La nebbia a gl'irti
colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il
mar;
ma per le vie del
borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei
vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo
scoppiettando:
sta il cacciator
fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli
neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
San Martino è una delle poesie più conosciute, insieme a
Davanti San Guido e a Pianto antico, di Giosuè Carducci (Valdicastello di Pietrasanta 1835 - Bologna 1907); uscì
per la prima volta nel volume Rime nuove
(1882)¹ e di lì a breve fu
inserita nei libri di testo delle scuole italiane, tant'è che anch'io, come
molti altri studenti delle generazioni che son venute prima o dopo la mia,
hanno dovuto studiare e imparare a memoria questa poesia, che, al di là degli
interrogativi sull'obbligo di memorizzare un testo poetico, è molto
bella.
A proposito del santo
festeggiato nella giornata odierna, la figura di Martino è un po' avvolta
nella leggenda, secondo la quale l'uomo, ancora giovane ma già vescovo di
Tours (siamo all'incirca verso la metà del IV secolo d. C.), durante una
giornata rigida e piovosa vide un mendicante infreddolito e seminudo;
impietosito, gli donò metà del suo pesante mantello; a distanza di poco tempo,
Martino incontrò un altro mendicante, nelle medesime condizioni del primo, e
non esitò a donargli l'altra metà del suo mantello. Passarono pochi minuti e il
cielo schiarì, e il sole, grazie ad una anomala potenza dei suoi raggi, in breve
tempo rese il clima assai meno rigido, anzi, quasi estivo. Da qui nasce la
famosa espressione "Estate di San Martino", ad indicare un ritorno
del caldo pur in tempi in cui si annuncia la stagione invernale.
NOTE
1) Il testo qui
riportato è tratto dal volume Poesie
scelte, Mondadori, Milano 1992, p. 117.
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