Per il giorno di
Pasqua ecco un post con 10 poesie scritte da poeti e poetesse d’origine italica
sul tema della più importante festa primaverile. Si comincia con i versi di due
donne: Vittoria Aganoor e Maria Pia Albert, che si differenziano alquanto; la prima
si distingue per intensità, mostrando una fede religiosa assai solida,
dimostrata in modo ineccepibile da una chiusura fortemente appassionata, che
esorta ad un amore fraterno allargato a tutta l’umanità. La seconda, invece,
che è dedicata ai giovani soldati, nonché a coloro che combattono e sacrificano
la loro vita per la patria, a me sembra decisamente enfatica. Seguono i versi
di due poeti: Ettore Botteghi e Giuseppe Casalinuovo, che rispettivamente
avvertono - ancor più nel giorno di festa – la mancanza del padre e della
madre: genitori deceduti da poco tempo e rimpianti da tutta la famiglia. Dai
toni crepuscolari sono i versi di Corrado Govoni, che si sente solo e
abbandonato dalla donna – Elena Maria – a cui è dedicata la poesia; tale
sensazione diviene intollerabile nel periodo pasquale, quando la primavera si
mostra in tutto il suo splendore. Piena di bei propositi è la poesia di
Riccardo Mazzola, che nel giorno di Pasqua guarda gli ulivi pensando a ciò che
essi simbolizzano: la pace universale. Disillusione mostrano invece i versi di
Francesco Pastonchi, che non si fa ingannare dall’aria festosa, tipica della
Pasqua, ben conoscendo il vero animo degli uomini, i quali fingono di essere
buoni nei giorni dedicati alla pace e al perdono, ma dentro di essi covano odio
e vendetta. Il sonetto di Cesare Rossi è un’esortazione a se stesso, affinché,
aiutato dal clima pasquale, possa sollevarsi da uno stato di desolazione, e
tornare a vivere con più vigore e speranza. Una vaga tristezza si avverte negli
ultimi due componimenti poetici, rispettivamente di Domenico Santoro e di
Enrico Thovez: per entrambi la festa della Pasqua non rappresenta un momento
gaio; il primo, negletto e infelice, si rammarica di ritrovarsi in un luogo a
lui ostile, lontano dalla sua terra natale. Thovez invece, si lascia andare ai
ricordi, pensando alle pasque della sua adolescenza, quando, malgrado non fosse
già credente, avvertiva in tutti i suoi sensi quell’empito vitale emanato dalla
natura e dall’umanità nel giorno di Pasqua: colline fiorite, prati verdi, canti
di uccelli, suoni di campane, ragazze allegre, amanti abbracciati… e tutto ciò
gli trasmetteva un’energia ed una commozione incommensurabili; poi, ahimè,
arrivava puntuale il risveglio, e il poeta si rendeva ben conto che aveva
soltanto sognato ad occhi aperti, e che il mondo era tutt’altra cosa da come si
era illuso di vederlo.
PASQUA DI
RESURREZIONE
di Vittoria
Aganoor (1855-1910)
Per poco l'hai
tu, o Morte, irrigidito
sovra la croce! e
in sindone ravvolto
per poco dentro
l'arca di granito,
l'hai, cittadin
d'Arimatea, sepolto!
Donne, piangete
invan! pianga lo stolto
gregge, che l'ha
di spine redimito:
l'Emmanuele
d'ogni ceppo è sciolto;
non s'imprigiona,
o donne, l'infinito!
Ecco, Egli torna,
Egli vi parla: — «È data
a me la potestà
del mondo, e l'orme
segnerò tra i
fedeli e tra i ribelli,
sempre per la
sequela interminata
dei secoli,
clamando in mille forme
con mille voci: —
Amatevi, o fratelli! —
(da
"Leggenda eterna", Roux e Viarengo, Torino-Roma 1903, p. 193-194)
LA PASQUA DEI
SOLDATI
di Maria Pia
Albert (1869-?)
Stamane in Chiesa
— era del Sacrificio
l'ora imminente e
su l’altar maggiore
quasi pensier di
fede, ne l’attesa
sfavillavano i
ceri — a l'improvviso
sfilar io vidi ed
alla Sacra Mensa
umile e franco
prosternarsi (oh nova
vista gentil,
onde ogni anima esulta!)
un drappello di
giovani soldati.
Ed il Ministro
allor venne a l’altare,
pregò, nella sua
gracil man levata
alto rifulse il
Corpo del Signore...
Non mai più divin
fremito le austere
navate corse che
l’istante arcano
quando in petto a
quei forti Iddio discese.
Fratelli! e
sempre Ei sia con voi: risplenda
la luce sua sovra
ogni vostra impresa,
o di vincere
degni! Ha sue battaglie,
quanto secrete
più tanto più ardue,
l'umano spirto
anch'esso, e mal trionfa
— qual che sia il
campo — chi l’anima ha schiava.
Ma in voi secura
fonderem la speme
gioia ne incomba
o duol... Forse lontana
l'ora non è che
sacrificio invochi
la Patria ancor
di lacrime e di sangue
da’ suoi figli; e
l’avrà. Soave intanto,
quasi presagio
d’avvenir sognato,
questa, a noi,
santa vision sorrida:
Uno l’Altare, una
la Fe’; concorde
al mistico
banchetto de l'Amore
innumerato un
Popolo, per sorti,
per natal vario,
per età: sospiro
di ciascuno e di
tutti — unico — Iddio.
(da
"Nostalgia", Cogliati, Milano 1902, pp. 81-82)
PASQUA DI
RESURREZIONE
di Ettore
Botteghi (1874-1900)
Ma tu non torni.
Uno squillar giocondo
va per il cielo
che a l'aprile odora.
Pregano. Al Cielo
nella fulgida ora
s'aderge Cristo,
Redentor del mondo.
Ma tu non torni.
Ed io non piansi mai
come a questo di
gloria inneggiar grande,
né a tanta vita
che l'aprile espande,
né a tanti fiori
che desiderai.
O rose che la mia
stanza odorate,
giacinti bianchi
come bianco è Amore,
oh come è vano al
mio grande dolore
tutto il profumo
che su me versate!
Meglio era che
voi foste là dov'io
sperai di
riposare il corpo affranto,
e non saper che
dorme al Camposanto
la mia bella
speranza: il babbo mio;
meglio assai,
rose e candidi giacinti,
sopra il mio
corpo immobile, e sentire
come dal cuore
pie rose fiorire,
che andare,
andare, così stanchi e vinti!...
(da
"Poesie", Tip. A. Valenti, Pisa 1902, p. 77)
PASQUA
di Giuseppe
Casalinuovo (1885-1942)
O piccolo dolce
fratello,
non stare con noi
a lamentarti;
c'è il sole di
fuori che brilla,
e i bimbi che
cantano a festa.
Quand’ero io
bambino, mi stavo
di fuori, nel
sole e tra i bimbi;
le acacie li
sanno i ricordi
di tutti quegli
anni lontani.
In casa c’è
troppo dolore:
le imposte son
tutte socchiuse;
ci manca financo
la luce
da quando ci
manca la Mamma.
Non stare con noi
a disperarti,
o piccolo dolce
fratello:
i teneri steli,
se guardi,
si spezzano al
vento d’aprile.
Di fuori c’è il
sole, oh che sole!
di fuori
s’inseguono i bimbi...
oh ancòra tornare
tra i bimbi,
nel grande
trionfo del sole!
Qua dentro c’è
troppo dolore,
non stare con noi
ad ammalarti:
io t'apro le
porte, o fratello,
ai canti, ai
trastulli ed al sole!
Oh senti che
squille di gloria
si spazian
squillando nel cielo...
È Pasqua, la
Pasqua, o fratello;
io t'apro le
porte alla pace.
Non piangere e
lasciaci soli;
noi abbiamo
goduto altri tempi.
Io t'apro le
porte: è il tuo tempo:
è Pasqua ed io
t'apro le porte!
(da
"Dall'ombra", S.T.E.N., Torino 1907, pp. 95-96)
PASQUA
di Corrado Govoni
(1884-1965)
ad Elena Maria
Non è Pasqua di
resurrezione
oggi forse, e non
è la Primavera
tornata con le
rondini a schiera
dei sogni e con
le floride corone?
È vero! Ora è la
rinnovazione
d'ogni cosa e la
dolce Primavera
è ritornata, ma
la mia ringhiera
è in continua
desolazione...
Ma quando mai la
Primavera vera
tornare coi suoi
balsami per me
potrà, per me che
sono senza amore...
Non verrà mai la
vera Primavera,
Elena mia,
lontano da te...
O Pasqua
sconsolata pel mio cuore!
(da "Le
fiale", Lumachi, Firenze 1903, pp. 30-31)
PASQUA D’ULIVI
di Riccardo
Mazzola (1890-1922)
O sovra i cieli
trepidi giulivi
tutti effusi di
luce e di preghiera,
ne la serenità di
primavera
lunghi e tremuli
a 'l sol, rami d’ulivi!
Pace riso ed amor
cantano i rivi
cantan le selve a
chi aspettando spera:
in ascolto così
fremono i vivi,
tremano i morti
ne la terra nera.
Breve non sia la
tua speranza, o cuore:
poco è per te se
la tua donna rechi
ne le mani e ne'
grandi occhi la pace.
Non sol per te
pace tu chieda, amore,
ma per il mondo
che di giorni biechi
tutto s’infosca
ne la lotta audace.
(da "La
battaglia", Voghera, Roma 1909, p. 22)
PASQUA
di Francesco
Pastonchi (1874-1953)
È Pasqua, è
Pasqua. Su la folla prona,
Tra 'l vario
sfolgorìo dei lampadari
Che accende l'oro
e i drappi e i marmi rari,
L'organo
fragoroso scroscia e tuona.
«Cristo risorge,
Cristo che perdona»
Canta il popolo:
e brillano più chiari
I ceri, e i santi
ascoltan dagli altari;
Ma nei cuori tal
canto non risuona.
Con l'incenso
svaniscon le parole;
Non perdonano i
cuor: solco d'offesa
Riamne come un
segno di saetta.
E questa folla
sciamerà nel sole
Fra poco, oltre
la soglia della chiesa,
Per tornare alla
guerra e alla vendetta.
(da «La Donna», 5 aprile 1909)
PASQUA
di Cesare Rossi
(1852-1927)
Alta è la Pasqua
in sul cader d'aprile,
E ride primavera
in pieno fiore,
E da le ville
zefiro sottile
Reca dell'erbe
nove il fresco odore.
E l'anima si fa
buona e gentile
In questo pio
spiritual tepore,
E si dispoglia
d'ogni senso vile,
E chiede al mondo
sua stagion d'amore.
Anima mia, che
sai la settimana
Di passione, e
conversar ti piace
Più co' tuoi
morti che indugiar fra i vivi,
Levati, e qui,
dove in perenni rivi
Fluisce il canto
primigenio, in pace
T'accorda a
questa Pasqua di Toscana.
(da
"Firenze", Balestra, Trieste 1906, p. 30)
PASQUA
di Domenico
Santoro (1868-1922)
Squilla uno
scampanìo, cresce, si fonde
in un concento di
solennità;
l'aure ne portan
l'armonie profonde
nunzie di pace e
di giocondità.
È Pasqua, è
Pasqua! April tepente olezza,
è moto per le
vie, pei cieli è vol,
tutto intorno è
risveglio, è giovinezza;
dai puri azzurri
benedice il sol.
Ma non per me!
da' pispiglianti nidi
per gli alti
spazi io vi perseguo invan,
pensando, o brune
rondini, altri lidi,
pensando il nido
mio lontan, lontan...
(da
"Rime", Giusti, Livorno 1901, p. 69)
CAMPANE DI PASQUA
di Enrico Thovez
(1869-1925)
Romban tuonando
pel concavo azzurro le bronzee campane
dai campanili a
distesa su la risorta città.
Pur ieri ancora
era l'ombra grigia d’inverno: ecco esulta
l’aria e
lampeggia d'azzurro: un sole limpido inonda
le vie fragranti,
sonore di carri, le case chiare.
Il vento porta
sentori di terra smossa, le gemme
scoppiano, il
verde fiammeggia, gli occhi si cedono agli occhi...
Trilli d’uccelli,
folate di vento tepido, palpiti
di vita
rinnovellata, ed un sussurro, un clamore
per l'aria d’oro
vibrante in un festoso rimbombo...
Mi sorge in cuore
un confuso rombo di Pasque d'un tempo:
suonano fievoli e
dolci nelle memorie lontane.
Niuna dolcezza di
fede mi lega a quegli anni. Solo,
per la collina
fiorente, per verdi prati novelli,
per boschi e
campi, cacciato da un invincibile ardore,
nella letizia del
mondo pel nuovo tempo risorto
dopo il torpore
invernale, l'anima in petto d'un dio,
andavo io allora
cercando confusamente, col cuore
gonfio, in
tumulto, con gli occhi bramosi, il santo, supremo
sogno di gloria,
d’amore, di voluttà, di dolore.
Era d'aprile, ed
i peschi erano in fiore. Spiccando
esili in vetta
dei poggi sul tenue azzurro lontano,
il roseo fiore
dell'anima mite esalavano ai venti.
Avean le vaghe
colline, brulle nell'alto e violette
di boschi foschi,
già verdi nel basso d'umidi prati,
inafferrabili
sensi d’amore: uccelli cantavano,
come un’ebbrezza
saliva su dalla terra feconda,
e giù, nel basso,
ai miei piedi, prona, dispersa pel piano,
rossa di tetti,
fremeva la città immensa. Brillava
dai mille suoi
vetri come di chiusi fuochi, al tramonto;
onde di suon di
campane solennemente salivano
lassù, a morire
nell'ampia pace dell’aria sul colle.
E attorno nel dì
cadente pei verdi prati già in ombra
fanciulle in
abiti chiari correano in cerca cogliendo
le violette pei
margini. Ne udivo i gridi festosi,
le treccie
sciolte, chinandosi, scorreano giù per il seno;
e si chiamavano
forte, con grandi mazzi tra mano,
da un poggio
all'altro, ridendo, con voci giovani e fresche...
E tutto il bosco
suonava di passi e voci; sparivano
gli amanti a
coppie, pei viottoli, le braccia strette alla vita.
Io non provavo
alcun slancio di fede in cuore. Non era
là con gli eguali
il mio spirito dentro le chiese osannanti.
Un collo bianco,
una treccia disciolta, un busto piegato,
le rosee forme
dei fiori, le voci giovani, il brivido
già della sera,
la vasta ombra fulgente dei cieli,
aprendo all’anima
il mondo per tanto tempo agognato
confusamente in
un vano tumulto cieco d’amore,
che dolci sogni
severi, che sensi immensi, che palpiti
mi suscitavano,
ardendomi le vene un fuoco mortale!
Spasimo folle
d’amore, sogno rovente di gloria,
un desiderio
indicibile di stringer tutto a me il mondo,
sopra me stesso
m’alzava. Parea che il cuor di fanciullo
mi divenisse
gigante, scoppiando del sogno immenso...
Ma l'ombra inerte
cresceva. Morian le voci lontane
giù per le valli:
deserti i prati, mute le rive:
era lontano, era
un sogno. Ed io tornavo pei boschi
incespicando
nell’ombra contro gli sterpi, piangendo
lagrime, calde,
dirotte di inesprimibile amore.
(da "Il
poema dell'adolescenza", Streglio, Torino 1901, pp. 29-31)
Albert Pinkham Ryder, "Resurrection"
(da questa pagina web)
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