Domenico Gnoli (Roma
1838 - ivi 1915) è stato un poeta anomalo nel panorama della nostra letteratura
ottocentesca e non solo. Infatti, fin dalla sua prima raccolta di versi, uscita
nel 1871, ebbe l'idea di modificare la propria identità, assumendo un altro
nome. La cosa non si ripeté sempre, ma in altri, ulteriori momenti in cui si
ripeté, questa falsificazione d'identità divenne un caso letterario; e fu
proprio alle soglie del Novecento, quando lo Gnoli, ultra sessantenne, fece
pubblicare una raccolta di poesie intitolata Fra terra ed astri, con lo pseudonimo di Giulio Orsini. Molti
insigni uomini di lettere furono ancora una volta ingannati dal poeta romano e,
poiché i versi di quest'ultimo si dimostravano più che mai validi e innovativi,
inneggiarono al "nuovo poeta": il giovane Giulio Orsini che,
finalmente, superava la soglia del XX secolo con un'opera fuori dal comune per
le tematiche e per l'arditezza della forma. Questa illusione durò ben poco;
presto, infatti, si scoprì che dietro quel giovane e baldo poeta si nascondeva
l'anziano Gnoli, il quale, pur essendo già identificato, volle firmarsi col
medesimo, falso nome, anche nella successiva raccolta poetica: Jacovella, che uscì due anni dopo e che
rinnova e approfondisce i modi e gli argomenti della precedente. Soltanto nel
1907, in occasione dell'uscita di un volume che ricapitolasse la sua produzione
poetica più significativa, Domenico Gnoli ritornò alla sua vera identità. Da ricordare
che, precedentemente a Fra terra ed astri,
il poeta romano aveva dato alle stampe un altro libriccino facendosi spacciare
addirittura per una donna: Gina D'Arco. Malgrado non sia da annoverare tra i
più interessanti e innovativi poeti del Novecento, lo Gnoli va ricordato, così
come altri poeti attempati che nei primissimi anni del nuovo secolo andavano
pubblicando le loro ultime raccolte (Vittorio Betteloni, Olindo Guerrini e
Arturo Graf), per aver contribuito al rinnovamento della poesia italiana, già
da anni in una fase di stallo, che vedeva all'orizzonte soltanto imitatori ed
epigoni delle cosiddette "tre corone" (Carducci, Pascoli e
D'Annunzio). Fu anche grazie allo Gnoli se, in quei tempi così sterili, si fece
lentamente strada un nuovo modo di far poesia, che presto sarebbe esploso con i
poeti crepuscolari e, un po' di tempo dopo, coi futuristi. Per quel che
concerne il resto della produzione poetica, c'è da dire che Gnoli iniziò sulla
falsa riga della Scuola romana, per
poi avvicinarsi, come dimostrano le Odi
tiberine, al Carducci; tracce di D'Annunzio si ravvisano nell'esile
raccolta Eros, in cui si firmò, come
già detto, con lo pseudonimo di Gina D'Arco. Ricordo infine che recentemente,
la casa editrice Nuova S1 ha pubblicato una ristampa del libro più importante
di Domenico Gnoli: Fra terra e astri. Dopo le notizie bibliografiche, riporto
quattro poesie che, grosso modo, rappresentano le fasi poetiche dello scrittore
romano.
Opere poetiche
"Versi di
Dario Gaddi", Galeati, Imola 1871.
"Odi
tiberine", Loescher, Torino 1879.
"Nuove odi
tiberine", Loescher, Roma 1885.
"Eros"
(con lo pseud. di Gina D'Arco), Forzani, Roma 1896.
"Vecchie e
nuove odi tiberine", Zanichelli, Bologna 1898.
"Fra terra e
astri" (con lo pseud. di Giulio Orsini), Roux & Viarengo, Roma-Torino
1903.
"Jacovella"
(con lo pseud. di Giulio Orsini), Roux & Viarengo, Roma-Torino 1905.
"Poesie
edite ed inedite", Società Tipografico-editrice Nazionale, Torino-Roma
1907.
"I canti del
Palatino. Nuove solitudini", Treves, Milano 1923.
Presenze in
antologie
"Dai nostri
poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903
(pp. 194-199; pp. 282-284).
"I Poeti
Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano
1913 (pp. 1179-1184).
"I poeti
della scuola romana (1850-1870)", a cura di Domenico Gnoli, Laterza, Bari 1913
(pp. 147-175).
"Antologia
della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C.,
Milano 1923 (pp. 206-207).
"Antologia
della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di
Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 97-102).
"Antologia
della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M.
Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 82-91).
"La lirica
moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp.
342-347).
"Poeti
minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda,
Bologna 1955 (pp. 140-153).
"Un secolo
di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957
(pp. 115-118).
"Poeti
minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958
(pp. 1195-1215).
"L'antologia
dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e
Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 11-17).
"Poeti
minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi,
Milano 1963 (pp. 677-700).
"I poeti
della scuola romana dell'Ottocento", a cura di Ferruccio Ulivi, Cappelli,
Bologna 1964 (pp. 139-163).
"Secondo
Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Zanichelli, Bologna 1969 (pp. 1214-1223).
"Poeti
italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La
Scuola, Brescia 1974 (pp. 69-74).
"Poesia
italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978
(pp. 323-334).
"Bizantini e
decadenti nell'Italia umbertina", a cura di Elsa Sormani, Laterza, Bari
1981 (pp. 248-257).
Testi
IL PASSEGGIO
È un verde colle
aperto
Con fonti chiare
e fiori e piante elette
E amorosi garzoni
e giovinetti
Che pare un
paradiso.
Quando presso a
la sera
Soglion l'aure
portar nova freschezza
Salgon le belle
giovinette a schiera
Mostrando agli
atti amore e gentilezza,
Sì che il colle
ne olezza.
I garzoni si
narran lor novelle,
Vengono e vanno e
pure alle più belle
Tengon lo sguardo
fiso.
Ha questa occhio
d’amore,
Van dicendo, e
quell’ha guancia rosata,
E quella ha un
nuviletto di dolore
Sul bel viso che
pare innamorata.
Taluno intorno
guata,
Qual sotto un
oleandro si riposa,
E quale in bianco
vel tutta gioiosa
Raggia d’un gaio
riso.
E poi suon di
stormenti
Che dolcemente
fan l’aria tremare,
E le belle dagli
occhi rilucenti
Quasi tratte dal
suon paion volare.
E dopo il sol
calare
Pel ciel di rosa
oltre ad un picciol monte.
Più d’uno allor,
com’e’ dimostra in fronte,
Parte d’amor
conquiso.
O giovinette al
volto,
Belle e amorose e
al cor false o spietate,
Quante bellezze
ha il cielo in voi raccolte
A’ nostri danni
par ve l’abbia date.
De la vostra
beltate
Qual alma è dura
si che non s’invoglie?
Ma poi null’altro
che dolor si coglie,
Donne, dal vostro
viso.
(da
"Versi" di Dario Gaddi)
LO SGOMBERO
È tuo quel carro
che torreggia avanti?
E che pensi? che
fai? —
Quel carro è mio:
seguo i penati erranti.
Muto casa, non
sai? —
E muti in meglio?
— Non lo so: che quella
Casa onde vengo
via
Me la faceva
stranamente bella
La matta
fantasia.
Dico matta: per
noi, uomini gravi,
Il giardin, la
casetta
Dove passeggia il
ricordo degli avi,
E dove ogni
stanzetta
Ha una storia, e
l'ascoltano i nepoti
Cheti, levando il
mento,
Per noi son
frasche, baie da idioti,
Ubbie del
sentimento.
Noi gente seria
ce ne andiam vagando
Dove il vento ci
porti,
Per le case degli
altri seminando
Andiamo i nostri
morti.
(da "Odi
tiberine")
VEGLIA
Saliva dai tetti,
recinta di pallido nimbo,
con tacito passo
la luna,
con passo di
madre che mova a spiare se il bimbo
riposi a la
tepida cuna.
Ed io sul balcone
vegliavo, che il sonno da' stanchi
miei occhi è
bandito :i pensieri
novelli d'amor
senza posa l'inseguono a' fianchi,
qual muta d'alati
levrieri.
Un'alta fenestra,
sui tetti, splendeva lontano
lontano. Chi
veglia a quest'ora?
È forse una
povera madre cui stanca la mano
si piega sui
lini, e lavora
lavora pel pane
de' figli? È un convegno d'amanti?
Là dentro è un
infermo? un morente?
Si trama là
dentro un delitto? son risa? son pianti?
Ascolto, ma nulla
si sente.
Sui tetti
dormenti, recinta d'un nimbo leggero,
la pallida luna
salìa:
confuso vegliava
de l'alta fenestra il mistero
con quello de
l'anima mia.
(da
"Eros")
LA BASILICA
Ho nell'anima una
deserta
Basilica: è umida
e odora
Di vecchio. Lo
spazio colora
La luce del
vespero incerta
Che scende dai
vetri appannati.
Vecchia pur essa,
indolente
Stende le tinte
sonnolente
E si perde tra i
colonnati.
Entro il sacro
silenzio dorme
Lo spirito degli
anni grave;
Sorreggono il
lungo architrave.
Varie di giro e
di forme,
Le colonne,
antichi frammenti
Di vaste moli
ruinate,
Visioni
pietrificate
Di macabri
congiungimenti.
Le volute sui
capitelli,
Le logore foglie
d'acanto
Come un desiderio
di pianto,
Si ripiegano sui
listelli.
Sono frammenti
d'antiche
Terme, di lieti
triclini.
Di portici
intorno a giardini
Ora coperti
d'ortiche,
Di curvi teatri,
di sale;
Sono frammenti di
danze,
Sono memorie di
speranze,
Sono ruderi
d'ideale!
È lastricato il
pavimento
Di morti: hanno
levigate
Le faccie, le
mani incrociate
Sul ventre,
nell'atteggiamento
Ultimo. Qui
nessuna arriva,
Tra i brividi del
passato, nessuna
Aura del
presente: nella bruna
Lontananza d'ogni
cosa viva,
Non un suono, non
una voce.
In fondo, sotto
l'abside d'oro
Dove ritti a concistoro
Stanno gli
apostoli, una croce
Nuda, nera, sul
solitario
Altare le braccia
spande.
È forse, o
Umanità, la grande
Croce del tuo
Calvario?
(da "Fra
terra e astri")
Nessun commento:
Posta un commento