Constatando
l'assenza quasi costante del nome di Alberto Frattini (Firenze 1922 - Roma
2007) tra i poeti selezionati nelle antologie della poesia italiana del secolo
scorso, mi sono convinto che, visto l'indubbio valore della sua opera poetica, quest'ultima
non sia stata mai considerata abbastanza. Ebbe senza dubbi riconoscenze e
apprezzamenti il suo considerevole lavoro di critico letterario, che si
concentra maggiormente sulla poesia dell'Ottocento e del Novecento (curò anche
diverse e interessanti antologie poetiche). La sua poesia, forse perché non è
stato mai possibile farla rientrare nelle varie correnti dei suoi tempi, né,
tanto meno, si può inserire nella poetica delle avanguardie che, nel cuore del
XX secolo, troppo attiravano l'attenzione degli addetti ai lavori, fu sempre
trascurata; il nome di Frattini, infatti, non compare quasi mai nelle antologie
più famose del secondo dopoguerra. Per quel che mi riguarda, posso dire di
conoscere piuttosto bene la prima fase della poesia di Frattini, compresa tra Giorni e sogni (1950) e Tra il nulla e l'amore (1969). Ebbene,
leggendo le poesie pubblicate in un preciso ventennio, mi sono reso conto che il
critico e poeta fiorentino scrisse versi molto belli. Alcuni di essi si
distinguono per la particolare attenzione dedicata agli affetti, ai problemi di
attualità, al destino della vita umana e alla religione; quest'ultimo elemento
appare frequentemente, poiché il poeta non dimentica mai di porre in evidenza la
sua visione cristiana della realtà. Rilevanti sono i due saggi introduttivi
presenti nelle prime pagine di Come acqua
alpina e di Tra il nulla e l'amore,
scritti rispettivamente da Giorgio Barberi Squarotti e Adriano Grande,
riguardanti il fare poetico di Frattini; ecco, a tal proposito, cosa scrive
Grande:
Si tratta di una poesia,
com'è stato osservato da alcuni critici che di essa si sono occupati, fondata
specialmente sull'umano e i suoi affetti, sul reale, dei paesaggi e della
storia corrente, assunto e trasfigurato, e talora in contrasto drammatico, con
motivi e influssi ideali: il tutto su un tessuto d'implicita, e sovente anche
esplicita, religiosità.
Oltre a questo
esplicativo frammento, mi permetto di aggiungere che la poesia di Frattini
possiede delle peculiarità che la avvicinano a quella di altri due poeti
fiorentini un po' più anziani: Mario Luzi (1914-2005) e Alessandro Parronchi
(1914-2007); in particolare trovo delle somiglianze con due bellissime raccolte
di questi maestri della poesia italiana del Novecento: Onore del vero (1957) di Luzi e Coraggio
di vivere (1961) di Parronchi, ovvero il picco più alto mai toccato dai
due: entrambe sono opere imprescindibili della nostra poesia del secolo scorso,
che giustamente hanno fatto scuola. Concludo riportando tre poesie che ho
scelto da tre raccolte di Frattini pubblicate nel ventennio citato.
CREPUSCOLO
Quando ogni voce
è spenta
e il cielo si
scolora
e il vento non è
più che una carezza
d'angelo triste
su bianchi giardini,
silenzioso
discendo nel mio cuore.
Tace il creato
assorto nel pallore
nivale
dell'azzurro,
senza luce è la
terra, ma la notte
ancor non schiuse
il suo stellato fiore.
Ora ogni cosa
dorme,
in placido
stupore,
cullata da una
musica lontana.
Nella quiete mi
perdo e più non vedo
che la luce
smarrita dei miei sogni.
(da "Giorni
e sogni", Edizioni «Pagine Nuove», Selci Umbro 1950)
CASA D'INFANZIA
Casa mia antica,
dal tuo quieto volto
mi specchio in un
cristallo di sorgenti.
Aria e luce ora
svegliano il profondo,
sottile rete di
sogni.
Questo è paese
d'infanzia:
passo felpato di
fate
sui tetti, danze
di bionde
regine
nell'occhio di un bimbo
assorto a
pigolanti nidi.
Da qui comincio:
delizia
di malinconiche
notti,
se un'eco accende
sulla corte cupa
allegria di
bicchieri e voci e canti.
Questo è paese
dell'anima;
scale povere,
apritevi a un sorriso:
lieve su voi era
l'orma di Gesù
per il mio cuore,
rondine sgomenta.
(da "Come
acqua alpina", Accademia di Studi «Cielo d'Alcamo», Trapani 1956)
È VERO SOLTANTO
QUESTO
Velocità, viscida
via volando,
al volante t'ho
visto, irreversibile
morte, viola
vagabonda
sul verde veleno
dei valichi.
Vittima senza
vindice, violenza
senza virtù della
tua vinta vela.
È vero solo
questo, d'invisibile
vena sangue sul
volto, chiuso, urlante,
della volk-wagen
vis-à-vis col vuoto,
il vano vitreo
vortice del vento.
(da "Tra il
nulla e l'amore", Quaderni di «Persona», Roma 1969)
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