sabato 8 aprile 2023

La Pasqua in 10 poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1909

 

Per il giorno di Pasqua ecco un post con 10 poesie scritte da poeti e poetesse d’origine italica sul tema della più importante festa primaverile. Si comincia con i versi di due donne: Vittoria Aganoor e Maria Pia Albert, che si differenziano alquanto; la prima si distingue per intensità, mostrando una fede religiosa assai solida, dimostrata in modo ineccepibile da una chiusura fortemente appassionata, che esorta ad un amore fraterno allargato a tutta l’umanità. La seconda, invece, che è dedicata ai giovani soldati, nonché a coloro che combattono e sacrificano la loro vita per la patria, a me sembra decisamente enfatica. Seguono i versi di due poeti: Ettore Botteghi e Giuseppe Casalinuovo, che rispettivamente avvertono - ancor più nel giorno di festa – la mancanza del padre e della madre: genitori deceduti da poco tempo e rimpianti da tutta la famiglia. Dai toni crepuscolari sono i versi di Corrado Govoni, che si sente solo e abbandonato dalla donna – Elena Maria – a cui è dedicata la poesia; tale sensazione diviene intollerabile nel periodo pasquale, quando la primavera si mostra in tutto il suo splendore. Piena di bei propositi è la poesia di Riccardo Mazzola, che nel giorno di Pasqua guarda gli ulivi pensando a ciò che essi simbolizzano: la pace universale. Disillusione mostrano invece i versi di Francesco Pastonchi, che non si fa ingannare dall’aria festosa, tipica della Pasqua, ben conoscendo il vero animo degli uomini, i quali fingono di essere buoni nei giorni dedicati alla pace e al perdono, ma dentro di essi covano odio e vendetta. Il sonetto di Cesare Rossi è un’esortazione a se stesso, affinché, aiutato dal clima pasquale, possa sollevarsi da uno stato di desolazione, e tornare a vivere con più vigore e speranza. Una vaga tristezza si avverte negli ultimi due componimenti poetici, rispettivamente di Domenico Santoro e di Enrico Thovez: per entrambi la festa della Pasqua non rappresenta un momento gaio; il primo, negletto e infelice, si rammarica di ritrovarsi in un luogo a lui ostile, lontano dalla sua terra natale. Thovez invece, si lascia andare ai ricordi, pensando alle pasque della sua adolescenza, quando, malgrado non fosse già credente, avvertiva in tutti i suoi sensi quell’empito vitale emanato dalla natura e dall’umanità nel giorno di Pasqua: colline fiorite, prati verdi, canti di uccelli, suoni di campane, ragazze allegre, amanti abbracciati… e tutto ciò gli trasmetteva un’energia ed una commozione incommensurabili; poi, ahimè, arrivava puntuale il risveglio, e il poeta si rendeva ben conto che aveva soltanto sognato ad occhi aperti, e che il mondo era tutt’altra cosa da come si era illuso di vederlo. 

 

 

 La Pasqua in 10 poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1909

 



PASQUA DI RESURREZIONE

di Vittoria Aganoor (1855-1910)

 

Per poco l'hai tu, o Morte, irrigidito

sovra la croce! e in sindone ravvolto

per poco dentro l'arca di granito,

l'hai, cittadin d'Arimatea, sepolto!

 

Donne, piangete invan! pianga lo stolto

gregge, che l'ha di spine redimito:

l'Emmanuele d'ogni ceppo è sciolto;

non s'imprigiona, o donne, l'infinito!

 

Ecco, Egli torna, Egli vi parla: — «È data

a me la potestà del mondo, e l'orme

segnerò tra i fedeli e tra i ribelli,

 

sempre per la sequela interminata

dei secoli, clamando in mille forme

con mille voci: — Amatevi, o fratelli! —

 

(da "Leggenda eterna", Roux e Viarengo, Torino-Roma 1903, p. 193-194)

 

 

 

 

LA PASQUA DEI SOLDATI

di Maria Pia Albert (1869-?)

 

Stamane in Chiesa — era del Sacrificio

l'ora imminente e su l’altar maggiore

quasi pensier di fede, ne l’attesa

sfavillavano i ceri — a l'improvviso

sfilar io vidi ed alla Sacra Mensa

umile e franco prosternarsi (oh nova

vista gentil, onde ogni anima esulta!)

un drappello di giovani soldati.

Ed il Ministro allor venne a l’altare,

pregò, nella sua gracil man levata

alto rifulse il Corpo del Signore...

Non mai più divin fremito le austere

navate corse che l’istante arcano

quando in petto a quei forti Iddio discese.

Fratelli! e sempre Ei sia con voi: risplenda

la luce sua sovra ogni vostra impresa,

o di vincere degni! Ha sue battaglie,

quanto secrete più tanto più ardue,

l'umano spirto anch'esso, e mal trionfa

— qual che sia il campo — chi l’anima ha schiava.

Ma in voi secura fonderem la speme

gioia ne incomba o duol... Forse lontana

l'ora non è che sacrificio invochi

la Patria ancor di lacrime e di sangue

da’ suoi figli; e l’avrà. Soave intanto,

quasi presagio d’avvenir sognato,

questa, a noi, santa vision sorrida:

Uno l’Altare, una la Fe’; concorde

al mistico banchetto de l'Amore

innumerato un Popolo, per sorti,

per natal vario, per età: sospiro

di ciascuno e di tutti — unico — Iddio.

 

(da "Nostalgia", Cogliati, Milano 1902, pp. 81-82)

 

 

 

 

PASQUA DI RESURREZIONE

di Ettore Botteghi (1874-1900)

 

Ma tu non torni. Uno squillar giocondo

va per il cielo che a l'aprile odora.

Pregano. Al Cielo nella fulgida ora

s'aderge Cristo, Redentor del mondo.

 

Ma tu non torni. Ed io non piansi mai

come a questo di gloria inneggiar grande,

né a tanta vita che l'aprile espande,

né a tanti fiori che desiderai.

 

O rose che la mia stanza odorate,

giacinti bianchi come bianco è Amore,

oh come è vano al mio grande dolore

tutto il profumo che su me versate!

 

Meglio era che voi foste là dov'io

sperai di riposare il corpo affranto,

e non saper che dorme al Camposanto

la mia bella speranza: il babbo mio;

 

meglio assai, rose e candidi giacinti,

sopra il mio corpo immobile, e sentire

come dal cuore pie rose fiorire,

che andare, andare, così stanchi e vinti!...

 

(da "Poesie", Tip. A. Valenti, Pisa 1902, p. 77)

 

 

 

 

PASQUA

di Giuseppe Casalinuovo (1885-1942)

 

O piccolo dolce fratello,

non stare con noi a lamentarti;

c'è il sole di fuori che brilla,

e i bimbi che cantano a festa.

 

Quand’ero io bambino, mi stavo

di fuori, nel sole e tra i bimbi;

le acacie li sanno i ricordi

di tutti quegli anni lontani.

 

In casa c’è troppo dolore:

le imposte son tutte socchiuse;

ci manca financo la luce

da quando ci manca la Mamma.

 

Non stare con noi a disperarti,

o piccolo dolce fratello:

i teneri steli, se guardi,

si spezzano al vento d’aprile.

 

Di fuori c’è il sole, oh che sole!

di fuori s’inseguono i bimbi...

oh ancòra tornare tra i bimbi,

nel grande trionfo del sole!

 

Qua dentro c’è troppo dolore,

non stare con noi ad ammalarti:

io t'apro le porte, o fratello,

ai canti, ai trastulli ed al sole!

 

Oh senti che squille di gloria

si spazian squillando nel cielo...

È Pasqua, la Pasqua, o fratello;

io t'apro le porte alla pace.

 

Non piangere e lasciaci soli;

noi abbiamo goduto altri tempi.

Io t'apro le porte: è il tuo tempo:

è Pasqua ed io t'apro le porte!

 

(da "Dall'ombra", S.T.E.N., Torino 1907, pp. 95-96)

 

 

 

 

PASQUA

di Corrado Govoni (1884-1965)

 

                                                     ad Elena Maria

 

Non è Pasqua di resurrezione

oggi forse, e non è la Primavera

tornata con le rondini a schiera

dei sogni e con le floride corone?

 

È vero! Ora è la rinnovazione

d'ogni cosa e la dolce Primavera

è ritornata, ma la mia ringhiera

è in continua desolazione...

 

Ma quando mai la Primavera vera

tornare coi suoi balsami per me

potrà, per me che sono senza amore...

 

Non verrà mai la vera Primavera,

Elena mia, lontano da te...

O Pasqua sconsolata pel mio cuore!

 

(da "Le fiale", Lumachi, Firenze 1903, pp. 30-31)

 

 

 

 

PASQUA D’ULIVI

di Riccardo Mazzola (1890-1922)

 

O sovra i cieli trepidi giulivi

tutti effusi di luce e di preghiera,

ne la serenità di primavera

lunghi e tremuli a 'l sol, rami d’ulivi!

 

Pace riso ed amor cantano i rivi

cantan le selve a chi aspettando spera:

in ascolto così fremono i vivi,

tremano i morti ne la terra nera.

 

Breve non sia la tua speranza, o cuore:

poco è per te se la tua donna rechi

ne le mani e ne' grandi occhi la pace.

 

Non sol per te pace tu chieda, amore,

ma per il mondo che di giorni biechi

tutto s’infosca ne la lotta audace.

 

(da "La battaglia", Voghera, Roma 1909, p. 22)

 

 

 

 

PASQUA

di Francesco Pastonchi (1874-1953)

 

È Pasqua, è Pasqua. Su la folla prona,

Tra 'l vario sfolgorìo dei lampadari

Che accende l'oro e i drappi e i marmi rari,

L'organo fragoroso scroscia e tuona.

 

«Cristo risorge, Cristo che perdona»

Canta il popolo: e brillano più chiari

I ceri, e i santi ascoltan dagli altari;

Ma nei cuori tal canto non risuona.

 

Con l'incenso svaniscon le parole;

Non perdonano i cuor: solco d'offesa

Riamne come un segno di saetta.

 

E questa folla sciamerà nel sole

Fra poco, oltre la soglia della chiesa,

Per tornare alla guerra e alla vendetta.

 

(da  «La Donna», 5 aprile 1909)

 

 

 

 

PASQUA

di Cesare Rossi (1852-1927)

 

Alta è la Pasqua in sul cader d'aprile,

E ride primavera in pieno fiore,

E da le ville zefiro sottile

Reca dell'erbe nove il fresco odore.

 

E l'anima si fa buona e gentile

In questo pio spiritual tepore,

E si dispoglia d'ogni senso vile,

E chiede al mondo sua stagion d'amore.

 

Anima mia, che sai la settimana

Di passione, e conversar ti piace

Più co' tuoi morti che indugiar fra i vivi,

 

Levati, e qui, dove in perenni rivi

Fluisce il canto primigenio, in pace

T'accorda a questa Pasqua di Toscana.

 

(da "Firenze", Balestra, Trieste 1906, p. 30)

 

 

 

 

PASQUA

di Domenico Santoro (1868-1922)

 

Squilla uno scampanìo, cresce, si fonde

in un concento di solennità;

l'aure ne portan l'armonie profonde

nunzie di pace e di giocondità.

 

È Pasqua, è Pasqua! April tepente olezza,

è moto per le vie, pei cieli è vol,

tutto intorno è risveglio, è giovinezza;

dai puri azzurri benedice il sol.

 

Ma non per me! da' pispiglianti nidi

per gli alti spazi io vi perseguo invan,

pensando, o brune rondini, altri lidi,

pensando il nido mio lontan, lontan...

 

(da "Rime", Giusti, Livorno 1901, p. 69)

 

 

 

 

CAMPANE DI PASQUA

di Enrico Thovez (1869-1925)

 

Romban tuonando pel concavo azzurro le bronzee campane

dai campanili a distesa su la risorta città. 

Pur ieri ancora era l'ombra grigia d’inverno: ecco esulta

l’aria e lampeggia d'azzurro: un sole limpido inonda

le vie fragranti, sonore di carri, le case chiare.

Il vento porta sentori di terra smossa, le gemme

scoppiano, il verde fiammeggia, gli occhi si cedono agli occhi...

Trilli d’uccelli, folate di vento tepido, palpiti

di vita rinnovellata, ed un sussurro, un clamore

per l'aria d’oro vibrante in un festoso rimbombo...

Mi sorge in cuore un confuso rombo di Pasque d'un tempo:

suonano fievoli e dolci nelle memorie lontane.

Niuna dolcezza di fede mi lega a quegli anni. Solo,

per la collina fiorente, per verdi prati novelli,

per boschi e campi, cacciato da un invincibile ardore,

nella letizia del mondo pel nuovo tempo risorto

dopo il torpore invernale, l'anima in petto d'un dio,

andavo io allora cercando confusamente, col cuore

gonfio, in tumulto, con gli occhi bramosi, il santo, supremo

sogno di gloria, d’amore, di voluttà, di dolore.

Era d'aprile, ed i peschi erano in fiore. Spiccando

esili in vetta dei poggi sul tenue azzurro lontano,

il roseo fiore dell'anima mite esalavano ai venti.

Avean le vaghe colline, brulle nell'alto e violette

di boschi foschi, già verdi nel basso d'umidi prati,

inafferrabili sensi d’amore: uccelli cantavano,

come un’ebbrezza saliva su dalla terra feconda,

e giù, nel basso, ai miei piedi, prona, dispersa pel piano,

rossa di tetti, fremeva la città immensa. Brillava

dai mille suoi vetri come di chiusi fuochi, al tramonto;

onde di suon di campane solennemente salivano

lassù, a morire nell'ampia pace dell’aria sul colle.

E attorno nel dì cadente pei verdi prati già in ombra

fanciulle in abiti chiari correano in cerca cogliendo

le violette pei margini. Ne udivo i gridi festosi,

le treccie sciolte, chinandosi, scorreano giù per il seno;

e si chiamavano forte, con grandi mazzi tra mano,

da un poggio all'altro, ridendo, con voci giovani e fresche...

E tutto il bosco suonava di passi e voci; sparivano

gli amanti a coppie, pei viottoli, le braccia strette alla vita.

Io non provavo alcun slancio di fede in cuore. Non era

là con gli eguali il mio spirito dentro le chiese osannanti.

Un collo bianco, una treccia disciolta, un busto piegato,

le rosee forme dei fiori, le voci giovani, il brivido

già della sera, la vasta ombra fulgente dei cieli,

aprendo all’anima il mondo per tanto tempo agognato

confusamente in un vano tumulto cieco d’amore,

che dolci sogni severi, che sensi immensi, che palpiti

mi suscitavano, ardendomi le vene un fuoco mortale!

Spasimo folle d’amore, sogno rovente di gloria,

un desiderio indicibile di stringer tutto a me il mondo,

sopra me stesso m’alzava. Parea che il cuor di fanciullo

mi divenisse gigante, scoppiando del sogno immenso...

Ma l'ombra inerte cresceva. Morian le voci lontane

giù per le valli: deserti i prati, mute le rive:

era lontano, era un sogno. Ed io tornavo pei boschi

incespicando nell’ombra contro gli sterpi, piangendo

lagrime, calde, dirotte di inesprimibile amore.

 

(da "Il poema dell'adolescenza", Streglio, Torino 1901, pp. 29-31)

 



Albert Pinkham Ryder, "Resurrection"
(da questa pagina web)



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