domenica 13 dicembre 2020

La politica in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Nella mia vita l'interesse per la politica è apparso raramente, e in quei periodi sporadici, non ci ho trovato mai gran che di particolarmente appassionante. Certamente è una scienza importantissima, necessaria e determinante per far sì che nazioni singole o comunità nazionali possano essere amministrate nel miglior modo possibile. Ritengo che quello del politico sia un mestiere richiedente una preparazione specifica; non credo, in questo campo come in tanti altri, che l'improvvisazione sia possibile per ottenere risultati decenti. Passando al contenuto di questo post, penso che nella politica ci sia ben poca poesia, e questi versi che ho scelto lo stanno a dimostrare. Sono preponderanti, infatti, brevi poesie o epigrammi che esternano disillusione, aspre critiche, sentenze ironiche nonché sarcastiche. Però non manca qualche anima appassionata, che palesa la sua fede onesta e sincera. Per fortuna anche in politica, tra tanti megalomani, farabutti, opportunisti e furbetti, si trovano ancora persone serie, che sono guidate da una passione vera, che credono nei fondamentali e imprescindibili valori della democrazia e che andrebbero sempre riconosciuti e premiati.

 

LA POLITICA IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

MARX ED ENGELS IERI ED OGGI

di Alfonso Berardinelli (1943)

 

Chiamiamo comunismo

il movimento reale

che abolisce lo stato di cose

presente.

Chiamiamo stato di cose

presente

il movimento reale

che abolisce il comunismo.

 

(da "L'inconscio politico. 36 poesie su commissione", Castelvecchi, Roma 1998, p. 12)

 

 

 

 

I MINISTRI

di Paolo Buzzi (1874-1956)

 

A colpi di fischi e di sistri

noi, poeti, vi spazzeremo, o Farisei sinistri!

 

(da "Popolo canta così!", Facchi, Milano 1920, p. 230)

 

 

 

 

POETI SOCIALISTI

di Adriano Guerrini (1923-1986)

 

Poeti socialisti, il vostro cuore

deciso ma turbato, il vostro verso

malcerto ma sottile, ci ricordano

cose lontane: i secoli d'argento,

Commodiano, Boezio.

 

Siamo anche noi con voi, con la giustizia,

con la storia; e altrimenti non possiamo:

uno solo è il cammino dei poeti.

Ma il fiume della storia a noi ha dato

lo sguardo calmo e assorto.

 

Noi senza miti, noi che non diremo:

«Dopo i poeti, i soldati ed i borghesi,

siamo infine i fedeli esecutori

delle leggi», noi, solo, umanamente,

per la legge del meglio.

 

Siamo con voi. Ma siamo ancora prima

di voi, con chi parlava antiche lingue

o cantava la sera al trotto lento

del postiglione; e siamo anche già dopo,

quando si dirà «allora».

 

(da "Poesie politiche", All'Insegna del Pesce d'Oro", Milano 1976, p. 15)

 

 

 

 

DALL'INTERNO

di Valerio Magrelli (1957)

 

La funzione profilattica

del linguaggio politico

consiste nell'impedire un contatto

diretto tra le cose. Grazie allo

sviluppo dei nuovi materiali,

il codice è oramai ridotto a un velo

impercettibile (starei per dire inconsutile),

che fa sentire tutto

dove non passa niente.

 

(da "Didascalie per la lettura di un giornale", Einaudi, Torino 1999, p. 11)

 

 

 

 

AD ALCUNI RADICALI

di Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

 

Lo spirito, la dignità mondana,

   l’intelligente arrivismo, l’eleganza,

l’abito all’inglese e la battuta francese,

   il giudizio tanto più duro quanto più liberale,

la sostituzione della ragione alla pietà,

   la vita come scommessa da perdere da signori,

vi hanno impedito di sapere chi siete:

   coscienze serve della norma e del capitale.

 

(da "Poesia italiana del Novecento", Garzanti, Milano 1992, vol. II, p. 871)

 

 

 

 

POLITICA ESTERA

di Giovanni Raboni (1932-2004)

 

Chi parla ha da dire

le cose che dice e forse no

o forse altre. Ma è un fatto che chi tace

lascia che tutto gli succeda e quel ch'è peggio

lascia che quello che hanno fatto a lui lo facciano

a qualcun altro.

 

(da "Epigrammi italiani", Einaudi, Toino 2001, p. 354)

 

 

 

 

SOGNO DI UN ATTIVISTA POLITICO

di Nelo Risi (1920-2015)

 

All'alba sono venute a prendermi le guardie

del Papa per trarmi in giudizio. Con le mazze

hanno abbattuto la porta dell'alloggio.

- Non è possibile, ho detto, ci deve essere

un errore, non è più il tempo del Santo Uffizio.

Uno esibì una bolla, me la fecero ingoiare

pergamena piombi e tutto. Così forte

la loro intimazione che mi svegliai di botto.

Battevano alla porta, era la polizia con un mandato.

 

[da "Di certe cose (poesie 1953-2005)", Mondadori, Milano 2006, p. 127]

 

 

 

 

OPICINA 1947

di Umberto Saba (1883-1957)

 

Risalii quest’estate ad Opicina.

Era con me un ragazzo comunista.

Tito sui muri s’iscriveva, in vista,

sotto, della mia bianca cittadina.

 

Nell’ora dei ricordi vespertina

Sedemmo all’osteria, che ancor m’attrista,

oggi, se penso quella camerista

che ci servì con volto d’assassina.

 

Due vecchie ebree, testarde villeggianti,

io, quel ragazzo, parlavamo ancora

lassù italiano, tra i sassi e l’abete.

 

«Dopo il nero fascista il nero prete;

questa è l’Italia, e lo sai. Perché allora –

diceva il mio compagno – aver rimpianti?»

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 562)

 

 

 

 

UN SOCIALISTA

di Luigi Siciliani (1881-1925)

 

Popolo, molto tu soffri: io tutti i tuoi mali ho nel cuore.

  Per dissiparli, voglio, popolo mio, godere.

 

(da "Corona", Modes, Roma 1907, p. 34)

 

 

 

 

DOROTEO

di Saverio Vollaro (1922-1986)

 

Uncini, addome scudato

con disegni di croci.

Nessuno sa dov'è nato,

nei materassi d'un curato,

dopo un uragano

di quelli che sfondano

e lavano la campagna

e poi viene una minuta folla

di creature senza amore, al limite

tra il ragno, la moschetta

e il fiore.

 

Ha poche giunture

solo per qualche genuflessione (però

prega meno di noi),

barba, niente cerone,

colorito di natura, verso il pallido,

leggermente renale, di gallina sotto sforzo.

 

Misogino, misurato e ministro,

sorride come una paletta al sole,

si chiama Doroteo,

ama l'agricoltura.

 

(da "Poesia satirica nell'Italia d'oggi", Guanda, Parma 1964, pp. 207-208)

 

"Inaugurazione della XXI Legislatura del Regno d'Italia,
da "La Domenica del Corriere" del 24 giugno 1900
(da questa pagina web)




2 commenti:

  1. FILASTROCCA:
    DEL MALDESTRO E DEL SINISTRO*

    Gioia e giubilo nel Trio
    Che ritorna come un dio
    Al governo dell’Italia
    Mentre l’altro più non parla

    Non è certo il trio Lescano,
    Ma piuttosto, è più Romano,
    Come al tempo di Vittorio
    Con un Fascio assai Littorio

    Or l’Italia è lì che chiede:
    “Che farà chi ci presiede.
    Contro il costo della vita?
    Vinceranno la partita?”

    Speran sol che su quel seggio
    Li governi il meno peggio
    Non s’illudon che risolva
    Quest’antica e vecchia storia.

    Sanno già che c’è un turno
    Fra costoro e il taciturno,
    Che or progetta trame nere
    Per riprendersi il potere.

    Prima o poi ritorneranno,
    ma ora tocca al trio far danno
    Poi, rigusteranno la sconfitta
    E staranno un po' in soffitta.

    Sono anni che in quei Tornelli
    Si susseguono i ritornelli
    Del “Dragone” assai paterno
    Che promette un buon Governo.

    Con stipendi esagerati
    Dicono a noi, ora affamati,
    con l’orgoglio d’un gerarca:
    “Siamo sulla stessa barca”.

    Proprio uguale non mi pare,
    Or che siamo in alto mare.
    Loro, sul veliero col pennone
    Noi, su di un semplice gommone

    Crede, ingenuo, il popolino,
    Benché munto da bovino,
    che ormai la nuova classe
    non l’obererà di Tasse.

    Vitaliano Vagnini (19/10/2022)

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