giovedì 10 ottobre 2019

Frammenti crepuscolari


Se ci sono dei poeti che ho amato alla follia, e che ancora amo con la stessa intensità, questi sono i crepuscolari. Tra di essi, ve ne sono alcuni che spiccano, e che un po' tutti conoscono, perché sono entrati a far parte della nostra migliore letteratura; ma ve ne sono altri meno noti o del tutto sconosciuti, che, malgrado ciò, a mio avviso meritano considerazione. Per questo ho voluto ricordare alcuni tra i migliori versi dei grandi e piccoli poeti crepuscolari, riportando, per ciascuno di loro, degli emblematici, bellissimi frammenti poetici. Eccoli dunque, uno dopo l'altro: si parte da Guido Gozzano e Sergio Corazzini per giungere a nomi praticamente ignorati da tutti.


FRAMMENTI CREPUSCOLARI



Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!

(da Cocotte di Guido Gozzano)

Guido Gozzano




Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.

(da Desolazione del povero poeta sentimentale di Sergio Corazzini)

Sergio Corazzini




Chinar la testa che vale?
Che vale fissare il sole?
Ciò che vorresti non vuole
chi è più forte, o mortale.
Non c’è né duolo né gioia,
non ci son luci né ombre:
il grigio, il grigio che incombe
sui cuori e un tarlo: la noia.

(da Che vale? di Marino Moretti)

Marino Moretti





O tristezza d' andare al camposanto
senza la compagnia di qualche fiore,
tristezza de la bara senza pianto
che procede per l'ultime dimore !
La stradicciuola è stretta in mezzo a gli orti
pieni di rose e di malinconia...
Oh pensate, pensate a tutti i morti
che passarono lungo questa via!

(da La via de la Certosa di Corrado Govoni)

Corrado Govoni





Venerdì santo, entrato in agonia,
non ha la sua campana che lo pianga...
come un mendico, cui nulla rimanga,
rassegnato si muore sulla via...
Prega, e ricorda nella tua preghiera
tutte le cose che ci lasceranno:
anche il ramo d'olivo che l'altr'anno
ci donò, per la Pasqua, Primavera.

(da Venerdì santo di Fausto Maria Martini)

Fausto Maria Martini





Ore della notte,
ore del sole,
uguali tutte,
che non ridete
a chi v'aspetta sole.
Ore sole come solo pane,
per oggi e per dimane,
e per tutti i giorni
di tutte le settimane.

(da Ore sole di Aldo Palazzeschi)

Aldo Palazzeschi





O gioia di essere solo!
non l'ombra d'un conosciuto
vicino, toltone il muto
dottore che avrei preso a nolo.
Non ascolterei che la sola
Natura, l'unica amica;
non compirei piú la fatica
di dire una mezza parola.

(da Alcuni desideri di Carlo Vallini)

Carlo Vallini





È dolce guardare a distanza,
come fra nebbie, il passato:
pensar: "Ciò ch'è stato, è stato:
pure un barlume ne avanza!"
Bella eravate? Lo penso.
E foste buona? È men certo.
Credo perfin che ho sofferto
un dolor vano, ma intenso.

(da Tra i veli de la memoria di Carlo Chiaves)

Carlo Chiaves





Sono solo. Ha piovuto. C'è una luce
bianca là dentro ai pini neri. Cuce
una donnetta in nero un panno bianco.
La luce e il panno: bianco. I pini e l'abito: nero.
Oltre quel nero e bianco, tutto è grigio; il sentiero
grigio, le case grigie. Mi sento l'occhio stanco.

(da Studio in bianco e nero di Nino Oxilia)

Nino Oxilia





La gloria? la sposa?
- È poca vittoria.
E poco sono anche le stelle
lucenti su me.
Io sento altre cose più belle,
nostalgico io vivo di cosa
che al mondo non è.

(da Mentre l'esilio dura di Giulio Gianelli)

Giulio Gianelli





Quando, la notte, dormivo,
io non temevo di niente;
c'era con me la mia mamma:
c'era nell'ombra la luce.
Ora, non so perchè faccia
questo infinito viaggio;
sono stanchissimo: cade
sopra il mio petto la testa.

(da Un fanciullo di Tito Marrone)

Tito Marrone






E come aulian le viole
le tue perdute parole,
canzone dell'anima mia!
Oh, potervi ancor cantare
parole dimenticate,
piccole rime abbandonate
nella lontananza serena
d'un dolce aprile che fu...

(da Una romanza dimenticata di Guelfo Civinini)






Io son disfatto da una pace eterna-
mente uguale, una pace eternamente
monotona; mi struggo lentamente.
Miserere di me, arbori santi,
date un pianto al mio cor dei vostri pianti;
è primavera e nel mio petto inverna!

(da Gli Ulivi di Umberto Bottone)







Da quanto tempo, immemore, mi aggiro
ospite involontario in mezzo ad ospiti
occulti nel castello della Noia?...
Cerco invano la stanza che m'accolga,
la crisalide bigia dove il sogno
tessere possa qualche filo d'oro...

(da L'albergo della della Noia di Remo Mannoni)






Abbandono per le vie che l'ora imbruna!
ultimo canto, ultimo fulgore!
L'azzurro, tra le lagrime, dispare!
Anima mia, carezza il tuo dolore;
ritorneranno, il dì che i sogni aduna,
le sorelle paranze del tuo mare!

(da Alle fonti di un perenne desiderio di Alberto Tarchiani)






Guardami. Sono un'ombra, sono l'ombra
de l'eternità profonda,
il dolore del dolor mio.
Tu pure mi vedrai passare:
passano gli astri, passano i rosai;
tutto. Tu pure passerai,
tu pure: anche il mio dolore.

(da Ombre di convalescenza di Yosto Randaccio)






Crepuscolo, autunno del giorno!
Pianger non odi i violini?
Son ciechi, van come bambini
incerti nei passi, in catena.
Non dicono mai la lor pena,
- li avete mai uditi parlare? -
Il giorno è sì lento a passare!

(da Domenica di Guido Ruberti)





Infine ecco i volumi da cui provengono i versi riportati.

Guido Gozzano (1883-1916): "I colloqui", Treves, Milano 1911.
Sergio Corazzini (1886-1907) e Alberto Tarchiani (1885-1964): "Piccolo libro inutile", Tipografia Operaia Romana, Roma 1906.
Marino Moretti (1885-1979): "Poesie scritte col lapis", Ricciardi, Napoli 1910.
Corrado Govoni (1884-1965): "Armonia in grigio et in silenzio", Lumachi, Firenze 1903.
Fausto Maria Martini (1886-1930): "Poesie provinciali", Ricciardi, Napoli 1910.
Aldo Palazzeschi (1885-1974): "Poemi", Blanc, Firenze 1909.
Carlo Vallini (1885-1920): "Un giorno", Streglio, Torino 1907.
Carlo Chiaves (1882-1919): "Sogno e ironia", Lattes, Torino 1910.
Nino Oxilia (1889-1917): "Gli orti", Alfieri & Lacroix, Torino 1918.
Giulio Gianelli (1879-1914): "Mentre l'esilio dura", Streglio, Torino 1904.
Tito Marrone (1882-1967): "Liriche", Artero, Roma 1904.
Guelfo Civinini (1873-1954): "I sentieri e le nuvole", Treves, Milano 1911.
Umberto Bottone (1888-1965): "Lumi d'argento", La Speranza, Roma 1906.
Remo Mannoni (1883-1966): "Fermento", Manzoni, Roma 1931.
Yosto Randaccio (1880-1965): "Poemetti della convalescenza", Meloni-Aitelli, Cagliari 1909.
Guido Ruberti (1885-1955): "Le Evocazioni", Casa Editrice Centrale, Roma 1909.

mercoledì 9 ottobre 2019

Tristezza d'una sera d'ottobre


Son rientrato or ora. Per la via
di casa s'accendevano i fanali
tremuli fuochi di malinconia.

Ha piovuto per tutta la giornata.
Son già le prime acque autunnali.
Poi l'aria a vespro s'è rasserenata.

Ma in questa trasparenza d'ametiste
il cielo è come un'anima ch'è stanca
di piangere, ed ancora è tanto triste.

Nessun passava, per la via remota:
incombeva una gran nuvola bianca
sovra le case, tragica ed immota,

un pianger di campane era nell'aria,
dai platani cadean le prime foglie;
tremava qualche stella solitaria;

ed un accoramento indefinito
era in quell'ora satura di doglie
che mi tenea come un fanciul smarrito:

un fiorir vago di memorie spente,
di rimpianto per ogni ben perduto
cui passai forse accanto indifferente:

volti di donne intravedute appena,
anime apparse in gesto di saluto
per qualche solitudine serena,

fantasmi erranti che più non ravviso
chiusi nei veli della lontananza,
ombre di pianto, luci di sorriso

rievocanti all'anima in tremore
un fulgor biondo, un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una veranda in fiore.

Dogliosa nostalgia, la più dogliosa:
quella di ciò che trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce sorte ascosa.

Forse... Triste parola, triste quale
fra le rame dei platani stasera
questo languor di cielo autunnale:

triste e pur buona, che pur s'addolora
ne illude ancor di qualche tenerezza
di cui viviamo, in cui crediamo ancora,

di cui può ancora l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a tedio ogni certezza
e il sogno solo può ancor consolare.

Ma questa sera, oh, nulla la consola:
così triste è la casa all'imbrunire
quando si è soli, e pur l'anima è sola.

Le cose amate, le cose più care
son come morte e più nulla san dire
in questa scialba angoscia che traspare

di tra i ricami delle tende bianche
nell'agonia dell'ultimo chiarore
fra voci di campane umili e stanche.

Tristezze d'un crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un vecchio cuore
triste, che una mortal stanchezza ingombra.

«Addio» mormora l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede svolare a frotte
fra rade stelle fantasime lente

nubi di sogni, vanienti forme
perdute incontro all'imminente notte
verso il mistero immobile ed enorme,

e un bisogno d'addii, forse di pianto,
la stringe. Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è partito già, da tanto,

da tanto tempo. «Addio» mormora ancora
e piange stanca, e sentesi morire.
Di che, non sa. Malinconia l'accora.





Questa splendida poesia fu scritta da Guelfo Civinini (Livorno 1873 - Roma 1954), che la pubblicò nel suo migliore libro di versi: I sentieri e le nuvole (Treves, Milano 1911). Sono 22 terzine che riescono a creare un'atmosfera pregna di malinconia e che sono capaci di suscitare, in chi le legge attentamente, un'emozione suggestiva e particolarmente forte; per questi motivi Tristezza d'una sera d'ottobre è da annoverare tra le migliori liriche del crepuscolarismo e non solo.
I versi qui presenti parlano di una giornata autunnale che sta per terminare. Dopo che ha piovuto per tutto il giorno, mentre sta tornando a casa, il poeta si fa prendere da una invincibile tristezza, dovuta sia alla pioggia che ha caratterizzato l'intera giornata, sia alla luce che - appena ritornata poiché ha smesso da poco di piovere e le nuvole si sono sparpagliate - già si va lentamente attenuando a causa del crepuscolo sopraggiungente. Mentre cammina, l'uomo è sopraffatto da una serie di elementi che inducono alla malinconia e alla disperazione: la totale assenza d'umanità nel percorso che lo porta alla sua dimora; lo strascico di nubi che ancora coprono il sole e fanno sì che la luce si attenui; le campane che sembrano piangere a causa del suono particolare emesso; le stesse foglie bagnate dalla recente pioggia, che lentamente scendono dai platani e paiono lacrime cadenti: tutte queste visioni e questi suoni fanno sì che l'uomo si ritrovi sopraffatto da pensieri nostalgici, indirizzati verso un tempo lontano, in cui era possibile vivere tutt'altre esperienze e fare nuove e interessanti conoscenze. Ma quell'età e trascorsa da troppo tempo ormai, e al poeta non resta altro che dire addio alle care fantasie, alle morte illusioni del passato, e rimuginare tristemente sul vuoto e squallido presente che gli appartiene.

giovedì 3 ottobre 2019

Mattini d'ottobre


Di giorno in giorno il sole
si fa sempre più pallido.
È un pallore che fiacca i nervi
e l'anima rattrista:
un'agonia di luce che si spegne,
un singhiozzo che muore lentamente.
In queste mattine d'ottobre
io vagolante in mezzo alla ressa
vo come un'ombra che cader potrebbe
senza rumore,
assaporando il sole d'autunno
ch'è il solicello della lunga morte.



Ecco una delle poesie più belle e meno ricordate di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959). Lo scrittore tarquiniese la pubblicò per la prima volta sul Giornale della Sera del 28 ottobre 1947 col titolo Mattino d'ottobre; alla stessa maniera fu inserita nel volume Poesie edito da Fiumara in Milano nel 1949. Infine, col titolo definitivo venne inclusa a partire dalla terza edizione della raccolta complessiva Poesie, che la Mondadori di Milano pubblicò nel 1958.
Cardarelli scrisse diverse poesie dedicate alle atmosfere tipicamente autunnali (si ricordano Autunno, Autunno veneziano, Settembre a Venezia e Ottobre), evidentemente molto attratto da questa stagione, che spesso, a partire dal XIX secolo, è divenuta simbolo per eccellenza di disfacimento e di fine imminente. In questi pochi versi, che il poeta scrisse in tarda età, si respira la medesima sensazione di lento dissolvimento, comune a tanti altri scritti da poeti decadenti e simbolisti, italiani e non, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Qui, si focalizza l'attenzione sul sole: si parla di quelle giornate del primo autunno, soleggiate sì ma decisamente meno calde rispetto a quelle estive, per via della minore potenza con cui i raggi solari riescono a riscaldare la terra; il poeta, passeggiando in mezzo alla folla, ha la netta sensazione di essere simile a quel solicello (opportuno vezzeggiativo dell'astro che assicura la vita sul nostro pianeta) sempre più debole; si accontenta allora del poco vigore di quei raggi che gli giungono, e cerca di trarne il maggior beneficio possibile, sapendo che, come il sole, anche lui sta perdendo gradualmente la sua forza vitale, e che la morte, sebbene in modo lento, si sta avvicinando sempre di più.