domenica 2 giugno 2019

Il mattino nella poesia italiana decadente e simbolista


Il mattino nell'interpretazione dei sogni, si riferisce all’inizio di qualche cosa, alla freschezza di nuovi progetti e relazioni, alla speranza ed alla forza per agire che sono tipiche della prima parte della giornata; ma in alcuni casi (come nella poesia di Ferrero) il mattino rappresenta qualcosa da evitare: l'inizio di una nuova giornata faticosa. Nella prosa lirica Grottesco di Luigi Fallacara si evidenzia una riproposizione (riferita al mattino anziché all'alba) di una notissima poesia in prosa di Arthur Rimbaud; sempre a proposito di Fallacara, in un'altra poesia intitolata Queste mattine (che fa parte di una raccolta avente un titolo decisamente rimbaudiano) la prima parte del giorno è spesso associata alla parola "luce" e ciò avviene anche in una poesia di Girolamo Comi (poeta assai somigliante al Fallacara) come si evince da questi versi: luce pensata - giaciglio / casto e lussurioso / d'ogni giornata ch'è stata / felice nel suo volume / caldo di balsami e arioso / di giovani voli di piume... Concetti relativi alla serenità e all'idillio sono espressi anche nella poesia di Botta, mentre nei meditabondi versi di Adobati e di Cazzamini Mussi s'insinua, perfino nei mattini più pregni di rinascita quali sono quelli primaverili, una idea ed una sensazione di morte; altresì, un mattino incerto della prima primavera, può suscitare, in un poeta come De Bosis, rimpianti per la gioventù ormai lontana; pure Diego Valeri, in un caldo mattino estivo, prova un rimpianto profondo per la giovinezza che, così come la vita, lo abbandona lentamente; Donati Petteni, invece, trae spunto da un mattino senza vento, chiaro / e dolce, per rievocare il favoloso tempo dell'infanzia, e constatare di aver perso tutto l'entusiasmo verso la vita che in quel periodo possedeva. Pace e malinconia la fanno da padroni nei versi della poesia Sensazione di mattino autunnale di Roccatagliata Ceccardi; dello stesso autore è anche Melodia mattutina, qui però, sebbene si tratti ancora una volta di un mattino autunnale, s'instaura un'atmosfera tutt'altro che malinconica, ma, piuttosto, incantata e sognante. Un'estasi religiosa, come si evince dal titolo, predomina nei versi di Mattino di grazia, di Pietro Mastri, che descrive le sensazioni piacevoli del poeta, in una mattina di tardo autunno piovosa e tutt'altro che suadente. Infine Giuseppe Casalinuovo parla di un mattino primaverile indimenticabile, nel quale, invitato da una splendida creatura femminile ad allontanarsi con lei in luoghi meravigliosi, ha assaporato le più coinvolgenti gioie della natura rinascente e dell'amore.


Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "Serenità" in "I cipressi e le sorgenti".
Gustavo Botta: "Mattinata" in "Alcuni scritti" (1952).
Giuseppe Casalinuovo: "Mattinata" in "Dall'ombra" (1907).
Francesco Cazzamini Mussi: "Pensieri d'un mattino d'aprile" in "Le amare voluttà" (1910).
Guelfo Civinini: "Mattinata" in "L'Urna" (1900).
Girolamo Comi: "luce pensata - giaciglio" in "Smeraldi" (1925).
Girolamo Comi: "Forze che vela un sonno, risalite" in "Cantico del Tempo e del Seme" (1930).
Adolfo De Bosis: "Mattino di marzo" in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Luigi Donati: "Mattino di Maggio" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Giuliano Donati Pétteni: "A Renata" in "Intimità" (1926).
Luigi Fallacara: "Grottesco" in «Lacerba», febbraio 1915.
Luigi Fallacara: "Queste mattine" in "Illuminazioni" (1925).
Augusto Ferrero: "Triste risveglio" in "Nostalgie d'amore" (1893).
Corrado Govoni "Il mattino" e "Quando s'aprono le finestre" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Su le cupole d'oro" in "Le rime del commiato" (1901).
Pietro Mastri: "Mattino di grazia" in "La fronda oscillante" (1923).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Sensazione di mattino autunnale" in «Idea Liberale», ottobre 1897.
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Melodia mattutina" in "Sonetti e poemi" (1910).
Diego Valeri: "Mattino d'estate" in "Umana" (1916).
Carlo Vallini: "O mattino, mattino che m'appari" in "La rinunzia" (1907).



Testi

MATTINATA
di Gustavo Botta

Salutai l'alba di perla
e l'aurora di rubino;
poi, lo sfarzoso mattino
che di rugiade s'imperla.

Sotto la fùmida gerla
de' sogni, via, tutto chino,
falòtico pellegrino,
era sparito, al vederla

la prim'alba, nel barlume,
il vecchione in bigi veli.
Oh stupori antelucani!

Ma versaste a piene mani
voi, buoni angioli, dai cieli
fiori e luce: e rise il fiume.

(da "Alcuni scritti")




SENSAZIONE DI MATTINO AUTUNNALE
di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi

La nebbia azzurra e pigra
su l'alberete gialle
torpe - una nube emigra
tacitamente a valle:
oh il bianco-azzurro velo
per la terra e sul cielo!

E di tra 'l bianco-azzurro
velo che move in lente
parvenze pel sussurro
del fogliame cadente
la veste d'or trascina
il sole in su la brina.

E in suo viaggio posa
tra fronda e fronda come
augel di radiosa
penna che da le chiome,
scenda, di folti rami,
lontanando richiami.

O pace de la villa
ne la stagion che accuora,
una gronda che stilla,
una zolla che infiora
per consolarne il verno,
un fior di Sampiterno!

- Pace misteriosa
di chi sognando cede
a un lento errore; e n'osa
meditar, e ancor crede!
ma a tratti ode da presso
un fruscìo di Cipresso...

Solitaria mattina
dal rassegnato viso,
che risplende di brina
in suo quieto riso,
tu somigli la mia
vaga melanconia:

quelle onde il cor m'agogna
profonde vie di cieli,
e lucid'ombre sogna
tra bianchi e azzurri veli:
e d'un tumulto in cima
s'infiora d'una rima.

[da "Colloqui d'ombre. Tutte le poesie (1891-1919)"]


Julian Ashton - Tamarama Beach, forty years ago, a summer morning
(da questa pagina web)


sabato 18 maggio 2019

L'intensa e breve stagione di una generazione sfortunata


  Circa un secolo fa la gloriosa storia della nostra letteratura poté contare su una generazione di scrittori molto validi, che però non furono altrettanto fortunati, tanto è vero che un numero cospicuo di essi morì prematuramente (chi nel fiore della giovinezza, chi un po' dopo) per motivi che vanno dalla grave malattia, alla guerra, al suicidio; alcuni smisero di scrivere ancor giovani, altri ancora diradarono moltissimo le loro pubblicazioni e qualcuno finì in manicomio. La generazione di cui voglio parlare è quella di letterati italiani nati pressappoco tra il 1882 ed il 1889; tra di essi ci sono poeti, prosatori, commediografi, filosofi e critici letterari che lasciarono un segno indelebile nella letteratura italiana. Chi non ricorda infatti i nomi di alcuni poeti che furono definiti crepuscolari (Guido Gozzano e Sergio Corazzini su tutti), di intellettuali che si imposero per il loro talento e le loro innovazioni, facendosi notare soprattutto per le cose pubblicate in famose riviste quali La Voce, Riviera Ligure e Lacerba; mi riferisco sia a poeti (Clemente Rebora, Dino Campana, Camillo Sbarbaro) sia a prosatori (Scipio Slataper, Federigo Tozzi) sia a critici (Giovanni Boine, Renato Serra) sia a filosofi (Carlo Michelstaedter) sia a commediografi (Sandro Camasio, Nino Oxilia). Penso che sia arduo trovare una situazione simile, per il gran numero di talenti ma anche per i fermenti ed i fervori creativi, ripercorrendo l'intera storia letteraria dell'Italia; per questo motivo mi preme ricordarli ad uno ad uno, riassumendo i loro dati biografici e le loro opere più rilevanti. Preciso che nella lista sottostante sono esclusi tutti quegli scrittori che, pur essendo altrettanto validi e pur essendo nati nel periodo di anni citati in precedenza, hanno continuato a scrivere per tutta la vita e quindi sono rimasti attivi e presenti per lungo tempo nello scenario letterario nazionale; non sarebbe spiegabile altrimenti l'esclusione di alcuni nomi importanti (per citarne alcuni: Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi e Aldo Palazzeschi).




GIOVANNI BOINE (Finalmarina 1887 - Porto Maurizio 1917). Critico letterario e scrittore, fu un assiduo collaboratore della "Voce". Di lui si ricordano le pungenti e impeccabili recensioni letterarie di Plausi e botte (postumo, 1918), un romanzo sperimantale: Il peccato (1914) e le prose liriche, anch'esse sperimentali e pregne di una espressività nuova, che furono raccolte, dopo la sua morte, col titolo Frantumi (1918). Morì di tisi a soli trent'anni.

SANDRO CAMASIO (Isola della Scala 1886 - Torino 1913). Commediografo, il suo nome è indissolublimente legato a quello di Nino Oxilia col quale scrisse commedie come La zingara (1909) e Addio giovinezza! (1911); fu anche regista cinematografico. Morì a causa di una meningite a ventisette anni.

DINO CAMPANA (Marradi 1885 - Castel Pulci 1932). Poeta visionario, fu autore di un unico volume di versi: Canti orfici (1914) che lo pone al vertice della poesia italiana primonovecentesca grazie ad alcuni elementi che molto ricordano le "Illuminations" di Arthur Rimbaud. Fu afflitto da problemi mentali e passò lunghi periodi in cliniche psichiatriche, fino al ricovero definitivo in manicomio avvenuto nel 1918.

Dino Campana


CARLO CHIAVES (Torino 1882 - ivi 1919). Poeta crepuscolare, è autore di un unico volume di versi: Sogno e ironia (1910) che pure gli diede dicreta fama, grazie anche al critico Giuseppe Antonio Borgese che parlò del suo libro in un articolo in cui ebbe a chiamare le poesie di Chiaves, così come quelle di Marino Moretti e di Fausto Maria Martini, "crepuscolari". Morì a trentasette anni nella sua Torino.

SERGIO CORAZZINI (Roma 1886 - ivi 1907). Poeta crepuscolare, scrisse versi languidi e malinconici in cui si percepisce una predisposizione alla morte, che d'altra parte lo colpì giovanissimo, a causa della tisi. Le sue opere poetiche più importanti sono: L'amaro calice (1905), Piccolo libro inutile (1906) e Libro per la sera della domenica (1906). Postumo uscì il volume riassuntivo Liriche (1908).

Sergio Corazzini


GUIDO GOZZANO (Torino 1883 - ivi 1916). Tra i maggiori poeti italiani del XX secolo fu definito da alcuni critici come l'ultimo dei classici; i suoi versi, raccolti nei volumi La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911), mostrano la propensione di Gozzano verso l'ironia e la malinconia, motivo per il quale fu associato ai poeti crepuscolari. Morì di tisi a trentatre anni.

Guido Gozzano


PIERO JAHIER (Genova 1884 - Firenze 1966). Figlio di un pastore protestante, si dimostrò scrittore fortemente "moralista" sia nelle sue prose che nelle sue poesie presenti in opere come Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1915), Ragazzo (1919) e Con me e con gli alpini (1919); fu anche assiduo collaboratore di riviste letterarie come "La Voce" e "Riviera Ligure". Dopo l'avvento del fascismo tacque perchè in forte contrasto col regime, per tale motivo la sua opera si riassume tutta nel primo ventennio del Novecento.

TITO MARRONE (Trapani 1882 - Roma 1967). Poeta che, per certi aspetti, anticipò il crepuscolarismo, pubblicò due sole raccolte: Cesellature (1899) e Liriche (1904); tra il 1905 ed il 1907 pubblicò su varie riviste molte poesie che, secondo un progetto mai realizzato dal poeta, avrebbero dovuto far parte, insieme ad altre rimaste inedite, di un volume che però non fu mai stampato. A seguito di delusioni amorose e di gravi lutti che lo colpirono profondamente, a partire dal 1908 e per un lunghissimo periodo di tempo si assentò dal mondo letterario, tornando a dedicarsi alla letteratura e al teatro soltanto in tarda età.

CARLO MICHELSTAEDTER (Gorizia 1887 - ivi 1910). Si impegnò negli studi filosofici con assiduità e pubblicò uno scritto: La persuasione e la rettorica (1912), in cui si afferma il tema che si ritrova anche nei suoi versi (mai pubblicati in vita): il contrasto tra la vita e la morte, vissuto da Michelstaedter con particolare intensità fino alla decisione, avvenuta quando lo scrittore aveva appena ultimato la sua tesi di laurea a soli ventitre anni, di togliersi la vita.

Carlo Michelstaedter


NINO OXILIA (Torino 1889 - Monte Tomba 1917). Commediografo e poeta, scrisse in collaborazione con Sandro Camasio Addio giovinezza! (1911), commedia che riscosse un tale, eccezionale successo da farla tramutare in operetta. Fu autore di versi a metà strada tra tendenze crepuscolari e futuriste, le sue poesie migliori furono raccolte postume in Gli orti (1918). Fece in tempo a dedicarsi anche al cinema prima di perire nella Grande Guerra a soli ventotto anni.

CLEMENTE REBORA (Milano 1885 - Stresa 1957). Dopo la laurea in lettere cominciò a collaborare con varie riviste, tra cui "La Voce", per le edizioni della quale pubblicò la sua opera poetica più importante: Frammenti lirici (1913), caratterizzata da un espressionismo ed una intensa vitalità che ne fanno una tra le più originali del XX secolo. L'esperienza della Grande Guerra lo colpì drammaticamente (si possono leggere a tal proposito le sue prose liriche scritte in quel preciso periodo) e, dopo una esigua raccolta: Canti anonimi (1922) in cui già è possibile preconizzare il futuro del poeta milanese, Rebora smise di scrivere. In seguito abbracciò la fede cattolica e prese i sacramenti. Le poesie religiose che episodicamente scrisse dopo la svolta religiosa della sua vita non sono significative come il resto della sua opera in versi. Morì a seguito di una lunga e dolorosa malattia a settantadue anni.

CAMILLO SBARBARO (Santa Margherita Ligure 1888 - Savona 1967). Dopo una raccolta di versi tradizionali (Resine, 1911), si pose in evidenza con Pianissimo (1914), opera poetica di grande valore dove Sbarbaro esprime la sua estraneità, la sua passività nei confronti della vita e dell'umanità, il tutto utilizzando un linguaggio semplice, essenziale e particolarmente efficace. Non trascurabili le sue prose liriche raccolte in Trucioli (1920). Col passare degli anni diradò di molto le sue pubblicazioni sia in prosa che in versi e rielaborò la sua opera principale: Pianissimo, con risultati in verità non apprezzabili.

Camillo Sbarbaro


RENATO SERRA (Cesena 1884 - Monte Podgora 1915). Insigne critico letterario, dopo la laurea in lettere visse quasi sempre nella sua Cesena dove, oltre a dirigere una biblioteca, si dedicò assiduamente a studi, letture e ricerche da cui nacquero poi i suoi saggi più famosi e in particolare Esame di coscienza di un letterato (1915), una meditazione profonda sulla guerra cui partecipò perdendo la vita durante un combattimento a soli trentuno anni.

SCIPIO SLATAPER (Trieste 1888 - Monte Podgora 1915). Fu tra i primi collaboratori de "La Voce", nel 1912 pubblicò Il mio Carso, sorta di diario lirico che rimane la sua unica e notevole opera, sono infatti meno significativi gli Scritti letterari e critici, riuniti postumi (1920) a cura del suo concittadino Giani Stuparich. Deciso interventista, partì per la prima guerra mondiale dove cadde a soli ventisette anni.

FEDERIGO TOZZI (Siena 1883 - Roma 1920). Si dedicò inizialmente alla poesia con modesti risultati; dopo varie vicissitudini che lo portarono ad una situazione di indigenza, trovò il modo d'imporsi pubblicando le prose liriche Bestie (1917) cui seguirono i più famosi romanzi Con gli occhi chiusi (1919), Tre croci (1920) e Il podere (postumo, 1921) in cui, oltre a caratteristici personaggi della provincia toscana, lo scrittore senese inserisce alcuni elementi autobiografici. Tozzi morì a trentasette anni a causa di una epidemia di influenza spagnola.

Federigo Tozzi


CARLO VALLINI (Milano 1885 - ivi 1920). Dopo un'adolescenza turbolenta frequentò l'università di Torino ed arrivò alla laurea in lettere. Sempre a Torino conobbe Guido Gozzano di cui divenne amico; è a quel periodo che risalgono le sue due raccolte poetiche: La rinunzia e Un giorno, entrambe del 1907; è degna di nota soprattutto la seconda: sostanzialmente un poemetto filosofico che contiene ironiche e sconsolate riflessioni sulla vita e sulla morte. Negli anni successivi interruppe la sua produzione letteraria e partecipò alla Grande Guerra dove rimase gravemente ferito e, per questo motivo, morì a soli trentacinque anni.

sabato 11 maggio 2019

Antologie: L'altro Novecento, Volume III: La poesia etico-civile in Italia

Questa voluminosa antologia fa parte di una collana pubblicata dall'editore Bastogi, che comprende una serie di opere intitolate L'altro Novecento. Il curatore, Vittoriano Esposito (Celano 1929 - Avezzano 2012), nell'ultimo decennio del XX secolo si ripropose di mettere in luce una serie di poeti del Novecento mai considerati dalla critica "ufficiale", i quali, a suo parere, avevano pregi non indifferenti e meritavano sicuramente più spazio e più notorietà di quanta glie ne fosse stata attribuita fino a quel momento. Più precisamente, il libro di cui sto parlando è il terzo della detta collana, e si occupa della poesia etico-civile in Italia. Ecco un frammento dell'introduzione all'opera antologica, scritto probabilmente dallo stesso Esposito, che chiarifica in modo esaustivo l'intento del progetto e del volume in questione:

Proseguendo nella realizzazione del personale progetto rivolto a scoprire o riscoprire l'altro Novecento, quello poco o mal noto in quanto non legittimato dalla critica che va per la maggiore, intendiamo qui raccogliere le voci che valgano ad accertare la presenza di quella che si può definire linea o tendenza marcatamente testimoniale della poesia novecentesca.
A nostro parere, infatti, nei momenti più difficili della nostra storia, i poeti sono stati sempre incontestabili testimoni, oltre che appassionati interpreti, delle istanze etico-civili che agivano più al fondo della società: dalla figura gigantesca di Dante fino al D'Annunzio, che passa per ultimo vate, non c'è stato un solo grande poeta che non si sia sentito partecipe, con trasporto ora d'amore, ora d'irriducibile sdegno, delle vicende dolorose dell'Italia.
Anche nel nostro secolo [il Novecento], a partire dai crepuscolari e dai vociani, si può rintracciare il segno di un impegno, ora decisamente morale, ora latamente civile, inteso ad attestare la presenza del poeta come uomo tra uomini e non come una solitaria "turris eburnea". In conflitto più o meno consapevole, prima con l'estetica neoidealistica della "intuizione pura", poi con le astratte teorizzazioni sconfinanti in dispute interminabili su autonomia ed eteronomia dell'arte, è accaduto che anche durante la stagione alta dell'ermetismo si sia prodotta della poesia non fine a se stessa, in grado di recuperare sul piano dei valori autenticamente umani quello che perdeva in fatto di purezza espressiva [...]

Ora, andando ad analizzare la parte antologica del libro, salta agli occhi l'abnorme numero di poeti presenti (oltre duecento) e l'inconsueta scelta del curatore, di dividerli in quattro parti ben distinte l'una dall'altra, a loro volta frammentate in varie sezioni dai titoli discutibili seppure originali, che vorrebbero unire i testi poetici in base a determinati periodi storici, stati d'animo e sentimenti comuni. Dopo l'introduzione, a mo' di prologo viene riportata una breve prosa latina del Petrarca: Saluto all'Italia, che fu tradotta in lingua italiana dal Carducci; subito dopo c'è il testo dell'inno nazionale Fratelli d'Italia, di Goffredo Mameli. Dopo di ciò, vengono proposte le tre parti fondamentali della selezione, dove si susseguono una serie interminabile di testi poetici di poeti famosi e sconosciuti; ogni sezione è preceduta da una "premessa" che spiega al lettore i motivi del titolo e della configurazione della stessa, inserendo anche alcune notizie biografiche e bibliografiche dei poeti che vi compaiono. Nella quarta ed ultima parte del volume, intitolata Rassegna Storica della Poesia Patriottico-Civile, vengono riprodotti i versi più significativi, ovviamente inerenti l'argomento dell'antologia, dei poeti italiani più importanti - da Dante Alighieri a Gabriele D'Annunzio - appartenenti ai secoli che precedono il Novecento.
Concludo riportando i titoli delle parti e delle sezioni che compongono la struttura di questa antologia.  



L'ALTRO NOVECENTO, Volume III: LA POESIA ETICO-CIVILE IN ITALIA Con rassegna storica della poesia patriottica (a cura di Vittoriano Esposito)
Editore: Bastogi
Collana: Biblioteca dell'Argileto. Nuova serie
Luogo di pubblicazione: Livorno
Anno: 1997

INTRODUZIONE

PARTE PRIMA
Primo Novecento - L'Italia da una guerra all'altra
I - INQUIETUDINI DELLA VIGILIA E INTERVENTO
II - PAESI DELL'ANIMA E LUOGHI DELLA MEMORIA

PARTE SECONDA
Medio Novecento - L'altra Grande Guerra e la Resistenza
I - LA VICENDA VISSUTA
II - GUERRA, RESISTENZA E OLTRE, TRA MEMORIA E RISCATTO

PARTE TERZA
Ultimo Novecento - Testimonianze del presente tra inquietudini, angosce, speranze
I - TESTIMONIANZE AL DI LÁ D'OGNI FRONTIERA
II - TESTIMONIANZE DAL NORD
III - TESTIMONIANZE DAL SUD
IV - TESTIMONIANZE TRA NORD E SUD
V - TESTIMONIANZE TRA IRONIA E RIVOLTA
VI - TESTIMONIANZE IN LINGUE DIVERSE
VII - TESTIMONIANZE NEL TEMPO DELLA SPERANZA

PARTE QUARTA
Rassegna Storica della Poesia Patriottico-Civile
I - PREISTORIA DELLA POESIA PATRIOTTICA
II - RISORGIMENTO DALLA VIGILIA ALL'UNITÁ D'ITALIA
III - DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

domenica 5 maggio 2019

Il cavaliere


Udii un cavaliere
    passare sopra il colle;
la luna splendeva serena;
    la notte era muta;
aveva l'elmo d'argento
    e pallido egli era;
e il suo cavallo,
    d'avorio.


Questa è una breve poesia che, nel nostro paese, primariamente comparve all'interno del volume Poesia inglese del Novecento, un'antologia curata da Carlo Izzo e pubblicata dall'editore Guanda nel 1967. Io l'ho estratta da un'altra opera antologica interessantissima: L'albero delle parole, a cura di Donatella Bisutti, edita da Feltrinelli nel 1996 (si trova alla pagina 35). I pochi, bellissimi versi, mostrano in modo eloquente, uno spicchio del mondo fantastico e favoloso di cui fu sempre appassionato descrittore Walter John De La Mare (Charlton 1873 - Twickenham 1956), poeta inglese famoso soprattutto per le sue opere dedicate ai bambini. Solo un uomo come lui, dotato di una fantasia non comune e appassionato di mondi fiabeschi, di cui con tutta probabilità si era invaghito proprio nel periodo infantile, poteva creare poesie come questa, con protagonista un personaggio tra il mitologico e l'assurdo: un cavaliere pallido, dall'elmo d'argento, che attraversa la vallata in una notte serena sopra il suo cavallo d'avorio: una figura fantastica, impossibile, ma che, soltanto a immaginarsela, suscita un fascino immenso. Per certi aspetti, i versi qui riportati possono far pensare a certe poesie crepuscolari; in particolare mi vengono in mente le famose "marionette" di Sergio Corazzini che si animano e dialogano, o la "principessa bianca" di Aldo Palazzeschi che, essendo una statua, confessa la sua impossibilità di amare qualcuno o qualcosa. Altri accostamenti - parlando sempre di poesia italiana del Novecento - potrebbero esser fatti ricordando le figure surrealiste e fantasiose di Massimo Bontempelli presenti nella sua ultima opera poetica: Il purosangue. L'ubriaco, o, ancora, alcuni personaggi al limite tra il fantastico ed il favolistico, descritti da Ugo Betti nei versi della sua prima raccolta: Il re pensieroso.


Viktor Mikhailovich Vasnetsov, "The Knight at the Crossroads"
(da questa pagina web)

domenica 28 aprile 2019

Poeti dimenticati: Attilio Antonino


Nacque a Palazzo Canavese nel 1894 e morì a Rapallo nel 1968. Laureatosi in giurisprudenza, divenne avvocato dedicandosi, nel contempo, al giornalismo e alla letteratura. Cominciò a pubblicare volumi poetici sull'orlo dei quarant'anni; della sua lirica si occuparono insigni critici come Francesco Flora e Luciano Anceschi. La fase migliore della sua poesia è identificabile nei volumi usciti tra il 1946 ed il 1950; qui si nota una netta vicinanza all'ermetismo e alla poesia pura, evidenziata dall'uso di un linguaggio essenziale e analogico.



Opere poetiche

"L'inganno", Vigna, Modena 1933.
"Chiaro mondo", Guanda, Modena 1936.
"Sei poesie", Allegretti di Campi, Milano 1942.
"Poesie", Scheiwiller, Milano 1946.
"Sequenze d'autunno", Mondadori, Milano 1950.
"La sagra delle nuvole", Rebellato, Padova 1958.




Testi

IL FIORE

Tardo fiore, prodigio
Che lungi aprile chiama,
In cima al ramo segreto
D'albero vano.

Morte t'accima,
Ombra che di vertigini
Affolta esangue riso,

Consolerai la notte,
Mistico profumo.

(da "Poesie")




SEQUENZA D'AUTUNNO

Il breve tempo
Che mi dissero cieli,
- Oh, fuggitivi! -
Da te mi venne, e il tuo sorriso acerbo.

Ecco i tramonti solitari
In fuga a plaghe
Senza turbamento,
Ore felici.

In te m'appago
Come in chiari picchi
Una ferita luce d'autunni.

Ore felici a sbaraglio di cieli
Vivemmo assieme,
Fraterna ribellione;

Al suo potere
Ci fallò morte.

Ore felici, tempo,
Ombri tu a un precoce,
Scorcio d'affanni,

Larve che dechini.
Perime il raggio ed il sorriso immola
Sgomenta nebbia.

Ròca scintilla in cuor s'abbuia,
E di tempesta
Pasce proterva sfera.

Ai lenti esili
Migra l'affranto riso degli autunni.

(da "Sequenze d'autunno")


giovedì 25 aprile 2019

Le drammatiche conseguenze di una guerra devastante in due poesie


Quest'anno voglio ricordare l'anniversario della Liberazione con due poesie attinenti alle devastazioni e ai lutti causati dalla Seconda Guerra Mondiale. Entrambe furono scritte nell'immediato dopoguerra, quando ancora erano fresche e molto dolenti le tremende ferite causate da un evento bellico senza pari per ferocia e per accanimento. La prima, che è di Gaetano Arcangeli (Bologna 1910 - ivi 1970), fa parte del volume Solo se ombra e altre poesie (Mondadori, Milano 1954); io in realtà l'ho estratta da una ristampa del citato volume, pubblicata da Scheiwiller in Milano, nell'anno 1995. I versi aprono la seconda sezione della raccolta, e portano il titolo della stessa, che però ha anche, tra parentesi, gli anni limite in cui queste poesie furono scritte: 1945-1947. Il poeta guarda le rovine causate dai bombardamenti della recente guerra, e si lascia andare a considerazioni che includono i rimorsi per una tragedia forse evitabile e la pietà per tutto ciò che si è perso lungo i devastanti cinque anni del conflitto. Nella seconda parte del componimento poetico, Arcangeli pone l'accento sull'infinita vita che continua, malgrado tutto. Là dove il vortice di odio aveva distrutto e annientato qualsiasi cosa o persona, ecco che compaiono già i primi segni di una rinascita: le prime erbe che affiorano dalle rovine, così come le persone che lentamente tornano a ricostruire ciò che è stato raso al suolo, sono segnali evidenti della voglia di ricominciare a vivere, pacificamente e dolcemente, magari cercando di dimenticare nel più breve tempo possibile gli incalcolabili dolori causati da una inopinata guerra.
La seconda poesia è di Elda Bossi (Firenze 1901 - ivi 1996), una scrittrice che, forse, oggi è stata un po' messa da parte, malgrado sia autrice di buoni romanzi e di interessanti raccolte poetiche, tra le quali A lume di candela (Vallecchi, Firenze 1965), in cui si nota una fitta presenza di versi dedicati alla Seconda Guerra Mondiale, basati sulle esperienze personali della poetessa, che fa divenire l'intero libro, come una sorta di diario in versi, a voler rimarcare in modo inequivocabile tutte le sofferenze, gli stupori e le meditazioni scaturite da quei terribili anni. La poesia che ho selezionato, come quella di Arcangeli parla di rovine in cui si rintracciano i primi segni di una rinascita naturale, rappresentata dall'erba, che di nuovo verdeggia sul cemento, nel periodo in cui sta per terminare la prima estate del dopoguerra. La poetessa, mentre si aggira nei pressi di questo paesaggio ancora così fresco di distruzione, nota la costante presenza di una donna, la quale continua a parlargli di un tragico evento accaduto a seguito di un bombardamento: la morte di una bambina sotto le macerie di una casa crollata; la donna insiste nell'affermare che questa bambina (forse sua figlia) è ancora lì sotto; a questa disgrazia non sa rassegnarsi, e cerca almeno una parola di conforto da chi incontra, per attutire il fortissimo dolore, e per poter pensare che per lo meno, prima di morire, la piccola non abbia troppo sofferto. Anche in questa lirica, emerge una voglia di ricominciare da parte dei sopravvissuti, e ciò è ben esemplificato dagli ultimi due versi, riferiti ad una attività commerciale presente in un edificio risparmiato dalle bombe, che, finalmente, ha la possibilità di riaprire.   


FRA ROVINE IMPLORANTI
di Gaetano Arcangeli

Fra rovine imploranti, che sommuove
non so se questa mia pietà che pronta
su di esse si china a un suo soccorso,
o il rimorso implacato della guerra,
la vita affiora in stupite radici,
in una esitazione di erbe nuove;

e dove d'ira vortice più offese,
in premuroso vortice or delira,
impaziente reduce, un amore
che qui abitò; e qui, mentre si aggira,
riedifica ore, gesti, attese
dolci, di un infinito mite vivere...

[da "Solo se ombra (1941-1953)", Scheiwiller, Milano 1995, p. 27]





PRIME MACERIE
di Elda Bossi

Sulle prime macerie
riverzica l'erba
all'acqua di settembre.

Coi piedi nel fango
una donna ferma per ore.
Ogni giorno la ritrovo.
«C'è una bimba - mi dice -
una bimba,
c'è una bimba là sotto.
Crede che sarà morta
di colpo?»

Hanno riaperto
il bar sull'angolo.

(da "A lume di candela", Vallecchi, Firenze 1965, p. 18)