questi momenti è bello vagabondare, soprattutto per coloro che, durante la giornata, sono troppo presi dai soliti affanni e si tormentano per la loro mancanza totale di qualsivoglia fede. Dai borghi sottostanti giunge un vociare piacevole e fitto, che fa da prologo alla fine della giornata ed all'imminente riposo notturno. A quest'ultimo si mescola il rumore di un camion che passa sulla strada e attraversa i monti; con esso, si odono altri rumori gradevoli: grilli che cantano, campane che suonano e fonti che chioccolano; il tutto, forma una sorta di concerto o preghiera serale che sembra tremare nell'aria sgombra della fine di un giorno. Ma, proprio in quest'ora quasi buia, lo sguardo rimane attonito nel vedere lo splendore dei prati presenti sui fianchi dell'Appennino, i quali sembrano salire a fasce; questo verde limpido, che torna più vivo ogni volta che è caduta la pioggia e che, grazie al vento e alla luce ingannevole irradiata dal sole, ha riacquistato una sua particolare lucentezza, trasmette all'anima un senso vago di rapimento; così, quest'anima soventemente troppo inquieta e vagabonda, può permettersi una sosta di silenzio e di estasiata tenerezza. 

Questa poesia di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959) mostra più di un'affinità con alcune liriche di Giacomo Leopardi, come La quiete dopo la tempesta o Il sabato del villaggio; è, insomma, una sorta d'idillio in cui il poeta, nel descrivere particolari momenti di una giornata (in questo caso quelli che seguono lunghe ore di pioggia e preannunciano un notte tranquilla), inserisce anche considerazioni intime e morali favorite dall'osservazione di certi fenomeni naturali, che alla fine divengono massime, sentenze e ammonimenti. Sera di Gavinana fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Lirica, nel numero speciale del Natale 1913. Ricomparve in Il Tevere del 4 settembre 1929; nel medesimo anno, Cardarelli la inserì nel volume di prose e versi Il sole a picco (L’Italiano, Bologna 1929); fu quindi reinserita in Giorni in piena (Quaderni di Novissima, Roma 1934) e, finalmente, nel primo volume che comprendeva la gran parte dei versi del poeta tarquiniese: Poesie (Novissima, Roma 1936). Nella foto che apre questo post, si può leggere dalla pagina 24 del volume Opere (Mondadori, Milano 1993); subito dopo, ho trascritto la prima versione della poesia, che, come ho già detto, comparve sulla rivista Lirica.

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