Questa poesia è
stata scritta da Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983) e fa parte del volume I fantasmi di pietra, pubblicato dalla
Mondadori di Milano nel 1977. Più precisamente è la sessantottesima e
terzultima poesia di detto libro, e si trova a pagina 87. È la triste constatazione,
da parte del poeta, di essere stato tradito da coloro che si definivano o che
lui stesso pensava fossero amici. L'occasione che dimostra il tradimento, reale
o simbolica che sia, è una promessa non mantenuta: Vigolo ha visto questi falsi
amici allontanarsi da lui non prima di averlo rassicurato sul fatto che
sarebbero tornati presto, e lo avrebbero portato con loro. Il poeta ha atteso
ore ed ore con la speranza di vederne tornare almeno uno, ma nulla è avvenuto.
La parte finale della poesia è ancora più amara, ed esprime in modo chiaro una
fortissima sensazione di solitudine che prova il protagonista di questa
spiacevole vicenda, il quale ha la netta impressione di essere già morto,
perché ormai nessuno si ricorda più della sua presenza, della sua esistenza
stessa: si sente come se tutti gli esseri umani si siano definitivamente
dimenticati di lui, lasciandolo così nella più completa desolazione interiore.
Aspettaci qui,
torneremo a prenderti.
E io solo ad
aspettare
un'ora, due ore.
Si fa notte: gli
amici
si sono scordati:
non vengono più.
Stai lì solo,
terribilmente
solo.
Ecco cosa vuol
dire essere morti;
si scordano di
passare a riprenderti.
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