Son rientrato or
ora. Per la via
di casa
s'accendevano i fanali
tremuli fuochi di
malinconia.
Ha piovuto per
tutta la giornata.
Son già le prime
acque autunnali.
Poi l'aria a
vespro s'è rasserenata.
Ma in questa
trasparenza d'ametiste
il cielo è come
un'anima ch'è stanca
di piangere, ed
ancora è tanto triste.
Nessun passava,
per la via remota:
incombeva una
gran nuvola bianca
sovra le case, tragica
ed immota,
un pianger di
campane era nell'aria,
dai platani
cadean le prime foglie;
tremava qualche
stella solitaria;
ed un accoramento
indefinito
era in quell'ora
satura di doglie
che mi tenea come
un fanciul smarrito:
un fiorir vago di
memorie spente,
di rimpianto per
ogni ben perduto
cui passai forse
accanto indifferente:
volti di donne
intravedute appena,
anime apparse in
gesto di saluto
per qualche
solitudine serena,
fantasmi erranti
che più non ravviso
chiusi nei veli
della lontananza,
ombre di pianto,
luci di sorriso
rievocanti
all'anima in tremore
un fulgor biondo,
un'aria di romanza,
un mattin d'oro,
una veranda in fiore.
Dogliosa
nostalgia, la più dogliosa:
quella di ciò che
trascurammo, e ov'era
forse la nostra
dolce sorte ascosa.
Forse... Triste
parola, triste quale
fra le rame dei
platani stasera
questo languor di
cielo autunnale:
triste e pur
buona, che pur s'addolora
ne illude ancor
di qualche tenerezza
di cui viviamo,
in cui crediamo ancora,
di cui può ancora
l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a
tedio ogni certezza
e il sogno solo
può ancor consolare.
Ma questa sera,
oh, nulla la consola:
così triste è la
casa all'imbrunire
quando si è soli,
e pur l'anima è sola.
Le cose amate, le
cose più care
son come morte e
più nulla san dire
in questa scialba
angoscia che traspare
di tra i ricami
delle tende bianche
nell'agonia
dell'ultimo chiarore
fra voci di
campane umili e stanche.
Tristezze d'un
crepuscolo! Nell'ombra
una pendola
batte: un vecchio cuore
triste, che una
mortal stanchezza ingombra.
«Addio» mormora
l'anima dolente.
Perché, non sa.
Vede svolare a frotte
fra rade stelle
fantasime lente
nubi di sogni,
vanienti forme
perdute incontro
all'imminente notte
verso il mistero
immobile ed enorme,
e un bisogno
d'addii, forse di pianto,
la stringe.
Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è
partito già, da tanto,
da tanto tempo.
«Addio» mormora ancora
e piange stanca,
e sentesi morire.
Di che, non sa.
Malinconia l'accora.
Questa splendida
poesia fu scritta da Guelfo Civinini (Livorno 1873 - Roma 1954), che la
pubblicò nel suo migliore libro di versi: I
sentieri e le nuvole (Treves, Milano 1911). Sono 22 terzine che riescono a
creare un'atmosfera pregna di malinconia e che sono capaci di suscitare, in chi
le legge attentamente, un'emozione suggestiva e particolarmente forte; per
questi motivi Tristezza d'una sera
d'ottobre è da annoverare tra le migliori liriche del crepuscolarismo e non
solo.
I versi qui
presenti parlano di una giornata autunnale che sta per terminare. Dopo che ha
piovuto per tutto il giorno, mentre sta tornando a casa, il poeta si fa
prendere da una invincibile tristezza, dovuta sia alla pioggia che ha
caratterizzato l'intera giornata, sia alla luce che - appena ritornata poiché
ha smesso da poco di piovere e le nuvole si sono sparpagliate - già si va
lentamente attenuando a causa del crepuscolo sopraggiungente. Mentre cammina, l'uomo
è sopraffatto da una serie di elementi che inducono alla malinconia e alla disperazione:
la totale assenza d'umanità nel percorso che lo porta alla sua dimora; lo
strascico di nubi che ancora coprono il sole e fanno sì che la luce si attenui;
le campane che sembrano piangere a causa del suono particolare emesso; le
stesse foglie bagnate dalla recente pioggia, che lentamente scendono dai
platani e paiono lacrime cadenti: tutte queste visioni e questi suoni fanno sì
che l'uomo si ritrovi sopraffatto da pensieri nostalgici, indirizzati verso un
tempo lontano, in cui era possibile vivere tutt'altre esperienze e fare nuove e
interessanti conoscenze. Ma quell'età e trascorsa da troppo tempo ormai, e al
poeta non resta altro che dire addio alle care fantasie, alle morte illusioni
del passato, e rimuginare tristemente sul vuoto e squallido presente che gli
appartiene.
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