venerdì 20 maggio 2016

Piccola antologia dei poeti della "Scuola romana"

È una visita ad un piccolo camposanto, lontano, ombroso, solitario, senza lacrime e senza fiori, dove riposano da tempo pressoché immemorabile i miei parenti ed amici! Quasi tutti morirono giovani o toccata appena l'età matura; e rileggendo sulle lapidi i loro nomi, mi vien fatto di ricercare sopra alcuna di esse anche il mio, come quello di una persona morta già da gran tempo insieme co' miei più cari; e mi par quasi ch'essi si meraviglino e mi facciano rimprovero che io, compagno dell'attività e della vita, sia sfuggito al loro riposo, per cacciarmi innanzi tra le file di nuove generazioni.

[Da "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)", a cura di Domenico Gnoli, Laterza, Bari 1913)







LA MORTE
di Giovanni Torlonia (Roma 1831 - ivi 1858)

La morte è gioia: è un ritornare ai liti
Di quella patria donde siam partiti.
La morte, o Amico, è un vivere novello
Che più libero fa l'uman pensiero,
L'ali gli rende, e lo solleva al Vero:
Per lei si rompe quel fatal suggello
Che della vita a noi chiude l'arcano,
Per lei si mostra il mondo al guardo umano
Senza confini, e più lucente e bello;
Per lei vediamo limpido e svelato
Ogni affetto, ogni idea dell'alme elette
Che abbiamo in terra ardentemente amato,
E ritroviamo in ciel sante e perfette.
Quell'Ideal, che raggia i suoi splendori
In questa parte più, in altra meno,
Allor tutto ci appare e più sereno
In quell'Amor «che s'apre in nove Amori.»
E quel che noi godiam velato in parte
Nelle bellezze di Natura e d'Arte,
Allor si schiude all'avido desio
Raccolto intero nel pensier di Dio.

(Da "Poesie", Le Monnier, Firenze 1856)




CI SON FANCIULLE CHE PAIONO FIORI
di Paolo Emilio Castagnola (Roma 1825 - ivi 1898)

Ci son fanciulle che paiono fiori;
Che far se ne potrebbe un bel giardino
Tutto smaltato di vari colori.

C’è chi somiglia al bianco gelsomino,
C’è chi la chiamereste una viola,
C’è la rosa superba e il fior di spino.

E tutti questi fiori hanno parola;
Olezzano valore e cortesia
E ’n quel giardino Amor ci tiene scuola.

E pure io non so dir che cosa sia 
Che in fra tanti non v’è fior di bellezza
Che vaglia a serenar l’anima mia

Tutta raccolta ne la sua tristezza.

(Da "Poesie", Le Monnier, Firenze 1857)




La cosiddetta "Scuola romana" è una cosa dimenticata, di cui non rimane vestigio che nella memoria mia e di pochi altri, un oggetto dei nonni rimasto in fondo ad un vecchio armadio. Benedetto Croce accennava alla  «non gloriosa scuola romana, una scuola poetica inferiore perfino alla napoletana dello stesso periodo, e non superiore a quella siciliana». Io non sono in grado di far quei confronti, ma noto solo che della produzione romana sparsa in raccolte e volumetti, parte dei quali non sono forse mai usciti di Roma e quasi introvabili, non è facile dar sicuro giudizio con piena cognizione di causa.

[Da "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)"]




LA NOTTE
di Giuseppe Maccari (Frosinone 1840 - Roma 1867)

Or tutto tace nella stanza e fuori.
Scorsa è la sera, e appena un' aura allevia
L'aér pesante dell'agosto. Io seggo,
Seggo, ed invan su le dilette carte
I pensier vaghi e le pupille accolgo.
Il braccio stendo sovra i libri e appoggio
Ne fo alla guancia, e di rincontro al cielo
Per l'aperto balcon gli occhi sollevo,
Mentre la luna leggiermente passa
Su i nugoletti, ed or s'asconde or torna:
E sì mirando lungamente, ho pace.

(Da "Poesie e lettere", Barbèra, Firenze 1867)




A DOMENICO GNOLI
di Giambattista Maccari (Frosinone 1832 - Roma 1868)

Ogni cosa s’invecchia; nella mente
S’invecchiano i pensieri, ed i più cari
Affetti dentro al core, e non son gli anni
Che recan la vecchiezza: ancor nel verde
Di giovinezza l’animo s’invecchia.
I mali, o Gnoli mio, fiaccano il core,
I tristi mali, e v’è chi da fanciullo
Piange, e venuto giovine, non vede
Di giovinezza mai spuntar le rose.
Questi giovine è vecchio, e una mestizia
Gli viene dalle lagrime, che tutta
Gli accompagna la vita; alcuna volta
Il dolore fa l’anima gagliarda,
Ma rado avviene; ché il continuo affanno
Più spesso ci fa debili, ed allora
Ogni cosa le lagrime ci cava.

(Da "Nuove poesie", Galeati, Imola 1869)




La prosa non era per noi. Se anche ci fosse stato permesso, data la indeterminatezza delle idee e la incompiutezza delle cognizioni per difetto d'ogni sussidio, che cosa avremmo avuto da dire? Esclusi da ogni campo d'azione, non addestrati al lavoro intellettuale e all'indagine critica, la nostra vita era tutta di sentimento: amori e sdegni. Soli con noi stessi, non ci restava che esalare nel verso gli affetti e le aspirazioni dell'anima, in quella forma che ci indicava non la vita presente, muta intorno a noi, ma la voce veneranda dei padri. Una tristezza stanca pareva velare quasi tutta quella poesia, espressione della forzata inerzia delle energie giovanili.

[Da "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)"]




 ALLA LUNA
di Augusto Caroselli (Roma 1853 - ivi 1899)

Io vo' lodarti, o Luna
Però che lingua alcuna
Di poeta non tace
I pregi tuoi. Mi piace
Lo spuntar che tu fai
D'oltre i colli; né mai
La sera ne radduce
Questa candida luce,
Ch'io non prenda diletto
Nel cangiarsi d'aspetto
I boschi e l'ampie valli:
Pe' rischiarati calli
La gente s'accompagna,
E la bella campagna
Suona di risa e canti;
Trionfano gli amanti,
Ché il tuo raggio discreto
Non tradisce il segreto,
Ma d'un vago languore
Pinge ogni atto d'amore.
Poca, breve è la gioia;
Il dolore e la noia
Signoreggiano intera
La vita, e sola vera
Dolcezza è nell'oblio:
Luna pietosa, il mio
Letto ne spargi e schiara
Placidi sogni; cara
T'avrò; né lode alcuna
Fia che ti mandi, o Luna.

(Da "Versi", Galeati, Imola 1870)




ALLA VERGINE NEL MESE DI MAGGIO
di Luigi Celli (Roma 1825 - ivi 1870)

Fra l’innocente ragionar d’amore
E di terra natia,
Quest’inno giovinetto a te s’invia,
O Madre del Signore.

Non egli è il dolce tempo? E la vaghezza
Non è questa dell’anno?
Quale in maggio odorato, e d’amor sanno
I fiori in giovinezza.

Cittadina a la mistica Sionne,
E la tua bella stola
Tu quaggiuso vestisti: oh fra le donne
Prima non pur, ma sola!

Santissimo, e tu il sai,
È di patria il desio, chi ben l'estima:
Gentil più ch’altri mai,
Di tutte gentilezze tien la cima.

E tu, Vergine pura,
Se delle forme tue si configura
Un vergine sembiante,
Fai santo il raggio di due luci sante.

Torna il maggio odorato: di vaghezza
Novella i bei fior sanno;
Ride a noi l’animosa giovinezza
Dopo il vigesim’anno. 

Deh, l’inno che s’invia
Fra l’innocente ragionar d’amore
E di terra natia,
Degna d’un guardo, o madre del Signore.

(Da "Versi", Galeati, Imola 1870)




I nostri ideali erano semplici: la morale austera; la religione fuori delle faccende terrene e purificata nel lavacro delle sue origini; con Dante, col Petrarca, col Leopardi gemevamo sull'avvilimento della patria, senza alcuna determinatezza per l'avvenire; l'amore era, con Dante e col Petrarca, un affanno gentile, incontaminato, purificatore. È lontano, non è vero, quel tempo?

[Da "I Poeti della Scuola romana (1850-1870)"]




VENT’ANNI
di Domenico Gnoli (Roma 1838 - ivi 1915)

Io vado su pel mare ondoleggiante
Entro una barca lieve come vento.
Sta sulla poppa un giovine di foco,
Alato, snello e si chiama Desio:
Ha incontro una divina giovinetta,
E tutto pende da le sue pupille
Che sol da quelle pende la sua vita.
Lei dicono Speranza; è tutto riso.
Vanno remando; l’onde ventilate
Baciano la felice navicella.
Nello specchio del mare il sol s’addoppia,
Un’aura dolce mi dilata il petto,
M’agita il crine, mi carezza il viso.
È un affanno, un affanno di dolcezza!

(Da "Versi di Dario Gaddi", Galeati, Imola 1871)




FOCO FATUO
di Pietro Cossa (Roma 1830 - Livorno 1881)

Giulia, hai tu mai veduto
Nell'ore dolci d'una notte estiva,
Allor che tace il vento
O la luce degli astri arde più viva,
Hai veduto talor dal firmamento
Staccarsi un guizzo di cadente foco.
Pari a una stella che tramuti loco?
E là dove si dorme
Sotto povera croce
Sonno duro, uniforme,
Non consolato più da larve care.
Dimmi, Giulia, hai veduto una fiammella
Che tremola, e scompare
Come lampo di stella
Sopra la terra smossa
De la recente fossa?
Graziose follie son de la luce,
E un amor le conduce
Come le idee d'un'anima gentile
Che fatuo chiama il mondo e tiene a vile.
Così vive il poeta:
Luce corta e inquieta,
trascorra vistosa l'emisfero,
solitaria appaia entro a lo stretto
Cerchio d'un cemetero.

(Da "Poesie liriche", Libreria Editrice, Milano 1876)




SOMIGLIANZA
di Ignazio Ciampi (Roma 1824 - ivi 1880)

Se vedo la vecchietta per la via
M'intenerisco tutto e la sogguardo
Con occhio quasi innamorato. Ed ella,
Se s'accorge di me, mi guarda anch'ella
Un po' riconoscente e un po' stupita.
Perché stupisce la vecchietta mia?
Non indovina che ne' suoi sembianti
Ricordo i tratti di mia madre estinta,
E che mi piacerebbe in sulla fronte
Stamparle il bacio che fa bene al core?

(Da "Poesie", Galeati, Imola 1880)







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