Nacque a Roma nel
1876 e ivi morì nel 1952. Dopo il ginnasio si trasferì con la famiglia a Pisa e
qui conseguì la laurea in lettere. Sempre nella città toscana cominciò a
frequentare circoli letterari e a pubblicare i suoi scritti sui giornali
locali; in seguito collaborò a riviste prestigiose come "Nuova
Antologia", "La Riviera Ligure" e "Vita letteraria".
Nel frattempo Ghiron dava alle stampe i suoi primi volumi di poesie, che
attirarono l'attenzione di critici e letterati come Guido Mazzoni, Giovanni Marradi
e Eugenio Donadoni. Col passare degli anni lo scrittore romano pubblicò anche
poesie dedicate all'infanzia, racconti, traduzioni ed un romanzo.
La sua poesia, che
rientra nell'ambito del classicismo, si rifà alla poetica pascoliana; in
particolare, si nota un'attenzione all'umanità sofferente.
Opere poetiche
"Vita",
Bemporad, Firenze 1908.
"Le rime della
notte", Bemporad, Firenze 1913.
"Le vespe e gli
eroi", Zanichelli, Bologna 1916.
"Le visioni di
Atropos", Sandron, Milano 1919.
"Gli aquilotti e
le rondini", Sandron, Palermo 1922.
"Tristezze",
Simoncini, Pisa 1925.
"Poesie
1908-1930", Sandron, Palermo 1932.
"I canti di
Dmitri il vagabondo e altre poesie", Studio Ed. Moderno, Catania 1937.
Presenze in antologie
"Antologia della
lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano
1923 (pp. 371-376).
"Le più belle
pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba,
Lanciano 1928 (vol. III, pp. 122-127).
"L'Adunata della
poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana
Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. CCLXXXXVIII-CCC).
Testi
UOMINI
Lo attese al varco,
e, come belva, al collo
lo tenne forte:
disperatamente
ansando, lo guardò l'uomo:
impotente
poi sussultò, poi
vacillò, diè un crollo.
Contro la luna l'orma
d'uno stollo
ultima dileguar vide
il morente:
non vide, udì vanir
sì del fuggente
via pei campi la
pésta... E sorse collo
squallido raggio, e,
d'atre nubi ingombra,
l'alba mirò dai
taciturni cieli,
atomo oscuro, il
pallido insepolto:
laggiù, con gli
sbarrati occhi ancor vòlto
come a inseguire
un'ombra, che si celi
esterrefatta e rapida
nell'ombra.
(da «La
Riviera Ligure», giugno 1907)
DICE IL MALATO DI
CUORE...
Io ti porto nel
petto, o mia condanna.
Mi gridi ogni minuto:
- Io son con te;
non ti lascio; non
chiedermi mercé.
La voce son di chi
muto ti danna. -
Io ti porto nel
petto, o mia condanna.
Anche mi gridi: - non
badarmi! Inganna
l'ora. Men triste a
chi l'inganna ell'è.
Lo so che senti la
tua morte in me;
lo so che per me
tremi come canna
(sempre t'odo nel
petto, o mia condanna)
lieve al vento; ch'io
son l'ombra che appanna
il tuo sereno; ch'io
son lei che ha in sé,
lei che ti grida il
tuo destino, che
le lunghe notti
vigile ti affanna
(oh di mia vita
giovine condanna!);
ma non badarmi! l'ora
lenta inganna.
Io tacerò, vedrai,
senza perché,
d'un tratto, forse...
Tacerò con te,
io tua lunga funèrea
ninnananna. -
Non t'avessi nel
petto, o mia condanna!
(da "Le rime
della notte", 1913)
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