domenica 6 ottobre 2024

La poesia di Adolfo Jenni

 Adolfo Jenni nacque a Modena nel 1911 e morì a Berna nel 1997. Stabilitosi a Parma con la famiglia (suo padre era svizzero tedesco e sua madre modenese), ivi frequentò il liceo per poi iscriversi all’Università di Bologna, dove nel 1935 si laureò in Lettere. L’anno successivo emigrò in Svizzera, avendo preferito la nazionalità elvetica a quella italiana, avendo trovato enormi difficoltà a lavorare stabilmente nella nazione di nascita. A Berna divenne insegnante, e nella capitale svizzera completò la sua carriera lavorativa durata quarant’anni. Jenni, letterariamente parlando, rimase sempre italiano, preferendo in modo assoluto la nostra lingua a quella tedesca – ovvero del Cantone nel quale risiedeva e lavorava –. Ebbe fortuna come prosatore e saggista, meno come poeta; eppure, secondo me, la sua opera in versi, del tutto particolare e direi unica nel panorama letterario italiano del XX secolo, possiede delle qualità indubbie. Lo Jenni, dopo aver ripudiato le sue prime raccolte risalenti agli anni ’30 del Novecento, andò via via raffinando e precisando il suo fare poetico, caratterizzato da strutture assai differenti, che vanno dalle forme chiuse ai versi liberi; dai recitativi (è questo anche un titolo di un suo volume) alle prose poetiche. La poesia, praticamente, rimase sempre centrale negli interessi e nelle preferenze dello scrittore italo-elvetico, tant’è che le sue raccolte (la prima è del 1943 e l’ultima del 1992) attraversano un arco temporale vastissimo, che sfiora i cinquant’anni. In conclusione riporto l’elenco delle opere poetiche di Jenni, comprese quelle ripudiate, a cui seguono tre bellissime poesie che già da sole rendono l’idea del talento di questo scrittore ingiustamente trascurato.

 

 

 

Opere poetiche

 

"Le notti e i giorni", Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona 1937.

"Foglie", Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona 1938.

"Le bandiere di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943.

"Addio alla poesia", Guanda, Parma 1959.

"Recitativi", Pantarei, Lugano 1971.

"Le occorrenze recitate", Pantarei, Lugano 1976.

"Ricapitolazione", Pantarei, Lugano 1980.

"Poesie e quasi poesie", Casagrande, Bellinzona 1987.

"Mia cara giardiniera", Casagrande, Bellinzona 1992.

 

 



 

 

Testi

 

 

 PRIMASERA

 

  La bambina magra e selvaggia rincorre la sua palla rossa che le è sfuggita per incontrare la sera. Infatti, alla prima ombra dove rotola, diviene ormai grigia. La luce elettrica dell'unico negozio di fiorista, nel sobborgo dignitoso e povero, è di un rosa goloso. I petali si colorano a caramelle vitree, e le foglie grasse e puntute si metamorfosano a lance di stagnola ramarro, lamiera verniciata.

  È quell'ora fuggitiva di prima sera, che pare sempre autunno, un autunno sereno, appena fresco, fatto soprattutto d'aria, così stinto com'è.

 

(da "Le bandiere di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943 p. 31)

 

 

 

 

 

ORCHESTRA IN DICEMBRE

 

  La grande orchestra esalava

gli affreschi di angeli e rose

l'andante in sordina

della Sinfonia opus 9 numero 2

in mi bemolle maggiore di Bach,

e il signore dagli occhi celesti

pensava alla sua età più giovane,

alle occasioni perdute.

  Mentre poi si effondeva

il Concerto per violoncello e archi

(Largo, Allegro, Lento alla siciliana,

Allegretto) di Antonio Vivaldi,

rivide con lancinante

nostalgia la giovane donna

che anni prima aveva più amata,

ora morta, ora più niente.

  E quando infine,

dopo il più lungo intervallo,

la stessa orchestra scandiva

la Simple Symphonie

di Benjamin Britten

(Boisterous Bourrée,

Playful Pizzicato,

Sentimental Saraband,

Frolicsome Finale),

capì davvero, sentiva,

di avere sciupato da sempre

la sua vita, per sempre.

  Ma dopo il concerto,

uscito a rivedere le stelle

(le stelle gremite, nel cielo

di quel dicembre sereno),

per l'eco nell'animo dei suoni

combinato col palpito arcano,

angoscioso nell'infinto, degli astri,

si ricordò la gente,

fuori da lui:

con le altre pene di anima e corpo

i travagli di classe e di miseria

che aspettavano, e bisognava risolverli.

  E la storia del suo io,

in ultimi giorni dell'anno

finalmente moderni,

prese proporzioni più miti.

Se quei princìpi si fossero incarnati,

a riudire le stesse musiche

le avrebbe trovate, in buon ordine, trionfali.

Da mattina di Capodanno.

 

(da "Le Occorrenze recitate", Pantarei, Lugano 1976, pp. 41-42)

 

 

 

 

QUANDO NON SEI PIÙ GIOVANE

 

Quando non sei più giovane, ogni calare del pomeriggio in sera è per l'animo, anche se non lo pensa la mente, il simbolo del deperire e morire: di tutto, di te.

 

Ogni giorno così, per quanti anni, passati, futuri.

 

E in quella figurazione ci vivi, ben dentro. Nido fondo e ruvido.

 

Il lento spettacolo t'invade da ogni parte: quel mutare del clima, il colore nuovo dell'aria,

 

come se ogni giorno si succedessero due stagioni.

 

A lungo andare è una vicenda che ti sfibra, subdola.

 

Si ripete a distanza troppo breve.

 

Migliaia di volte. E con una regolarità che puoi prevedere, fino all'alba.

 

Ogni sera ti spegni anche tu come una fiaccola consunta.

 

M., 16.2.72.

 

(da "Mia cara giardiniera", Casagrande, Bellinzona 1992, p. 37)

 

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