mercoledì 9 ottobre 2019

Tristezza d'una sera d'ottobre


Son rientrato or ora. Per la via
di casa s'accendevano i fanali
tremuli fuochi di malinconia.

Ha piovuto per tutta la giornata.
Son già le prime acque autunnali.
Poi l'aria a vespro s'è rasserenata.

Ma in questa trasparenza d'ametiste
il cielo è come un'anima ch'è stanca
di piangere, ed ancora è tanto triste.

Nessun passava, per la via remota:
incombeva una gran nuvola bianca
sovra le case, tragica ed immota,

un pianger di campane era nell'aria,
dai platani cadean le prime foglie;
tremava qualche stella solitaria;

ed un accoramento indefinito
era in quell'ora satura di doglie
che mi tenea come un fanciul smarrito:

un fiorir vago di memorie spente,
di rimpianto per ogni ben perduto
cui passai forse accanto indifferente:

volti di donne intravedute appena,
anime apparse in gesto di saluto
per qualche solitudine serena,

fantasmi erranti che più non ravviso
chiusi nei veli della lontananza,
ombre di pianto, luci di sorriso

rievocanti all'anima in tremore
un fulgor biondo, un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una veranda in fiore.

Dogliosa nostalgia, la più dogliosa:
quella di ciò che trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce sorte ascosa.

Forse... Triste parola, triste quale
fra le rame dei platani stasera
questo languor di cielo autunnale:

triste e pur buona, che pur s'addolora
ne illude ancor di qualche tenerezza
di cui viviamo, in cui crediamo ancora,

di cui può ancora l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a tedio ogni certezza
e il sogno solo può ancor consolare.

Ma questa sera, oh, nulla la consola:
così triste è la casa all'imbrunire
quando si è soli, e pur l'anima è sola.

Le cose amate, le cose più care
son come morte e più nulla san dire
in questa scialba angoscia che traspare

di tra i ricami delle tende bianche
nell'agonia dell'ultimo chiarore
fra voci di campane umili e stanche.

Tristezze d'un crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un vecchio cuore
triste, che una mortal stanchezza ingombra.

«Addio» mormora l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede svolare a frotte
fra rade stelle fantasime lente

nubi di sogni, vanienti forme
perdute incontro all'imminente notte
verso il mistero immobile ed enorme,

e un bisogno d'addii, forse di pianto,
la stringe. Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è partito già, da tanto,

da tanto tempo. «Addio» mormora ancora
e piange stanca, e sentesi morire.
Di che, non sa. Malinconia l'accora.





Questa splendida poesia fu scritta da Guelfo Civinini (Livorno 1873 - Roma 1954), che la pubblicò nel suo migliore libro di versi: I sentieri e le nuvole (Treves, Milano 1911). Sono 22 terzine che riescono a creare un'atmosfera pregna di malinconia e che sono capaci di suscitare, in chi le legge attentamente, un'emozione suggestiva e particolarmente forte; per questi motivi Tristezza d'una sera d'ottobre è da annoverare tra le migliori liriche del crepuscolarismo e non solo.
I versi qui presenti parlano di una giornata autunnale che sta per terminare. Dopo che ha piovuto per tutto il giorno, mentre sta tornando a casa, il poeta si fa prendere da una invincibile tristezza, dovuta sia alla pioggia che ha caratterizzato l'intera giornata, sia alla luce che - appena ritornata poiché ha smesso da poco di piovere e le nuvole si sono sparpagliate - già si va lentamente attenuando a causa del crepuscolo sopraggiungente. Mentre cammina, l'uomo è sopraffatto da una serie di elementi che inducono alla malinconia e alla disperazione: la totale assenza d'umanità nel percorso che lo porta alla sua dimora; lo strascico di nubi che ancora coprono il sole e fanno sì che la luce si attenui; le campane che sembrano piangere a causa del suono particolare emesso; le stesse foglie bagnate dalla recente pioggia, che lentamente scendono dai platani e paiono lacrime cadenti: tutte queste visioni e questi suoni fanno sì che l'uomo si ritrovi sopraffatto da pensieri nostalgici, indirizzati verso un tempo lontano, in cui era possibile vivere tutt'altre esperienze e fare nuove e interessanti conoscenze. Ma quell'età e trascorsa da troppo tempo ormai, e al poeta non resta altro che dire addio alle care fantasie, alle morte illusioni del passato, e rimuginare tristemente sul vuoto e squallido presente che gli appartiene.

Nessun commento:

Posta un commento