È possibile
quantificare la propria felicità? Sicuramente no, ma certo è possibile
stabilire quale periodo della nostra vita sia stato il più felice di tutti. Nel
caso mio questo periodo è compreso nei 365 giorni di un ormai lontanissimo anno:
un anno duro, difficile per vari motivi, ma per me eccezionale, in cui ho
vissuto gli ultimi scampoli della fanciullezza, quelli in cui si è più
consapevoli del proprio stato di benessere, perché s'intensificano i ricordi,
le sensazioni piacevoli, e diviene più facile percepire la propria
spensieratezza; di conseguenza si respira per la prima volta nella vita il
profumo inebriante della felicità. Ricordo ancora il mio ultimo periodo felice,
che risale ormai a diversi anni fa, nato da una circostanza che, in teoria, avrebbe
dovuto causarmi sensazioni tutt'altro che piacevoli. In quel preciso lasso di
tempo, che è durato non più di qualche mese, non avevo affatto la coscienza
della felicità: mi sentivo soddisfatto, rilassato, sereno, perfino nei momenti
di grande stanchezza. Conclusosi questo periodo che aveva rappresentato dei
notevoli cambiamenti nella mia vita di tutti i giorni, ho cominciato, anche se
solo parzialmente, a capire che avevo vissuto un momento molto particolare,
ossia "felice". E più passava il tempo, più questa sensazione si
rafforzava, fino ad avere la netta consapevolezza di essere stato felice
proprio in quella determinata fase della mia esistenza.
Sono in sintonia
con chi ritiene la felicità una sensazione inusuale e straoridinaria, che si manifesta e si
percepisce assai raramente durante la vita di un uomo. Posso dire di aver
vissuto dei periodi ben più brevi di felicità: giorni, ore... Più netta è
invece la percezione della felicità che ho vissuto nell'età infantile, anche se
la cognizione, in questo determinato caso, l'ho avuta intorno ai dodici anni,
ovvero proprio al limite tra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza.
LA FELICITÀ
di Arnaldo
Beccaria (Milano 1904 - ivi 1972)
A Giuseppe Ungaretti
Fra vecchi muri
ed orti,
luminosa nel
sole,
d'improvviso m'è
apparsa
la persona viva
della Felicità.
Non umana
persona, era.
Era una rosa
rampicante.
Diceva: «Io sono
la Felicità:
un fiore che
fiorisce
solo negli orti
della solitudine:
la rosa rossa
sopra un vecchio muro».
(da
"Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966, p. 117)
LA FELICITÀ
di Amalia Guglielminetti
(Torino 1881 - ivi 1941)
Ma quella che va
sola ancora sa
tratto tratto pel
suo vagabondare
trovar un'ombra
di felicità.
Oh! ma un'ombra
così lieve che pare
quella del pesco,
quando primavera
gli fa una veste
di rosette amare.
Certa non è se
gioia era o non era,
e a sera lo
domanda ella a sé stessa
sciogliendo
adagio la sua chioma nera.
O voce che dicevi
sì sommessa:
— Mi piaci! — o
riso di perplessità,
o mano che non
parla ma confessa,
eri o non eri la
felicità?
(da "Le
seduzioni", Palomar, Bari 2001, p. 95)
QUESTA FELICITÀ
di Mario Luzi
(Sesto Fiorentino 1914 - Firenze 2005)
Questa felicità
promessa o data
m'è dolore,
dolore senza causa
o la causa se
esiste è questo brivido
che sommuove il
molteplice nell'unico
come il liquido
scosso nella sfera
di vetro che
interpreta il fachiro.
Eppure dico: salva
anche per oggi.
Torno torno le
fanno guerra cose
e immagini su cui
cala o si leva
o la notte o la
neve
uniforme del
ricordo.
(da "Tutte
le poesie", Garzanti, Milano 1993, p. 213)
FELICITÀ RAGGIUNTA, SI CAMMINA
di Eugenio
Montale (Genova 1896 - Milano 1981)
Felicità raggiunta,
si cammina
per te su fil di
lama.
Agli occhi sei
barlume che vacilla,
al piede, teso
ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti
tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle
anime invase
di tristezza e le
schiari, il tuo mattino
è dolce e
turbatore come i nidi delle cimase
Ma nulla paga il
pianto del bambino
a cui fugge il
pallone tra le case.
(da "Ossi di
seppia", Mondadori, Milano 1993, p. 52)
FELICE-INFELICE
di Marino Moretti
(Cesenatico 1885 - ivi 1979)
Chi ti contende
il nome di poeta?
di poeta vivente?
Il passato è il
presente
e chi sa farlo
presente è poeta.
Chi ti contende
il nome di poeta?
Ma il poeta è
felice ed infelice,
e la felicità non
gli si addice,
e l'infelicità
troppo è segreta.
"Tu lascerai
ogni cosa diletta
più
caramente", è Dante che lo dice,
e tu sarai felice
ed infelice
in quest'ultima
pena o gioia o stretta.
"Lume non è
se non vien dal sereno
che non si
turba", così Dante dice,
e tu sarai non
altro che infelice
con le tue
incertezze e il tuo veleno.
(da "In
verso e in prosa", Mondadori, Milano 1979, p. 175)
LA FELICITÀ
di Ettore
Moschino (L'Aquila 1867 - Roma 1941)
Splende la prora
mia tra gli arabeschi
fini che intesse,
balenando, il mare,
e al suon de'
vènti armoniosi e freschi
le Sirene si
destano a cantare.
Cantan d'una
beata isola d'oro
che fiorisce
improvvisa a' naviganti,
e la Pace
v'innalza archi d'alloro,
e l'Amor vi
diffonde ali ed incanti.
Alto, ne'l mio
desìre, ambo le mani
verso la favolosa
isola sporgo;
ma il mar
s'infosca, e in suoi silenzi immani,
perdutamente mi
sommerge il gorgo...
(da "I
lauri", Treves, Milano 1908, p. 155)
FELICITÀ
di Francesco
Pastonchi (Riva Ligure 1874 - Torino 1953)
Nel vento della
sera
odorano i rosai:
godi l'ora che
mai
più non
ritornerà.
Nel vento della
sera
baciami tra le
rose...
fatta di tenui
cose
è la felicità!
(da «La Donna»,
20 giugno 1914)
FELICITÀ
di Massimo
Spiritini (Zevio 1879 - Verona 1963)
Felicità ti è
sempre a qualche metro,
ma invan tu
arranchi per tenerle dietro;
ricalchi alfin la
via deluso e stanco,
guardi e
t'accorgi... che ti trotta a fianco.
(da
"Versi", QuiEdit", Verona 2010, p. 54)
FELICITÀ
di Diego Valeri
(Piove di Sacco 1887 - Roma 1976)
Nessun dolore
porta
più fuoco dei
tormenti,
e paura nel
sangue,
nessun dolore
duole come questa
felicità che posa
all'improvviso
su l'attonito
cuore la sua mesta
dolcezza di
sorriso;
e il cuore
attende e trema
un suo bene
supremo e sconosciuto
che non potrà
soffrire,
e, fra tema e
speranza,
sente che non gli
avanza
altro più che
morire.
(da
"Poesie", Mondadori, Milano 1962, p. 189)
LA FELICITÀ
di Cesare Vivaldi
(Imperia 1925 - Roma 1999)
La felicità mi
s'attacca alle spalle
d'improvviso,
piena la bocca
di refe per
cucire a lunghe gugliate un giorno con l'altro
senza che me ne
accorga.
E sono scampato
al diluvio,
schietto come un
albero,
nudo come la
tromba
che suona nella
notte
la ritirata.
Povere le mie
mani se non sapessero più
cosa stringere.
(da "Poesie
scelte 1952/1992", Newton Compton, Roma 1993, p. 88-89)
Jean-Antoine Watteau, "Heureux age! Age d'or"
(da questa pagina web)
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