L'urna è il titolo della prima raccolta poetica pubblicata da
Guelfo Civinini (Livorno 1873 - Roma 1954): scrittore, giornalista e
librettista che divenne famoso per i suoi ottimi articoli pubblicati dal
Corriere della Sera, per cui lavorò in diversi periodi, sia come inviato
speciale che come collaboratore esterno. La sua fama è anche legata al libretto
che scrisse per La fanciulla del West:
opera lirica del grande Giuseppe Puccini. Meno conosciuta è la sua opera
poetica, che invece meriterebbe maggiori attenzioni; mi riferisco in
particolare alle due raccolte: L'urna
e I sentieri e le nuvole, che
pubblicò nell'arco di circa un decennio.
Volendo ora
analizzare sommariamente la prima, che uscì nel 1900 presso la Società Editrice
Dante Alighieri di Roma, va detto che comprende 34 poesie divise in 6 sezioni i
cui titoli vado ora ad elencare: CIRCE; RIME DELLE LIETE E DELLE TRISTI
STAGIONI; RIME D'AMORI SPENTI; RIME DI VISIONI E DI MEMORIE; RIME DELL'AMICA
FEDELE; LA MÈTA. Va aggiunto che, sia la prima che l'ultima sezione contengono
soltanto una poesia avente lo stesso titolo delle stesse (anche se Circe si struttura in 10 sonetti
collegati tra loro).
La seconda
sezione risulta essere la più corposa, essendovi racchiuse ben 11 poesie, che,
per le tematiche presenti, e per la disposizione cronologica, vanno a coprire
l'arco temporale di un intero anno (si comincia infatti dalla Sestina di Natale, per finire con Canzonetta di una sera di Novembre). Già
qui, è possibile identificare le caratteristiche della poesia di Civinini, che
rimarrà quasi intatta anche nella raccolta successiva. I suoi punti di
riferimento italiani sono il D'Annunzio del Poema
paradisiaco e, in minor misura, il Pascoli di Myricae; gli stranieri maggiormente seguiti o imitati dallo
scrittore toscano sono invece Paul Verlaine e Maurice Maeterlinck. Facile è
anche notare più di una somiglianza con la scrittura in versi di Cosimo
Giorgieri Contri, che allora aveva già pubblicato da diversi anni la sua
raccolta più importante: Il convegno dei
cipressi. Tale somiglianza viene ancor di più allo scoperto nella terza
sezione, in cui il poeta descrive, con accorata malinconia, una serie di amori
"spenti" del suo passato più o meno recente. Le poche poesie che
fanno parte della quarta sezione, sembrano anticipare il crepuscolarismo, non
solo per l'immancabile e profonda malinconia che vi si respira, ma,
soprattutto, per la scelta di porre in risalto luoghi abbandonati o desolati,
e, qualche volta, anche dei personaggi umili e umbratili. Quanto alla quinta
sezione, contiene anch'essa poche liriche in cui la fa da padrone un romanticismo
estenuato, lo stesso che in parte si ritrova nel D'Annunzio più languido e
dimesso.
Chiudo riportando
il piatto anteriore della raccolta, l'elenco completo delle poesie ivi presenti
e infine tre testi che reputo fra i migliori.
Autore
principale: Civinini, Guelfo
Titolo: L'urna / Guelfo Civinini
Pubblicazione:
Roma: Società ed. Dante Alighieri, 1900
Descrizione
fisica: 121 p.; 19 cm.
* * *
CIRCE
Or che sui clivi
dei malvagi incanti
Lungi, a la mèta!
Io m'affannava invano
Passò nel sole un
galoppar serrato
Quanta vita, in
breve ora! A l'adombrato
Ella venne
raggiante come un astro
E mi viene
l'orgoglio. Dolorando
- O buon
polledro, sangue violento
Alba o vespro, io
non seppi. Il passionale
Or dei malvagi
incanti per i macri
Ma nelle notti,
quando il cuore è stanco
RIME DELLE LIETE
E DELLE TRISTI STAGIONI
Sestina di Natale
Sestina del verno
e della morte
Sestina del sole
sul fiume
Canzone dei
mandorli fioriti
Canzone della
primavera perduta
Canzone delle
rose fiammanti
Ballata delle
rose «In Memoriam»
Ballata delle
falci
Ballata delle
stelle cadenti
Canzonetta del
desiderio onesto
Canzonetta
vendemmiale
Canzonetta d'una
sera di novembre
RIME D'AMORI
SPENTI
L'omaggio
La vana lotta
Le stelle
Ballata del bel
fiore e del dolce frutto
L'eremo
Chiesa rurale
L'abito viola
Motivo stanco
L'istantanea
La spilla di
turchine
La grazia
RIME DI VISIONI E
DI MEMORIE
Una villa
Le bòccole
Notturnino
Le querce sul
fiume
Mattinata
Memorie
dell'infanzia
RIME DELL'AMICA
FEDELE
"Sonetti
augurali":
O rime sorte in lieve fioritura
Ditele: - a voi che siete tanto buona
Ditele: - su la vostra fronte bianca
Un tramonto
lontano
L'asilo
LA MÈTA
La mèta
* * *
CANZONETTA D'UNA
SERA DI NOVEMBRE
Gli orti son
tutti pieni
di crisantemi
bianchi
e di foglie
cadute:
pe' silenzi
sereni
vanno i ricordi
stanchi
delle cose
perdute.
Ancor l'ultimo
sole
incendia una
vetrata
laggiù: suonano
l'Ave.
In un ciel di
viole
la luna s'è
levata
di dietro a Monte
Cave.
Novembre. Ah, che
veleno
in queste sere
smorte,
quando nel cheto
lume
pe' piani umidi
il fieno
e l'erbe odoran
forte
fra le nebbie del
fiume!
Quando l'autunno
infiora
come uno stanco
aprile
l'asil romito
ov'io,
solo, m'indugio
ancora,
che veleno
sottile
di ricordi e
d'oblio!
Non tornerà
l'assente
che nei vesperi
molli
qui mi sedea
vicino
(moria sì
dolcemente
sovra i lontani
colli
il giorno
novembrino);
non tornerà più
mai
in una sera
stanca
giungendo di
lontano
l'amica che
obliai,
la buona anima
bianca,
a porgermi la
mano?
Troppe volte io
l'attesi,
con la fronte che
ardeva,
dietro al vecchio
cancello,
e l'anima protesi
se la ghiaia
strideva
sotto al piedino
snello!
Troppe volte la
sera
ho udito una
romanza
passata ormai di
moda
diffondersi
leggera
per la tepida
stanza
dal piano a mezza
coda!
E troppe volte
infine
io le vidi cadere
nell'ebbrezza
profonda
rovescia su le
trine
bianche
dell'origliere
la bella testa
bionda!
E quest'amore è
morto.
Ove sarà l'altera
che tenne in
signoria
i giaggioli
dell'orto?
Non tornerà, una
sera?
Non tornerai,
Maria?
Commiato.
I morti: ieri i
Santi.
O mio cuore, è la
sorte:
quel che fu santo
ieri
oggi nei
camposanti
custodisce la
morte
fra le ghirlande
e i ceri.
(dalla sezione
"Rime delle liete e delle tristi stagioni", pp. 53-57)
CHIESA RURALE
Nel mattino
riposa
la chiesa umile e
cheta:
quasi la rende
lieta
un chiarore di
rosa.
Vanisce un'alta
pace
fra i dipinti
sbiaditi:
negli scanni
scolpiti
stride il tarlo,
tenace,
fra i parati
turchini:
dal vecchio
sfondo d'oro
guardan rigidi il
coro
tre santi
bizantini.
Saettando fra'
travi
van le rondini a'
nidi,
liete, con brevi
gridi:
giungon di fuori
soavi
i profumi del
prato:
per la navata
cheta
olisce la segreta
poesia del
passato.
Ella un dì qui
pregò
pel mio, pel suo
peccato.
Oh, l'han
riconsacrato
il luogo ove
passò
la carezza odorosa
della veste di
seta?
La chiesa umile e
cheta
nella pace riposa.
(dalla sezione
"Rime d'amori spenti", pp. 69-70)
UNA VILLA
Io conosco una
villa abbandonata
fuor delle mura,
a capo d'un viale
di cipressetti
polverosi, eguale
sempre nella sua
grazia desolata.
Dai ferri della
vecchia cancellata,
fra i rami del
bel parco baronale,
si scorge un
palazzetto. Un ogivale
finestra da gran
tempo è spalancata.
Da gran tempo è
così. chi sa? La mano
che la dischiuse
or forse sarà immota.
Stillan gli
alberi lacrime gelate
sopra le violette
che son nate
a' lor piedi,
dolcezza buona e ignota:
ed ha quel pianto
un alto senso umano.
(dalla sezione "Rime di visioni e di
memorie", p. 97)
Nessun commento:
Posta un commento