Dino Campana (Marradi 1885 - Scandicci 1932) ha
sempre creato enormi divisioni nei critici e nei lettori di poesia: fin da
quando fu pubblicata la sua unica raccolta di versi e prose intitolata Canti orfici (correva l'anno 1914),
nacquero delle discussioni tra chi lo riteneva un talento eccezionale e chi
invece lo stroncava in modo netto. Tutt'ora, credo, vi siano ancora delle
valutazioni contrastanti nei suoi riguardi. Per quel che concerne il mio
pensiero, devo ammettere che non fui mai particolarmente attratto dalla poesia
di Campana e ancor meno dalle sue prose poetiche. Tuttavia non penso, come
fecero e fanno alcuni, che il poeta di Marradi fosse soltanto un malato di
mente; alcune sue poesie sono bellissime e se dovessi compilare un'antologia
della migliore poesia italiana novecentesca, non lascerei certamente fuori
almeno tre fra le sue composizioni in versi; Chimera, Giardino autunnale
e Canto della tenebra. Da qui a
considerarlo, come hanno fatto molti critici in passato, quale capostipite
della cosiddetta "poesia pura", ce ne passa; penso che tale
privilegio - ammesso che lo sia - vada attribuito al solo Arturo Onofri (e
parlo, ovviamente, dell'ultima fase poetica dello scrittore romano). Campana
invece, a me sembra più legato al secolo XIX, e in particolare alle poetiche care ai decadenti e ai simbolisti; per esempio è facile e forse un po' abusato
il suo accostamento ad Arthur Rimbaud. Ma, rimanendo in Italia, a me sembra
che ci siano alcune somiglianze anche con un poeta troppo spesso etichettato
come "scapigliato": Giovanni Camerana; se si leggono alcuni versi del
poeta piemontese, come Guarda lo stagno
livido o Corot, è facile trovare
la stessa intensità visionaria che si respira in Giardino autunnale o in L'invetriata.
Non mi sembra invece di riscontrare alcuna comunanza di contenuti con l'opera
poetica di Giosuè Carducci, che qualche critico ha chiamato in causa; per
quanto riguarda i vociani, se è vero che Campana predilesse come loro i
frammenti poetici e prosastici, per il resto c'è ben poco che li fa stare
insieme. Chiudo riportando le tre poesie di Dino Campana che ho citato in
precedenza: tre autentici e indimenticabili capolavori della poesia italiana del Novecento.
LA CHIMERA
Non so se tra
roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o
sorriso
Di lontananze
ignote
Fosti, la china
eburnea
Fronte fulgente o
giovine
Suora de la
Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i
tuoi mitici pallori
O Regina o Regina
adolescente:
Ma per il tuo
ignoto poema
Di voluttà e di
dolore
Musica fanciulla
esangue,
Segnato di linea
di sangue
Nel cerchio delle
labbra sinuose,
Regina de la
melodia:
Ma per il vergine
capo
Reclino, io poeta
notturno
Vegliai le stelle
vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo
dolce mistero
Io per il tuo
divenir taciturno.
Non so se la
fiamma pallida
Fu dei capelli il
vivente
Segno del suo
pallore,
Non so se fu un
dolce vapore,
Dolce sul mio
dolore,
Sorriso di un
volto notturno:
Guardo le bianche
rocce le mute fonti dei venti
E l'immobilità
dei firmamenti
E i gonfi rivi
che vanno piangenti
E l'ombre del
lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per
teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti
chiamo ti chiamo Chimera.
(da
"Opere", TEA, Milano 1989, pp. 23-24)
GIARDINO
AUTUNNALE (FIRENZE)
Al giardino
spettrale al lauro muto
De le verdi
ghirlande
A la terra
autunnale
Un ultimo saluto!
A l'aride pendici
Aspre arrossate
nell'estremo sole
Confusa di rumori
Rauchi grida la
lontana vita:
Grida al morente
sole
Che insanguina le
aiole.
S'intende una
fanfara
Che straziante
sale: il fiume spare
Ne le arene
dorate: nel silenzio
Stanno le bianche
statue a capo i ponti
Volte: e le cose
già non sono più.
E dal fondo
silenzio come un coro
Tenero e
grandioso
Sorge ed anela in
alto al mio balcone:
E in aroma
d'alloro,
In aroma d'alloro
acre languente,
Tra le statue
immortali nel tramonto
Ella m'appar,
presente.
(da "Opere",
TEA, Milano 1989, pp. 25)
IL CANTO DELLA
TENEBRA
La luce del
crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti
sia dolce la tenebra
Al cuore che non
ama più!
Sorgenti sorgenti
abbiam da ascoltare,
Sorgenti sorgenti
che sanno
Sorgenti che
sanno che spiriti stanno
Che spiriti
stanno a ascoltare...
Ascolta: la luce
del crepuscolo attenua
Ed agli inquieti
spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti ha
vinto la Sorte:
Ma per i cuori
leggeri un'altra vita è alle porte:
Non c'è di
dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più Più Più
Intendi chi
ancora ti culla:
Intendi la dolce
fanciulla
Che dice all'orecchio:
Più Più
Ed ecco si leva e
scompare
Il vento: ecco
torna dal mare
Ed ecco sentiamo
ansimare
Il cuore che ci
amò di più!
Guardiamo: di già
il paesaggio
Degli alberi e
l'acque è notturno
Il fiume va via
taciturno...
Pùm! mamma
quell'omo lassù!
(da "Opere",
TEA, Milano 1989, pp. 28)
Concordo assolutamente sull'accostamento con Camerana. A titolo di esempio porrei il sonetto "Catania" le cui prime due quartine sono pervase dalla stessa visionaria ossessività del poeta marradese. Va considerato il modo in cui si trascina l'endecasillabo, la sua assoluta preponderanza quasi fine a se stessa.
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