domenica 10 novembre 2019

Poeti dimenticati: Giuseppe Urbani dall'Aquila


Non si sa molto di questo poeta che, ad un certo punto della sua carriera artistica, volle aggiungere al suo nome e al suo cognome la dicitura "dall'Aquila", probabilmente per sottolineare le sue radici e la sua affezione verso il capoluogo abruzzese dove nacque nel 1877 e dove morì nel 1946. Dalle pochissime notizie biografiche che lo riguardano, ho saputo che ha vissuto per un lungo periodo a Roma e che nella capitale italiana ha stretto importanti amicizie; sempre a Roma ottenne discreta fama come poeta, e diversi critici autorevoli recensirono favorevolmente qualche sua raccolta di versi. La poesia di Urbani, come disse Gabriele D'Annunzio, meritava maggior fortuna, anche se non si può definire un poeta d'avanguardia; infatti il suo fare poetico, attraverso gli anni, non si distaccò mai da un ben radicato classicismo, avendo sempre come punto di riferimento principale i grandi poeti ottocenteschi italiani (Carducci e Pascoli in particolare). Nelle sue opere più tarde si nota una sintesi maggiore e, di conseguenza, una tendenza verso la forma epigrammatica, in cui molto probabilmente diede il meglio di sé.



Opere poetiche

"Rose e cardi", Mele, Aquila 1899.
"Garofani rossi", Perfilia, Aquila 1900.
"Semprevivi", Mele, Aquila 1901.
"Il rosario del cuore", La Vita Letteraria, Roma 1907.
"I canti dell'amore", Edizione dell'autore, 1909.
"Il roseto s'infiamma", Carabba, Lanciano 1923.
"Fontane d'oro", Vecchioni, Aquila 1933
"A vespero", Airoldi, Intra 1939.
"Poesie", F.lli Palombi, Roma 1979.





Testi

LA VECCHIA FONTE

La vecchia fonte a l'ombra de li abeti
come una sfinge si disegna. Tace
la sua bocca, chi sa, quanti segreti,
dal dì che al par d'un simulacro giace.

O vecchia fonte, l'edera tenace
ti stringe i fianchi, e ai facili poeti
cui suggeristi il murmure loquace,
la vecchia poesia tu non ripeti...

Forse sognavi nel tuo sogno il mare,
forse accogliesti il pianto de le cose
e col morir finisti a lagrimare.

O imagine d'un cuore che si dolse,
d'un cor che pianse e che nel pianto pose
l'ultima gioia che il morir gli tolse.

(da "Il rosario del cuore")




FIORI E LAGRIME

Mamma, ricordi, quando me ne andavo
nell'orto, sotto il mandorlo fiorito,
e, scosso il tronco, mi scendea sul capo
una pioggia di petali di neve?

Ora l'albero è morto, e i secchi rami
non un riso di verde hanno o di fiori;
solo la notte ancora vi depone
il pianto eterno delle sue rugiade,
ond'io, se torno il tronco ad agitare,
o mamma, o mamma, è tutto un lacrimare!

(da "Il roseto s'infiamma")




COME IL NAUFRAGO VEDE

Come il naufrago vede
per ogni ala d'alcion che sfiora il mare,
forse una vela, e sente in cor vicina
la nave che lo tragga a salvamento,
io sento, in ogni voce di richiamo,
una nuova speranza che m'illude.

(da "Fontane d'oro")

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