I ragni, che
tutti ben conosciamo, non sono insetti, ma animali invertebrati appartenenti al
tipo degli artropodi e all'ordine degli aracnidi. Ve ne sono, di varia
grandezza, un po' in tutto il mondo, e alcuni di essi hanno fama di essere
particolarmente velenosi. Però, almeno sul territorio italiano, è difficile
imbattersi in ragni pericolosi: la stragrande maggioranza di questi animali
sono praticamente innocui, ed è facile vederli anche all'interno delle abitazioni,
soprattutto se si trovano in zone di campagna. Devo ammettere che da bambino
temevo in modo spropositato i ragni, che mi apparivano come piccoli e orribili
mostri; ma la verità è che non mi hanno mai fatto alcun male, a parte lo
spavento che provavo nel vederli, ed oggi certamente non mi fanno più paura.
Nelle dieci poesie che seguono questo preambolo, il ragno è descritto in modo
benevolo, poiché si loda la sua industriosità e la sua maestria nel costruire
la ragnatela: trama sottile, invisibile e perfetta che gli abbisogna per
catturare le prede, ovvero gli insetti di cui si nutre. In alcuni casi, nella
ragnatela, si nota l'assenza dell'animaletto, che a volte viene invocato dal
poeta affinché torni al più presto. In altri versi il poeta si paragona al
ragno, poiché similmente a lui tesse versi, sogni e amore, sperando che il suo
certosino lavoro possa avere una gratificazione; ma, in realtà, si accorge che
le sue speranze andranno sempre deluse, e che basterà un niente per demolire
ciò che ha pazientemente costruito, così come basta un po' di vento per
distruggere una tela di ragno.
L'OPERA DEL RAGNO
di Antonino Anile
(1869-1943)
Un piccol ragno
argenteo s'apprende
a un bronco, che
mi appar tra foglie e foglie:
d'un tratto
s'abbandona a l'aria e scende
pendulo al filo
che da lui si scioglie.
Arde il meriggio,
ed ei sospeso attende,
fin che
all'attesa il vento lo ritoglie,
e, tratto al
bronco opposto, il fil si tende
in arco e il
ragno la sua mèta coglie.
Or va, riviene
sopra il filo teso,
che s'addoppia
s'incerchia si rinforza
in braccia e
teli, e si compon la rete.
Io mi chieggo
com'abbia il ragno appreso
usar d'occulta a
lui cosmica forza;
e ascolto il
ritmo d'armonie segrete.
(da "Sonetti
religiosi", Zanichelli, Bologna 1923, p. 25)
IL RAGNO
di Ferdinando
Bernini (1891-1954)
Il ragno ha
tessuto le file
d'un tenue
grigior di capello
senile,
tra 'l vecchio
tetto forato
da sprazzi di
cielo biancastro,
affocato,
e l'erba che,
verde, fermenta
calore di stalla
ed odore
di menta.
Il ragno risale e
discende,
tessendo il suo
filo; s'arresta
ed attende
la preda: la
falce, la ronca
fienaia, la mano
d'un bimbo
lo tronca
quel filo:
s'allunga, aderisce
al muro, alle
vesti del bimbo,
sparisce.
Eppur, sarà certo
domani
là dove l'han
tolto, non pie,
due mani.
La vita ci
strappa l'ordito
de' sogni, e poi
lo ritesse,
infinito.
(da «Aurea
Parma», luglio/agosto 1920)
PARTENZA
di Gustavo Botta
(1880-1948)
Sul muro sta
l'ombra
di un ragno
gambuto.
«Camera mia
sgombra,
parto; e ti
saluto.
Or vuota rimani
di canti e
d'incanti».
Non sanno il
domani
i miei piedi
erranti.
«Deserta rimani
col ragno, col
topo...»
Via!, rimpianti
vani!
Non pensiamo al
dopo!
Via, senza
compagno!
- Spengo la
candela -
«E tu, saggio
ragno,
fila la tua
tela».
(da "Alcuni
scritti", Ariel, Milano 1952, p. 36)
IL RAGNO
di Enrico
Cavacchioli (1885-1954)
Foglie di rose
gialle
al vento che le
chiama
risospinte alla
rama:
che voli di
farfalle!
Che risa
d'albicocchi!
Guardano nella
luna
la notte che
s'aduna
spalancando
quattr'occhi.
S'adornano
mortelle
profumate di
notte,
mentre con
interrotte
voci chiaman le
stelle,
ed un insetto
acquatico
sopra una
ragnatela
nell'insidia si
vela
con un passo
acrobatico.
Il ragno aspetta:
Sirio
sfavilla: la sua
bocca
fila nubi alla
rocca
d'un tacito
delirio,
e con un
inconsulto
moto d'orco
restìo
si volge a
lunatìo
perché trema un
virgulto,
e corre in
contro, e attira
la preda che
vacilla,
mentre che il
filo brilla
e dondola, e si
stira.
Su quel filo
d'argento,
movendo dieci
gambe,
incontro a stelle
strambe
va il ragno sotto
vento.
Or trova quattro
rondini
e si nasconde, e
trema:
con dieci gambe
rema
piccolo sopra ai
mondi.
Trova un
areoplano
e dondola la
testa:
le stelle ornate
a festa,
lo chiamano pian
piano,
e fan cadere
tracce
visibili di
pianto,
mentre velan
l'incanto
nivale delle
facce.
Ma vede il ragno
e adesca
una rondine
strega:
spezzata si
ripiega
la sottil via
ragnesca....
. . . . . . . . .
. . . . .
Intesso ora i
miei sogni
ad un telaio
meccanico:
passa il vento
oceanico
ebbro di tre
cotogni.
E giunge la tempesta:
cozzan barche
alla riva,
che per l'onda
cattiva
han perduto la
testa.
Sbatton vele
frementi
simili a
fazzoletti;
vibran cordami,
stretti
in duri
abbracciamenti....
Odore di maretta
ho sentito e di
pesca,
e la tua bocca
fresca
la mia bocca ha
costretta!
(da "Le
ranocchie turchine", Edizioni di «Poesia», Milano 1909, pp. 167-170)
IL RAGNO
di Urbano Forti
(?-?)
S'arrampica
leggero
il ragno con la
vita
da porre
all'infinita
compagine; e
mistero
non gli vieta lo
stame
da lui tessuto; è
franco
come il sole sul
bianco
uscio e in vetta
alle rame
intenerite e vene
ben congiunte la
foglia
che cresce. E con
sua voglia
da re la cerchia
tiene
che noi si'
crudamente
incarcera. E se
fugge
a raffica, non
strugge
di conoscere il
vento
nemico: il vento
nero
e di luce a cui
chiede,
l'anima nostra,
fede
d'esser cara al
mistero.
(da
"Maestrale", aprile/maggio 1941)
TELA DI RAGNO
di Alessandro
Giribaldi (1874-1928)
Tela di ragno, a
chi tendi l'agguato
senza il tuo Re?
Egli t'ha
disertato,
forte di sé.
Quando fu mai che
un Re lasciò cantando
la sua città,
lontan, lontan
cercando
la libertà?
Se non cantava il
tuo, ché un ragno egli era,
vedea però
di fuor la
Primavera,
e ti lasciò.
Ben tu somigli al
folle pensier mio
che amore ordì;
questi è partito,
ed io
sol resto, qui.
E tendo invan
l'agguato a mosche d'oro
come fai tu!
Amor fuggì con
loro:
né torna più...
(da "I canti
del prigioniero", Emiliano degli Orfini, Genova 1940, pp. 47-48)
IL RAGNO
di Luigi Grilli
(1858-1931)
Del paziente
ragno,
che geniale la
sua tela fabbrica
e niuno ha per
compagno,
splende l'opra
magnifica:
ché di sue perle
roride
la trapunta la
pura alba, e l'aurora
di rutilanti
porpore
la veste e la
colora.
Né il sol le nega
raggi
e sprazzi e
lampeggio mobile d'iridi...
Vive de' suoi
miraggi
l'industrioso
artefice.
Ed è felice.
Anch'io,
che nella mia
tranquilla solitudine
con fervente
desìo
godo mie rime
intessere,
(qualche musa
benevola
forse m'arride
pur nell'ora tarda!)
vorrei la mia che
compio
non fosse opra
bugiarda;
ma rispecchiasse
il fascino,
onde ogni grazia
d'ingenua arte svela
nella sua vaga
tela
l'artefice
minuscolo.
Ben so: fugge il
momento
sovra gli orditi
delicati e fragili...
Sia lieve al
ragno il vento,
mite al poeta il
critico!
(da «Cordelia»,
ottobre 1930)
ARACNE
di Achille Leto
(1870-1963)
C'è un ragno che
tesse da secoli
la tela fra due
bianchi nulla;
che tesse,
dall'ilare culla
al funebre
avello, ogni dì.
E tesse, mai
stanco, la fragile
sua tela di sogni
nell'aria -
un'ala, che va
solitaria,
vi batte e
l'ordito finì.
(da "La
tibia", Spinnato, Palermo MCMVIII)
IL RAGNO
di Alessandro
Parronchi (1914-2007)
Nell'ombra aperta
tra due rami immoti
ho ritrovato la
tela di ragno
che vidi ieri, ma
il ragno non c'era.
E da tutto
appariva
che non sarebbe
ritornato più.
E ora senza ragno
che farà il ramo
e l'ombra tra i due rami,
che farà il bosco
e che farà la tela
che dell'ombra
misura le distanze?
Si leva il vento
e porta giù le spoglie
e qualcuna
s'impiglia nella tela
un po' la sciupa,
un orlo ne scompiglia.
Ragno ritorna, tu
del bosco sei
l'anima ancora,
l'anima dell'ombra,
tu geometra
sapiente dello spazio
che tra due rami
può alterare il vento
dai dell'ombra la
stabile misura.
E l'autunno lo so
che porta via
tutto, ma perché
duri nel ricordo,
quel ciuffo, in
cima, ha toccato di rosso.
(da "Le
poesie", Polistampa, Firenze 2000, volume I, p. 276)
L'ARTEFICE
di Leonardo
Sinisgalli (1908-1981)
Ieri sera il
ragno ha abbandonato il suo trabocchetto, così poco redditizio. Si sarà accorto
di noi ed è scomparso, nottetempo, lasciando armi e bagagli. Ma bastano poche
ore per costruire una nuova trappola. L'artefice industrioso si porta il
materiale nello stomaco. Fabbrica i suoi tranelli cominciando sempre daccapo e
sputando angoli sempre eguali e segmenti paralleli.
(da "L'età
della luna", Mondadori, Milano 1962, p. 27)
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