Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Ecco una poesia
di Giovanni Pascoli che entrò di diritto tra le più ricordate e amate già
dall'infanzia di generazioni e generazioni. Come si può notare dalla foto qui sopra, era
presente nel libro delle letture che usavo durante il quarto anno scolastico
delle elementari. Le ciaramelle fa
parte della raccolta Canti di
Castelvecchio, in cui compare già dalla prima edizione; il testo che ho
trascritto nel post, proviene da una ottima edizione critica pubblicata dalla
Rizzoli nella collana BUR, a partire dal 1983¹. Per quanto concerne il
significato del titolo, è bene precisare che la ciaramella è uno strumento
musicale popolare, a fiato (in parte somigliante al flauto), molto usato in
tempi ormai lontanissimi, soprattutto in alcune regioni italiane del centro e
del sud. In questa poesia, però, il termine "ciaramella" sta ad
indicare la zampogna: strumento antico, dal suono particolare e facilmente
riconoscibile, usato nei secoli passati dai pastori, in special modo nei giorni
che precedono il Natale. Come molti sapranno, era usanza che tali pastori, già
dai primi giorni del mese di dicembre, attraversassero le strade di paesi e
città, suonando con le zampogne i classici canti natalizi e, nello stesso
tempo, raccogliessero le eventuali offerte (in denaro o in beni alimentari)
delle genti che incontravano lungo il cammino. In questi versi il poeta, che
sta ancora dormendo quando si annuncia un nuovo giorno (presumibilmente è un
giorno che precede di poco il Natale), percepisce nel dormiveglia il suono festoso
di questi strumenti proprio nei pressi della sua abitazione. A questo punto si alza dal letto e si affaccia alla finestra: è ancora buio di fuori, e
il cielo è stellato; in lontananza vede un lumicino rosso, non ben identificato;
proprio da quella luce fioca gli sembra che provenga il suono delle ciaramelle.
Da questa visione misteriosa e incantata, nel Pascoli nascono pensieri ed
emozioni che lui stesso descrisse in una prosa di quel periodo:
Ho sentito
suonare la zampogna dei monti. Non era cominciato il crepuscolo mattutino.
S'udiva sul lastrico appena appena qualche scalpiccìo che pareva d'uomini già
stanchi sin dal primo principio della faticosa giornata. In uno di quei fondi ove, oltre tutto il resto, manca
l'aria, ardeva un lume rosso. Di là dentro veniva quel dolce suono d'organo
pastorale antico come gli antichi pastori che erravano con le greggi prime
addomesticate. Ne usciva la voce mesta e soave della fanciullezza d'ognun di
noi con quell'accorarsi non si sapeva perché, con quello sperare non si sapeva
di che, con quel bisogno improvviso di godersi a piangere al collo della madre,
chi l'aveva ancora. Le stelle brillavano ancora nel cielo così bello e puro.
Quel canto di zampogna pareva dovesse avere un'eco nel firmamento. Quel
focherello di quaggiù, così umile e rossastro, pareva avere un perché di cui le
stelle di lassù, così limpide e d'oro, fossero consapevoli. Di lì a poco le
stelle impallidirono e scomparvero insensibilmente. Il lumino si spense e la
sinfonia pastorale si tacque e il piccolo rito finì. E all'apparire dell'alba
cominciò il tramestio e lo scalpitìo soliti, con quel doloroso sforzo di voci
strascicate, di piedi strascicati, di vite strascicate.²
La poesia Le ciaramelle fece la sua prima
apparizione nella rivista «La Riviera Ligure» del 15 marzo 1902; entrò quindi a
far parte dei Canti di Castelvecchio
dall'edizione del 1903.
NOTE
1) Quella che ho
preso in considerazione è la 3° edizione, uscita nel 1993; qui la poesia si
trova alle pagine 113-117.
2) Il frammento
prosastico l'ho trascritto dall'edizione citata dei Canti di Castelvecchio, dove si legge alla pagina 113.
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