domenica 15 gennaio 2023

L'Angelus in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

L’Angelus o Ave Maria, è una preghiera della religione cristiana, in onore dell’Incarnazione. Il nome latino, deriva dalla parola iniziale. Caratteristico di questa orazione, è il suono della campana, che rintocca tre volte al dì - al mattino, al mezzogiorno e alla sera – per indicare ai fedeli l’ora in cui si recita la preghiera. Quest’ultima, è composta da tre versetti, ognuno seguito da un’Ave Maria (per questo è chiamata anche in tal modo); segue, a mo’ di chiusura, un’ altra orazione. Pare che l’Angelus, divenne una consuetudine per il popolo cristiano della penisola italiana, a partire dal XIII secolo; fu probabilmente il re Luigi XI, a far sì che venisse recitata in modo tradizionale (ossia tre volte al giorno) anche a Parigi. Col tempo, questa preghiera assunse un’importanza particolare, divenendo qualcosa di fondamentale per i credenti e non solo. Nel secolo XIX, e all’inizio di quello successivo, l’Ave Maria era ancora imprescindibile, e scandiva le principali fasi delle giornate del popolo italiano. Poi, col tempo, perse d’importanza, tant’è vero che io non ho alcun ricordo di questo rito, così come del suono caratteristico della campana della chiesa che non era (e non è) molto lontana dalla mia abitazione. C’è da dire che, sempre attraverso gli anni, l’Angelus della sera divenne - dei tre tradizionali - quello più rappresentativo; ciò lo si deduce anche dalle poesie che ho trascritto di seguito a questa introduzione, alcune delle quali ben trasmettono quell’atmosfera mistica e particolarmente affascinante che aveva il suono delle campane, sia per coloro che si trovavano nei luoghi d’appartenenza, sia per tutti gli altri, che avevano l’occasione di unirsi mentalmente, grazie alla comune preghiera, alle persone care, fossero anche molto lontane.

 

 L'ANGELUS IN 1O POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

L'AVE

di Vittoria Aganoor (1855-1910)

 

Alfine, alfine! ecco tutte

le cose tacciono; il mondo

tace. Regina o schiava

qual mi vuoi abbimi! è questo

il momento, per questo

l'universo aspettava.

 

Certo aspettava da cento

secoli, e tutti chiedeano:

— Che attende? E perchè questa

tenace estasi, e tanto

accendersi di stelle

come faci a una festa?

 

Ecco la febbre dell'ora,

scote di palpiti novi

le Pleiadi e nel vento

passa l'annuncio... O mio amore,

unico amore, udisti

l'Ave del firmamento?

 

(da "Leggenda eterna", Roux & Viarengo, Torino 1903, p. 16)

 

 

 

 

AVE MARIA

di Guglielmo Felice Damiani (1875-1904)

 

Fatemi un po' di sito, o gente pia,

qui sulla soglia: anch'io la fronte chino,

anch'io tra caprifoglio e gelsomino

torno fanciullo a riverir Maria.

 

E voi fratelli siete qua venuti

mossi dalla pietà d'un cuore afflitto;

io qua giunsi ramingo e derelitto

seguendo certi miei sogni perduti

 

di giustizia e di gloria. Onde mi giova

pregar con voi per quanti han già patito

o patiranno un dì: lunghesso il lito

dura il singulto e l'onda si rinnova.

 

(da "Lira spezzata", Zanichelli, Bologna 1912, vol. I, p. 73)

 

 

 

 

ALL'AVEMARIA

di Diego Garoglio (1866-1933)

 

Mite settembre, nella calma sera

dolce tornar con l'anima tranquilla

quando argentina dalla chiesa squilla

l'invito alla preghiera;

 

e l'invito alla famigliare cena

mentre già l'ombra chiude l'orizzonte,

e come un'ostia d'oro sopra il monte

spunta la luna piena.

 

Il passo affretti sulla bianca via

per quelli che t'aspettano al ritorno,

rimormorando nel morir del giorno

l'antica "Ave, Maria!":

 

il saluto virgineo della Fede,

che da millenni mormoraron gli avi,

che t'insegnò con pie labbra soavi

la mamma in cui si crede.

 

E come in notte il dì si trascolora

teneramente, già presso le porte,

nel pensiero congiungi vita e morte

senza tremar dell'Ora.

 

Tacitamente, prossimi e lontani

nell'intima preghiera benedici,

ansio che Dio sorrida agli infelici

col nuovo sol domani.

 

I tocchi estremi dell'Avemaria

oscillan nel ricordo... Fuori tace

la vita, e ferve entro le case... Pace

al mondo! Così sia.

 

Tassello (Monferrato) agosto 1925

 

(da «La Festa», 6 settembre 1925)

 

 

 

 

L'ANGELUS

di Corrado Govoni (1884-1965)

 

Come deve essere grande quella campana,

che riempie tutto il cielo della sua sonorità!

Si dondola lassù, placida e lenta,

si ferma, va e viene.

Ed io vedo e non vedo, nell' oscurità

dèlia stanza terrena,

il chierichetto, metà nero e metà bianco,

che suona con il piede,

in una languida posa sonnolenta,

ed è portato su nell'aria

poi scende adagio adagio, quando cessa di suonare,

distintissimo e piccolino: come uno di quei razzi spenti

che vagano sulla campagna

con, in coda, il loro dondolante lumicino.

 

(da "Il quaderno dei sogni e delle stelle", Mondadori, Milano 1924, p. 29)

 

 

 

 

ANGELUS

di Augusto Garsia (1889-1956)

 

Dalle eteree vetrate

filtra nel tempio del mondo

l'estremo sole profondo,

o soavissima estate:

 

filtra la tremula prima

luce di luna nel sole,

sbiancando cupe viole

sciolte nell'oro; e la lima

 

fine dei grilli ancor s'ode

dal vagabondo che giunge

dall'ombra in alto e da lunge

recando un canto di lode.

 

             *

 

L'Angelus dice: È finita!

Scendere a valle bisogna:

tornare. E l'anima sogna,

nell'ombra, vasta fiorita

 

di fiordalisi e gerani,

dove si snoda, s'affonda

il canto tacito, l'onda

del canto, incontro al domani:

 

l'onda del canto che s'erge

incontro all'eternità

dopo un sol attimo e tra

fiori di cielo s'immerge.

 

(da «Il Giornale di Politica e di Letteratura», luglio 1926)

 

 

 

 

L’AVE

di Marino Marin (1860-1951)

 

Il cielo, ne la mesta ora de l’ave,

sembra, là verso occaso, un miel sereno,

che si riversi, per le nubi cave,

su l'orizzonte dove il dì vien meno:

 

un miel che, traboccando ampio e soave

dal lucid’orlo d'un gran vase pieno,

coli pel cupo verde e l’acqua grave

sovra ogni eccelsa cima entro ogni seno.

 

O incanto de la mesta ora! Par quasi

che tutte le recondite viole

morte esalando una sottile ebbrezza,

 

tutti i fiori non colti, i fiori rasi

da la stridente falce arsi dal sole,

sian lì dentro quel fiume di dolcezza.

 

(da "Luci e ombre", Zanichelli, Bologna 1904, p. 96)

 

 

 

 

ANGELUS

di Gino Novelli (1899-1975)

 

La luce blanda s'addensa nel mare,

le ombre azzurre scendono sulla terra.

 

Il giorno si confonde con la sera.

 

I campanili neri e diritti

s'innalzano verso il cielo

e parlano con gli Angeli.

 

Tutti, a capo scoperto, salutano la Madonna.

 

Io non riesco a muovere le labbra.

 

Guardo oltre il mare

e odo lo squittire delle ultime rondini

che hanno paura delle stelle nascenti.

 

Non ricordo le preghiere, ma le ho nel cuore

serrate come gemme, e mi fanno male.

 

Ad un tratto il petto mi si allarga d'innocenza e di ricordi

come se il cuore delle cose volesse

entrare nel mio cuore

e il mio cuore volesse raggiungere le stelle.

 

Ora qualcuno è con me,

dentro di me

e mi parla e mi conforta.

 

(da "Migliore stella", La Tradizione, Palermo 1931, pp. 43-44)

 

 


 

L'ANGELUS

di Raffaele Sabelli (?-?)

 

O Signore, chi suona

le campane dell'Angelus?

Invisibili mani

le destano dal sonno,

le fanno ondoleggiare,

cantilenare,

cullarsi nel cielo;

ma non sei Tu che le chiami?

che le fai palpitare

e vivere di gioia

dell'andare e venire

ora di qua, ora di là

dal campanile,

per salutare ogni lato

del creato?

Non è la Tua voce,

che fa risollevare

la mano accidiosa

d'ogni creatura

incontro a Te,

nel segno de la Croce?

 

(da «Quaderni di poesia», 6 agosto 1935)

 

 

 

 

AVE MARIA!

di Giuseppe Urbani (1877-1946)

 

Vengon di lungi murmuri uniformi

come di tenui zampillìi di fonti;

e, punti neri de l'azzurro, a stormi

vanno gli augelli. È l'ora dei tramonti!

 

Intorno, intorno ai limpidi orizzonti,

come le gobbe di camelli enormi,

emergono le cime alte dei monti

illuminate e tra di lor difformi.

 

Da la pieve lontana in cima al colle,

come una voce di malanconìa

si spande il suono dell'avemaria;

 

lascia la vanga sulle patrie zolle

il bifolco e si scopre, e a me si svela

la dolce di Millet fulgida tela.

 

(da "Il rosario del cuore", Edizioni de "La Vita Letteraria", Roma 1907, p. 51)

 

 

 

 

L'AVE

di Diego Valeri (1887-1976)

 

La campana ha chiamato,

e l’angelo è venuto.

Lieve lieve ha sfiorato

con l’ala di velluto

il povero paese;

v’ha sparso un tenue lume

di perla e di turchese

e un palpito di piume;

ha posato i dolci occhi

sulle più oscure soglie...

Poi, con gli ultimi tocchi,

cullati come foglie

dal vento della sera,

se n’è volato via:

a portar la preghiera

degli umili a Maria.

 

(da "Poesie piccole", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1969, p. 9)

 


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domenica 8 gennaio 2023

Poeti dimenticati: Ettore Sanfelice

 

Nacque a Viadana, in provincia di Mantova, nel 1862 e morì a Reggio Emilia nel 1923. Dopo la licenza liceale ottenuta a Mantova, frequentò la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna; ivi si laureò. Si trasferì quindi a Cento, dove iniziò la sua carriera di insegnante. Finita questa prima esperienza professionale, tornò a Viadana, dove ricominciò a studiare assiduamente, per poi ottenere un seconda laurea in Lettere. In seguito ebbe di nuovo la possibilità d’insegnare presso vari istituti scolastici, ma la cronica e dolorosa malattia che lo aveva nel frattempo colpito, lo costrinse prima del tempo ad abbandonare il lavoro; ricoverato in varie strutture di cura, a partire dai quarant’anni e fino al giorno della sua morte, non scrisse più nulla, a causa delle sofferenze atroci che lo tormentarono. La sua produzione poetica, che si svolse in meno di un ventennio, mostra le caratteristiche tipiche della poesia italiana del secondo Ottocento, con qualche elemento comune ad alcuni poeti decadenti francesi.

 

 

Opere poetiche

 

“Raggi ed Ombre”, Zanichelli, Bologna 1885.

“Mattutino”, Zanichelli, Bologna 1886.

“Gru migranti (Primo stuolo)”, Libreria Treves, Bologna 1891.

“Dalla neve alla rosa”, Stracca, Velletri 1895.

“Liriche e scene”, Muglia, Messina 1901.

“Antologia poetica”, Stamperia Valdonega, Verona 1962.

 

 


 

 

Presenze in antologie

 

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp.194-198).

"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1977 (pp. 315-317).

 

 

 

Testi

 

 

ACCENDO IL LUME...

 

Accendo il lume per fugar le amare

fantasie che mi stan sotto le ciglia;

e non so quale spirto mi consiglia

di guardarmi allo specchio, e ricercare

delle mie vision l'ombra nel volto;

nulla vi scorgo; esser vorrei sepolto.

 

(da "Antologia poetica", Stamperia Valdonega, Verona 1962, p. 56)

 

 

 

 

NON SO DI CHE LANGUO...

 

Non so di che languo; il mio cuore va in cerca di strani affanni, e una mortale melanconia mi copre, come un velo di cenere, tessuto sopra lievissima trama d'oro.

  Io non so dove vado; seguo la via che è forse della gioia, o forse del dolore; ahimé, mi dimentica l'amicizia, l'invidia, l'amore.

  La speranza vacilla; svanisce; sono lungi il male e il bene; sono solo. A che questo mio errare, come nube? Perché questa vita? Perché il cielo non cala sulla terra, e non avvolge tutto come lenzuolo di morte?

 

(da "Antologia poetica", Stamperia Valdonega, Verona 1962, p. 89)

 

domenica 1 gennaio 2023

Augurio di Capodanno

 

Io credo all'uccellino batticoda:

che ci porti il buon anno.

Scorre liscio su l'umido tappeto

di bruni muschi, alla soglia del mare,

sosta un tratto a beccare, e poi di nuovo

scivola via come una spola, vola,

sparisce in cielo. Neppur ci ha guardati.

Ma è bello, affusolato, grigio e bianco:

porta, certo, il buon anno.

 




 COMMENTO

Augurio di Capodanno è il titolo di una poesia di Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976), leggibile alla pagina 361 del volume Poesie (Mondadori, Milano 1962), in cui il poeta veneto volle inserire tutta la sua produzione in versi - ad esclusione di una parte da lui rinnegata - pubblicata fino a quell’anno. L’augurio del titolo, riferito alla festa del Capodanno, fantasiosamente è dato al poeta dall’uccellino batticoda; quest’ultimo, detto anche Ballerina bianca o Motacilla alba, è un passeriforme facilmente osservabile sia nel continente europeo che in quello asiatico. Lo si riconosce per il caratteristico piumaggio bianco, grigio e nero, oltre che per la lunga coda agitata costantemente dal pennuto (da qui nasce il soprannome citato da Valeri). Ma perché il poeta pensa che porti fortuna, e la sua vista rappresenti un sincero e concreto augurio di buon anno? Semplicemente per la sua bellezza, e per il piacere che dà a chi lo osserva, sorpreso dai suoi colori e dalla sua agilità. Ciò dimostra, una volta di più, che basta poco ad un poeta, per innescare la sua infinita e imprevedibile fantasia, e per creare una breve ma bellissima poesia, semplicemente e spontaneamente nata da una osservazione apparentemente insignificante avvenuta il primo giorno del nuovo anno.



Motacilla alba
(Di Cherubino - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25664445)