domenica 17 novembre 2019

La poesia di Alberto Frattini


Constatando l'assenza quasi costante del nome di Alberto Frattini (Firenze 1922 - Roma 2007) tra i poeti selezionati nelle antologie della poesia italiana del secolo scorso, mi sono convinto che, visto l'indubbio valore della sua opera poetica, quest'ultima non sia stata mai considerata abbastanza. Ebbe senza dubbi riconoscenze e apprezzamenti il suo considerevole lavoro di critico letterario, che si concentra maggiormente sulla poesia dell'Ottocento e del Novecento (curò anche diverse e interessanti antologie poetiche). La sua poesia, forse perché non è stato mai possibile farla rientrare nelle varie correnti dei suoi tempi, né, tanto meno, si può inserire nella poetica delle avanguardie che, nel cuore del XX secolo, troppo attiravano l'attenzione degli addetti ai lavori, fu sempre trascurata; il nome di Frattini, infatti, non compare quasi mai nelle antologie più famose del secondo dopoguerra. Per quel che mi riguarda, posso dire di conoscere piuttosto bene la prima fase della poesia di Frattini, compresa tra Giorni e sogni (1950) e Tra il nulla e l'amore (1969). Ebbene, leggendo le poesie pubblicate in un preciso ventennio, mi sono reso conto che il critico e poeta fiorentino scrisse versi molto belli. Alcuni di essi si distinguono per la particolare attenzione dedicata agli affetti, ai problemi di attualità, al destino della vita umana e alla religione; quest'ultimo elemento appare frequentemente, poiché il poeta non dimentica mai di porre in evidenza la sua visione cristiana della realtà. Rilevanti sono i due saggi introduttivi presenti nelle prime pagine di Come acqua alpina e di Tra il nulla e l'amore, scritti rispettivamente da Giorgio Barberi Squarotti e Adriano Grande, riguardanti il fare poetico di Frattini; ecco, a tal proposito, cosa scrive Grande:

Si tratta di una poesia, com'è stato osservato da alcuni critici che di essa si sono occupati, fondata specialmente sull'umano e i suoi affetti, sul reale, dei paesaggi e della storia corrente, assunto e trasfigurato, e talora in contrasto drammatico, con motivi e influssi ideali: il tutto su un tessuto d'implicita, e sovente anche esplicita, religiosità.

Oltre a questo esplicativo frammento, mi permetto di aggiungere che la poesia di Frattini possiede delle peculiarità che la avvicinano a quella di altri due poeti fiorentini un po' più anziani: Mario Luzi (1914-2005) e Alessandro Parronchi (1914-2007); in particolare trovo delle somiglianze con due bellissime raccolte di questi maestri della poesia italiana del Novecento: Onore del vero (1957) di Luzi e Coraggio di vivere (1961) di Parronchi, ovvero il picco più alto mai toccato dai due: entrambe sono opere imprescindibili della nostra poesia del secolo scorso, che giustamente hanno fatto scuola. Concludo riportando tre poesie che ho scelto da tre raccolte di Frattini pubblicate nel ventennio citato.




CREPUSCOLO

Quando ogni voce è spenta
e il cielo si scolora
e il vento non è più che una carezza
d'angelo triste su bianchi giardini,
silenzioso discendo nel mio cuore.
Tace il creato assorto nel pallore
nivale dell'azzurro,
senza luce è la terra, ma la notte
ancor non schiuse il suo stellato fiore.
Ora ogni cosa dorme,
in placido stupore,
cullata da una musica lontana.
Nella quiete mi perdo e più non vedo
che la luce smarrita dei miei sogni.

(da "Giorni e sogni", Edizioni «Pagine Nuove», Selci Umbro 1950)






CASA D'INFANZIA

Casa mia antica, dal tuo quieto volto
mi specchio in un cristallo di sorgenti.
Aria e luce ora svegliano il profondo,
sottile rete di sogni.
Questo è paese d'infanzia:
passo felpato di fate
sui tetti, danze di bionde
regine nell'occhio di un bimbo
assorto a pigolanti nidi.
Da qui comincio: delizia
di malinconiche notti,
se un'eco accende sulla corte cupa
allegria di bicchieri e voci e canti.
Questo è paese dell'anima;
scale povere, apritevi a un sorriso:
lieve su voi era l'orma di Gesù
per il mio cuore, rondine sgomenta.

(da "Come acqua alpina", Accademia di Studi «Cielo d'Alcamo», Trapani 1956)






È VERO SOLTANTO QUESTO

Velocità, viscida via volando,
al volante t'ho visto, irreversibile
morte, viola vagabonda
sul verde veleno dei valichi.
Vittima senza vindice, violenza
senza virtù della tua vinta vela.
È vero solo questo, d'invisibile
vena sangue sul volto, chiuso, urlante,
della volk-wagen vis-à-vis col vuoto,
il vano vitreo vortice del vento.

(da "Tra il nulla e l'amore", Quaderni di «Persona», Roma 1969)




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