domenica 23 maggio 2021

"L'Oratorio d'Amore" di Diego Angeli

 

L'Oratorio d'Amore 1893-1903 è il titolo della seconda e più consistente opera poetica di Diego Angeli (Firenze 1869 - Roma 1937); in verità è anche l'ultima, dato che Angeli, pur continuando a pubblicare versi in varie riviste, dopo questo volume poetico non ne fece uscire altri a sua firma fino alla sua morte. Dell'autore, si può dire che la poesia fu una delle tante discipline a cui si dedicò, e nemmeno la più rilevante, visto che se oggi qualcuno lo ricorda, è per i suoi romanzi, le sue novelle e qualche saggio di guerra. Il libro in questione, che fu pubblicato dalla Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati e C., in Roma, nel 1904, si sostanzia in 141 pagine e 66 poesie. Non si può nascondere, leggendo questi versi, che Angeli subì una decisiva influenza dalla poesia di Gabriele D'Annunzio, in particolare dalle raccolte L'Isotteo. La Chimera (1889) e Poema paradisiaco (1893); nel contempo, però, mi pare giusto identificare un felice sviluppo e una certa originalità in queste liriche di Angeli, che, già dalla precedente raccolta La Città di Vita (1896), mostravano una capacità indiscussa dello scrittore toscano nel trattare quei temi così cari al decadentismo e al simbolismo, in modo personale e tutt'altro che banale. In queste pagine Angeli approfondisce il discorso iniziato otto anni prima, dimostrandosi oltre tutto un precursore della corrente o scuola crepuscolare, data la malinconia che affiora in diverse composizioni poetiche comprese in questo libro e scritte, come si evince dal sottotitolo, nell'arco di un decennio. Volendo, una volta di più, prendere come riferimento l'antologia Dal simbolismo al déco, si nota che il critico Glauco Viazzi, pur inserendo Angeli nella sezione Ideosimbolisti, esteti, ermetisti, non seleziona alcuna poesia da L'Oratorio d'Amore, preferendo attingere dalle tante liriche che lo scrittore fiorentino pubblicò su riviste prestigiose come Il Marzocco e Poesia; me ne meravigliai e tutt'ora me ne meraviglio, ma noto altresì che nella parte critica, che fa da presentazione a quella antologica, Viazzi cita alcune poesie di questo volume, come si può leggere nel frammento che di seguito riporto, in cui si pone l'accento sul lato psicologico di determinati versi:

 

[...] l'Angeli scrive un rituale d'invocazione, il suo è un esorcismo evocato, ma la Donna rimarrà per sempre l'inattingibile, l'Assente. Se ne ha riprova nel caso in cui l'immagine presenta valenza erotica non latente ma esplicita se non proprio accentuata, e la si può presumere referenziale: si tratta sempre di un reale pensato, ridotto a ricordo, il colloquiale si rivolge sempre ad una assenza (Sopra una gavotta antica), la rimemorazione prevale anche sul versante del presente (La notte dei gigli, caratterizzata com'è, e insistentemente, dalla morte dei gigli, si trasforma in manifestazione esorcistica per contrastare l'assenza e la dissoluzione).¹

 

In riferimento a ciò e per concludere, riporto i testi delle due poesie nominate da Viazzi e presenti ne L'Oratorio d'Amore alle pagine 25 (Sopra una gavotta antica) e 68-70 (La notte dei gigli).

 

 

NOTE

1) Da Dal simbolismo al déco, a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981, tomo primo, pp. 95-96.

 

 

 

 


 

 

 

SOPRA UNA GAVOTTA ANTICA

 

Tutti i lilla fioriranno

nei giardini pieni di fontane.

Ricordate? fu l'altro anno

le promesse non son state vane.

 

Mi avevate detto di venire un giorno

e per voi raccolsi tutti i lilla in fiore.

Ma son morti i lilla! Quando al fin ritorno

voi farete? Quando questo nuovo amore?

 

Ricordate? Ricordate?

Io m'inchino a voi divotamente.

Belle labbra tanto amate

voi non mi rifiuterete niente.

 

Suoneranno in gloria vostra i violini

tra le architetture lievi di mortelle

e vedremo a notte splendere le stelle

mentre odoreranno forte i gelsomini.

 

Ecco, il lilla è già appassito,

la Gavotta muore in lontananza,

muore il mio sogno infinito...

Dite? Dite? Non c'è più speranza?

 

Roma.

 

 

 

 

LA NOTTE DEI GIGLI

 

Morivano i gigli esalando

profumi più ardenti, più gravi:

e si udivano a quando a quando

da lunge richiami soavi.

 

E si udivan misteriosi

accordi sull'ali del vento

e scintillavan radiosi

mille astri nel firmamento.

 

Ed anche si udivan bisbigli

confusi e scrosciar di torrenti:

e tutti morivano i gigli

più gravi, più impuri, più ardenti.

 

Io stavo sul tuo seno, come

fuori del mondo e della vita.

Io stavo sul tuo seno come

in una più lontana vita.

 

Tutto era lontano, ma tutto

viveva nell'animo mio

ed ero sommerso in un flutto

profondo di un profondo oblio.

 

Dove la gran spiaggia sonante

su cui bevvi il filtro letale?

dove il naviglio veleggiante

nel vespro, sull'acqua d'opale?

 

Dove le parole che mai

ho sentito tanto soavi?

Ah i gigli morivano ormai

più impuri, più ardenti, più gravi.

 

Ed io stretto fra le tue braccia

bevevo quel profondo aroma

e tu reclinavi la faccia

su me tra la morbida chioma;

 

e tacevi tutta anelando

ed il tuo respiro segnava

i minuti. Ma fin da quando

quel lento gioire indugiava?

 

Ma quando sarebbe svanito?

Coll'alba? Si udivano canti

lontani, si udiva infinito

il murmure d'acque scroscianti.

 

— Dimani? rispondi, dimani?

ti dissi cercando li intenti

tuoi sguardi, cercando le mani

tue ghiacce — Mi senti? mi senti?

 

Ma tu mi stringesti più forte

al seno ed avesti una sola

parola, ma fino alla morte

sentirò quella tua parola.

 

E tu lo sapevi, tu china

su me — tra la chioma ondosa

era la bocca sibillina

quasi una purpurea rosa —

 

tu l'anima offristi: e fu allora

ogni ultima forza distrutta.

Io vissi una vita in quell'ora

e bevvi quell'anima, tutta.

 

Firenze, maggio.

 

domenica 16 maggio 2021

Antologie: Le più belle poesie d'amore della letteratura italiana

 

Ricordo che, negli ormai lontani anni in cui soventemente mi succedeva di recarmi in diverse librerie romane, negli scaffali - in verità assai limitati - dedicati alla poesia, era facile che notassi la presenza di numerose antologie dedicate all'argomento amoroso. Evidentemente si trattava (e penso tutt'ora si tratti) di un tema coinvolgente, appassionante e molto interessante per i lettori di versi, anche perché l'amore, a mio parere, è un sentimento meraviglioso e imparagonabile, che rende l'uomo simile ad una divinità. Tra tutte queste opere antologiche capitatemi sotto gli occhi, decisi di comperarne un paio; una di esse s'intitola Le più belle poesie d'amore della letteratura italiana. Dalle origini al primo Novecento; questo volume di 444 pagine, fu pubblicato nel 1993 dalla Newton Compton di Roma, e fu curato da Ferruccio Ulivi e da Marta Savini; entrambi i curatori, proprio in quegli anni avevano già realizzato un'altra ottima antologia, dedicata alla poesia religiosa italiana. Dopo una breve prefazione intitolata: Al lettore, inizia la selezione antologica; si parte con Giacomo da Lentini e si giunge a Maria Luisa Spaziani, compiendo un viaggio poetico lungo ben otto secoli; complessivamente, in questo libro compaiono versi di 95 poeti; uno spazio maggiore è dedicato alla lirica novecentesca, che pure, come ben evidenzia il sottotitolo, è inclusa parzialmente (d'altronde l'antologia uscì quando il secolo XX non era ancora terminato). I nomi dei poeti e le poetesse più importanti della letteratura italiana sono tutti presenti, e giustamente è stato dato più spazio a quelli che hanno scritto versi d'amore indimenticabili - ed è inutile che li citi - , dedicati a donne o uomini il più delle volte reali, ma non sono poche le poesie che trattano di un amore fortemente idealizzato, che non ha alcun riferimento ad una persona precisa o esistente. Penso che, basandomi anche sul periodo temporale di cui si occupa, quest'opera antologica sia da considerare ancora oggi tra le migliori dedicate a questo specifico argomento, che è poi quello più ricercato dal pubblico della poesia. Chiudo riportando l'elenco di tutti i poeti compresi in quest'antologia.

 

LE PIÙ BELLE POESIE D'AMORE DELLA LETTERATURA ITALIANA

DALLE ORIGINI AL PRIMO NOVECENTO

 


 

Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Giacomo Pugliese, Guittone d'Arezzo, Chiaro Davanzati, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano, Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Cino da Pistoia, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Franco Sacchetti, Matteo Maria Boiardo, Lorenzo de' Medici, Poliziano, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Matteo Bandello, Giovanni della Casa, Giovan Battista Strozzi, Galeazzo di Tarsia, Michelangelo Buonarroti, Luigi Tansillo, Veronica Franco, Torquato Tasso, Gabriello Chiabrera, Giovan Battista Marino, Girolamo Preti, Pier Francesco Paoli, Tommaso Stigliani, Claudio Achillini, Girolamo Fontanella, Ciro di Pers, Giuseppe Artale, Bartolomeo Dotti, Giambattista Felice Zappi, Eustachio Manfredi, Paolo Rolli, Metastasio, Giuseppe Parini, Ludovico Savioli Fontana, Iacopo Vittorelli, Aurelio de' Giorgi Bertola, Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giovanni Berchet, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Niccolò Tommaseo, Giovanni Prati, Ippolito Nievo, Iginio Ugo Tarchetti, Emilio Praga, Giusue Carducci, Giuseppe Maccari, Domenico Gnoli, Vittorio Betteloni, Antonio Fogazzaro, Olindo Guerrini, Vittoria Aganoor Pompilj, Giovanni Pascoli, Pompeo Bettini, Giulio Salvadori, Gabriele D'Annunzio, Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Dino Campana, Umberto Saba, Corrado Govoni, Piero Jahier, Vincenzo Cardarelli, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Antonia Pozzi, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Piero Bigongiari, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Giorgio Bassani, Maria Luisa Spaziani. 

 

domenica 9 maggio 2021

La felicità in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

È possibile quantificare la propria felicità? Sicuramente no, ma certo è possibile stabilire quale periodo della nostra vita sia stato il più felice di tutti. Nel caso mio questo periodo è compreso nei 365 giorni di un ormai lontanissimo anno: un anno duro, difficile per vari motivi, ma per me eccezionale, in cui ho vissuto gli ultimi scampoli della fanciullezza, quelli in cui si è più consapevoli del proprio stato di benessere, perché s'intensificano i ricordi, le sensazioni piacevoli, e diviene più facile percepire la propria spensieratezza; di conseguenza si respira per la prima volta nella vita il profumo inebriante della felicità. Ricordo ancora il mio ultimo periodo felice, che risale ormai a diversi anni fa, nato da una circostanza che, in teoria, avrebbe dovuto causarmi sensazioni tutt'altro che piacevoli. In quel preciso lasso di tempo, che è durato non più di qualche mese, non avevo affatto la coscienza della felicità: mi sentivo soddisfatto, rilassato, sereno, perfino nei momenti di grande stanchezza. Conclusosi questo periodo che aveva rappresentato dei notevoli cambiamenti nella mia vita di tutti i giorni, ho cominciato, anche se solo parzialmente, a capire che avevo vissuto un momento molto particolare, ossia "felice". E più passava il tempo, più questa sensazione si rafforzava, fino ad avere la netta consapevolezza di essere stato felice proprio in quella determinata fase della mia esistenza.

Sono in sintonia con chi ritiene la felicità una sensazione inusuale e straoridinaria, che si manifesta e si percepisce assai raramente durante la vita di un uomo. Posso dire di aver vissuto dei periodi ben più brevi di felicità: giorni, ore... Più netta è invece la percezione della felicità che ho vissuto nell'età infantile, anche se la cognizione, in questo determinato caso, l'ho avuta intorno ai dodici anni, ovvero proprio al limite tra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza.

 

 

LA FELICITÀ IN 10 POESIE DI 10 POETI DEL XX SECOLO

 

 

LA FELICITÀ

di Arnaldo Beccaria (Milano 1904 - ivi 1972)

                                                                     

                                                                 A Giuseppe Ungaretti

Fra vecchi muri ed orti,

luminosa nel sole,

d'improvviso m'è apparsa

la persona viva

della Felicità.

Non umana persona, era.

Era una rosa

rampicante.

Diceva: «Io sono la Felicità:

un fiore che fiorisce

solo negli orti della solitudine:

la rosa rossa sopra un vecchio muro».

 

(da "Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966, p. 117)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Amalia Guglielminetti (Torino 1881 - ivi 1941)

 

Ma quella che va sola ancora sa

tratto tratto pel suo vagabondare

trovar un'ombra di felicità.

 

Oh! ma un'ombra così lieve che pare

quella del pesco, quando primavera

gli fa una veste di rosette amare.

 

Certa non è se gioia era o non era,

e a sera lo domanda ella a sé stessa

sciogliendo adagio la sua chioma nera.

 

O voce che dicevi sì sommessa:

— Mi piaci! — o riso di perplessità,

o mano che non parla ma confessa,

 

eri o non eri la felicità?

 

(da "Le seduzioni", Palomar, Bari 2001, p. 95)

 

 

 

 

QUESTA FELICITÀ

di Mario Luzi (Sesto Fiorentino 1914 - Firenze 2005)

 

Questa felicità promessa o data

m'è dolore, dolore senza causa

o la causa se esiste è questo brivido

che sommuove il molteplice nell'unico

come il liquido scosso nella sfera

di vetro che interpreta il fachiro.

Eppure dico: salva anche per oggi.

Torno torno le fanno guerra cose

e immagini su cui cala o si leva

o la notte o la neve

uniforme del ricordo.

 

(da "Tutte le poesie", Garzanti, Milano 1993, p. 213)

 

 

 

 

FELICITÀ RAGGIUNTA, SI CAMMINA

di Eugenio Montale (Genova 1896 - Milano 1981)

 

Felicità raggiunta, si cammina

per te su fil di lama.

Agli occhi sei barlume che vacilla,

al piede, teso ghiaccio che s'incrina;

e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

 

Se giungi sulle anime invase

di tristezza e le schiari, il tuo mattino

è dolce e turbatore come i nidi delle cimase

Ma nulla paga il pianto del bambino

a cui fugge il pallone tra le case.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1993, p. 52)

 

 

 

 

FELICE-INFELICE

di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - ivi 1979)

 

Chi ti contende il nome di poeta?

di poeta vivente?

Il passato è il presente

e chi sa farlo presente è poeta.

Chi ti contende il nome di poeta?

Ma il poeta è felice ed infelice,

e la felicità non gli si addice,

e l'infelicità troppo è segreta.

 

"Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente", è Dante che lo dice,

e tu sarai felice ed infelice

in quest'ultima pena o gioia o stretta.

"Lume non è se non vien dal sereno

che non si turba", così Dante dice,

e tu sarai non altro che infelice

con le tue incertezze e il tuo veleno.

 

(da "In verso e in prosa", Mondadori, Milano 1979, p. 175)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Ettore Moschino (L'Aquila 1867 - Roma 1941)

 

Splende la prora mia tra gli arabeschi

fini che intesse, balenando, il mare,

e al suon de' vènti armoniosi e freschi

le Sirene si destano a cantare.

 

Cantan d'una beata isola d'oro

che fiorisce improvvisa a' naviganti,

e la Pace v'innalza archi d'alloro,

e l'Amor vi diffonde ali ed incanti.

 

Alto, ne'l mio desìre, ambo le mani

verso la favolosa isola sporgo;

ma il mar s'infosca, e in suoi silenzi immani,

perdutamente mi sommerge il gorgo...

 

(da "I lauri", Treves, Milano 1908, p. 155)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Francesco Pastonchi (Riva Ligure 1874 - Torino 1953)

 

Nel vento della sera

odorano i rosai:

godi l'ora che mai

più non ritornerà.

 

Nel vento della sera

baciami tra le rose...

fatta di tenui cose

è la felicità!

 

(da «La Donna», 20 giugno 1914)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Massimo Spiritini (Zevio 1879 - Verona 1963)

 

Felicità ti è sempre a qualche metro,

ma invan tu arranchi per tenerle dietro;

ricalchi alfin la via deluso e stanco,

guardi e t'accorgi... che ti trotta a fianco.

 

(da "Versi", QuiEdit", Verona 2010, p. 54)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976)

 

Nessun dolore porta

più fuoco dei tormenti,

e paura nel sangue,

nessun dolore duole come questa

felicità che posa all'improvviso

su l'attonito cuore la sua mesta

dolcezza di sorriso;

e il cuore attende e trema

un suo bene supremo e sconosciuto

che non potrà soffrire,

e, fra tema e speranza,

sente che non gli avanza

altro più che morire.

 

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1962, p. 189)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Cesare Vivaldi (Imperia 1925 - Roma 1999)

 

La felicità mi s'attacca alle spalle

d'improvviso,

piena la bocca

di refe per cucire a lunghe gugliate un giorno con l'altro

senza che me ne accorga.

E sono scampato al diluvio,

schietto come un albero,

nudo come la tromba

che suona nella notte

la ritirata.

 

Povere le mie mani se non sapessero più

cosa stringere.

 

(da "Poesie scelte 1952/1992", Newton Compton, Roma 1993, p. 88-89)

 

 


domenica 2 maggio 2021

Poeti dimenticati: Balilla Pinchetti

 

Nacque a Tirano, in Valtellina, nel 1889, e ivi morì, nel 1973. Dopo la laurea in lettere conseguita a Firenze, iniziò ad insegnare presso un liceo di Catania; professò l'insegnamento fino al 1959. Tra il 1943 ed il 1945, poiché antifascista, dovette riparare in Svizzera. Finita la Seconda Guerra Mondiale, tornò nel suo paese di nascita, dove, per un breve periodo, divenne consigliere comunale. Fu autore, oltre che di poesie, di alcuni saggi sulla poesia italiana e di ottime traduzioni. Si fece notare con una raccolta di versi: Nel gorgo (1920), dove la fa da padrone il tema della Grande Guerra, a cui il poeta partecipò. Con la successiva Il caduco e l'eterno (1927), il Pinchetti raggiunse la completa maturità; nelle pagine di questo volume spicca un sincero e accorato intimismo, insieme ad una tendenza descrittiva riguardante paesaggi cari al poeta, colti in determinate stagioni e in particolari momenti della giornata. Sulla stessa scia della precedente si pone l'ultima raccolta di Pinchetti: Umana sorte, uscita due anni dopo la sua scomparsa.

 

 

Opere poetiche

 

"Sul limite dei sogni", Muglia, Catania 1914.

"Nel gorgo", Cappelli, Rocca S. Casciano 1920.

"Il caduco e l'eterno", Bemporad, Firenze 1927.

"Umana sorte", C.I.G., Madonna di Tirano 1975.



 


 

Testi

 

UNA SOSTA

 

Anima, godi questo sol che splende

tra cielo e mare, colaggiù, da lunge,

dove come una nuvola si stende,

quasi l'acque a partir dall'orizzonte,

una striscia lievissima di fumo.

Godi e respira questo che ti giunge

da li orti, chiusi tra la riva e il monte,

indistinto, indicibile profumo.

 

Tra poco l'onda scenderà, velando

i contorni alle cose e le distanze.

Ad una ad una, su nel ciel, tremando,

come a specchio d'un'acqua esili fiori,

timidamente si apriran le stelle:

quelle che, d'alto, veglian le speranze

compagne eterne degli umani cuori,

ed il dolore che le fa più belle.

 

E allora, anima, tu risalperai

pel tuo viaggio verso l'infinito:

allor, sola con te, rifrugherai

l'ombre a scrutare se ti si profili

nel respir della notte solitaria

lontano l'azzurrino orlo del lito

co'suoi contorni, fluidi, sottili,

segnati appena di tra l'acqua e l'aria.

 

Ora goditi questa dolce sosta,

ora indugia così. Odi la voce

dell'onde che s'infrangono alla costa,

segui con l'occhio il sole che scompare,

bevi il profumo che per te si esala...

E oblìa che intanto verso la sua foce,

simile a fiume che distende al mare,

perennemente la tua vita cala!

 

(da "Il Caduco e l'Eterno")

 

 

 

 

 

UN ALTRO GIORNO CHE PASSA

 

Un altro giorno che passa: un brano

di cuore - ancora - che se ne va:

un lembo ancora che fugge lontano

della intravista felicità.

 

Ancora un sospiro che si esala

su una speranza nudrita invano:

un'altra piuma strappata ad un'ala

che sostenersi in ciel più non sa.

 

Un'ombra ancora, fitta, che cala

dove più vivo il sole brillò:

ed un rimpianto, ma sempre più vano,

per il sogno che non si avverò.

 

(da "Umana sorte")