mercoledì 14 agosto 2024

Il Ferragosto in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 Quella di Ferragosto, come tutti sanno, è la classica festa dell'estate, che si celebra nella precisa metà dell'ottavo mese dell'anno; in questo giorno i cristiani festeggiano l'Assunzione di Maria al cielo, ovvero il passaggio del corpo e dell'anima della Vergine Maria dalla Terra al Paradiso. 

I miei ricordi più vivi di questa festa risalgono al periodo dell'infanzia, quando i miei parenti più stretti si riunivano nella casa dei miei nonni materni, e pranzavano tutti insieme. Era il tempo in cui ancora, in Italia, esistevano dei legami famigliari molto forti, ed era quindi quasi vietato disertare una riunione per qualsiasi ricorrenza festiva. 

Volendo ora parlare brevemente delle dieci poesie presenti in questo post, c'è da distinguere tra chi concepisce il Ferragosto quale festa religiosa e chi (la maggioranza) quale festa di fine estate dedita al puro svago. Nella prima categoria rientrano poeti come Luigi Fallacara e David Maria Turoldo: i versi del primo sono, come vuole la tradizione cristiano-cattolica, una celebrazione della Vergine Maria assunta in cielo; quelli del secondo si possono riassumere in una preghiera a favore dell'umanità sofferente. Nelle poesie di Giulio Alessi e Carlo Levi, vengono descritte rispettivamente le città di Padova e Roma nel giorno del Ferragosto, con delle caratteristiche comuni, come le strade deserte, una sensazione diffusa di sonnolenza ed un silenzio quasi irreale. Lo stesso discorso vale, più o meno, per la poesia di Alberico Sala. Gian Carlo Conti invece, descrive un Ferragosto trascorso in un piccolo paese dell'Appennino, durante una vacanza. I versi di Leonardo Sinisgalli, per quel che ho capito, parlano di una visita fatta, nel giorno della festa di mezz'agosto, ad un amico che ha delle idee un po' particolari. La poesia di Marco Visconti si concentra sui luoghi e sulle persone di un Ferragosto cittadino del dopoguerra. Daria Menicanti si limita a guardare affascinata una cavalla "mansueta e pigra" che con nonchalance si aggira in una piazza cittadina deserta. E che dire della celebre filastrocca di Gianni Rodari? Uno dei tanti capolavori dello scrittore piemontese in cui viene posta l'attenzione sui bambini che, durante il Ferragosto, volenti o nolenti sono costretti a rimanere in città, perché le condizioni economiche delle loro famiglie non gli consentono altra scelta. Rodari, come al solito, tratta l'argomento in modo geniale, miscelando impegno sociale, leggerezza e umorismo.




IL FERRAGOSTO IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO





TEMPO DI FERIE

di Giulio Alessi (1916-1971)


A Ferragosto, finalmente, pace:

nel culmine d'estate la gente va

ai mari e ai monti. Dalla caserma

Salomone è uscita ogni persona.

Invita a passeggiare nella luce

rosea del tramonto la solitudine,

che fa cara la città vuota e come

nuda, dal Campo Appiani alla stazione.

Della vita convulsa precedente

pare che sia rimasta la gentile

animula o la mente o l'infinito

silenzio, che scivola dalle mura

e va nel cuore, come un dolce sogno.

Al foro boario c'era un vecchio: dava

i numeri riverendo i fantasmi

della perduta giovinezza; e c'era

l'aria che vibrava in viale dei tigli.

Grava sulle piazze e sul Canton

del Gallo una leggera sonnolenza

che ci velava gli occhi. Percorrendo

il centro, da Pedrocchi a Racca, tutti

incontravano i più dolci e umili

ricordi, con quell'intimo pudore

che fa l'età dolce e preziosa.


(da "Le poesie", Mursia, Milano 1986, p. 596)





FERRAGOSTO A TREFIUMI

di Gian Carlo Conti (1928-1983)


Ferragosto a Trefiumi per un po' di vacanza

in un paese dell'Appennino di poche case,

in una stanza dove ci si lava nel catino

e si mangia polenta con le salsicce

e si cammina con divise militari

e berretti da baleniere per sentieri

scoscesi verso il lago su macchine

anfibie lasciate dai tedeschi, traballanti

sui sassi, cigolanti per il vento

che infuria sul rifugio da cui escono

i pescatori difesi da teli impermeabili

e alti stivali di gomma, noi non osiamo

avventurarci nella bufera e cominciamo

ad aprire i sacchi di provviste,

non piove più quando si ritorna sui prati

profumati di erbe e il piede vi si affonda

tra i monti burrascosi e lividi

mentre il cielo su di noi si apre, si rischiara.


(da "Non si ricordano più. Le poesie", Guanda, Parma 1991, pp. 129-130)





L'ASSUNTA

di Luigi Fallacara (1890-1963)


Cielo di mezzagosto,

cielo glorioso e disposto


di nuvole perpendicolari,

da cui, come da scogli solari,


sporgono stature

di vertiginose creature.


Sei salita in questo cielo:

leggero, come amato velo,


tra la folla delle beatitudini,

quel tuo viso, quella solitudine!


I Patriarchi e i Serafini

rivolgono a te i loro sguardi chini:


come le nuvole e i petali dei fiori

che sono al raggio giardini di colori,


ogni pupilla sospende e trasmuta

una gradazione della gioia assoluta.


Ma il tuo occhio, fra il tumulto sereno,

come Vega, a sommo del cielo pieno;


ma il tuo vertiginoso occhio altissimo,

dalla terra lontanissimo;


ma il nero del tuo occhio nell'abisso rivoltato,

come un sole già tramontato!


Ma questo tuo angoscioso appagamento,

ma questa gioia, immobile sul tuo viso come spavento;


ma quest'ebrezza che fa il bianco del tuo occhio dilatare,

come quello d'un cieco, colmo di chiarità lunare!


Io non vedrò dal basso,

come non vedrò forse al trapasso,


la beatitudine alla quale s'appunta

il tuo sguardo, gloriosa Assunta,


ma se, per un impercettibile moto,

rivolgi quell'occhio remoto,


quell'occhio trasumanato che ha visto

il Figlio, il Figlio Cristo,


appagamento dell'anima assetata,

sazietà dell'ebrezza aspettata,


intravedere nella tua pupilla

del più alto pianto una stilla,


al riflesso dell'eterna aurora,

il pianto che ti fa umana ancora!


[da "Poesie (1914-1963)", Longo, Ravenna 1986, pp. 229-231]





FERRAGOSTO

di Carlo Levi (1902-1975)


Il caldo riempie il cielo

Roma dorme nel suo rumore

come un bambino pieno di latte

occhi chiusi, pugni serrati

russando a ignoti sogni.


Il gergo, la rabbia, i bisogni

sembrano dimenticati

le borgate, il clero, il furore.

Nelle cucine le blatte

corrono al buio, con lo zelo


dei caroselli della celere

sui marciapiedi; un silenzio

antico si sente sotto,

uno sbadiglio di belva

in un mondo supposto.


Il vuoto Ferragosto

rifà presente la selva:

rimando il latte e l'assenzio

il santo, l'eterno e il corrotto

si rispecchiano nel Tevere.


(da "Poesie", Donzelli Editore, Roma 2008, p. 299)





FERRAGOSTO

di Daria Menicanti (1914-1995)


Mansueta e pigra come lo è ogni femmina

se non ha liti in corso, Madame

Centaure per la piazza deserta

procede al trotto. Posa sul selciato

delicata gli zoccoli, lucendo

solleva impudica la coda di seta.

Sotto il sole d’agosto la città

per pochi superstiti improvvisa

tali eleganze, tali allucinazioni


(da "Il concerto del grillo", Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 519)





FERRAGOSTO

di Gianni Rodari (Giovanni Francesco Rodari, 1920-1980)


Filastrocca vola e va 

dal bambino rimasto in città.

Chi va al mare ha vita serena 

e fa i castelli con la rena,

chi va ai monti fa le scalate 

e prende la doccia alle cascate… 


E chi quattrini non ne ha? 

Solo solo resta in città:

si sdrai al sole sul marciapiede,

se non c’è un vigile che lo vede,

e i suoi battelli sottomarini

fanno vela nei tombini.


Quando divento Presidente

faccio un decreto a tutta la gente;

«Ordinanza numero uno:

in città non resta nessuno;

ordinanza che viene poi,

tutti al mare, paghiamo noi,

inoltre le Alpi e gli Appennini

sono donati a tutti i bambini.


Chi non rispetta il decretato

va in prigione difilato».


(da "Opere", Mondadori, Milano 2020, pp. 46-47)





FERRAGOSTO

di Alberico Sala (1923-1991)


Ferragosto, in questa capsula d'aria

morta, forata dal rombo delle mosche

mi tocco la barba lunga, dimenticata.

Nikolaiev e Popovic, dioscuri del vuoto,

ancora girano, oltre i sobborghi

del cielo, ma sanno che qualcuno

ridarà peso umano, e i colori

della piccola terra, al loro sangue.

Da più giorni e notti m'aggiro

nel nulla, fasciato di silenzio,

cammino sopra gli alberi domestici,

e non so quando possa discendere

(non riesco a parlare col mio cuore,

che batte a cinquanta chilometri,

nella fornace spenta della città),

quando giunga un segnale pietoso

a staccarmi da questo cielo spento.


1962


(da "Un amore finito male", Mondadori, Milano 1963, p. 63)





FERRAGOSTO IN VILLA

di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)


Saluto sul letto nel fetido

fumo dell'insetticida

brucia con la sigaretta la lepida

salma di una zanzara.

Fa il rendiconto delle sue magagne,

come in ogni vigilia,

e si trova in difetto.

Poche cose degne di memoria,

l'eccesso di credulità in ogni fandonia,

l'estro prensile e poco tenace,

il disprezzo per l'impegno.

Egli ama chi sogna, chi disegna

opere inconcludenti, chi

copre il suo dolore con la polvere,

chi le lacrime inghiotte.

Sperpera in futili storie

i suoi inchiostri e le carte

in vignette.


(da "L'età della luna", Mondadori, Milano 1962, pp. 181-182)





SERA DI FERRAGOSTO

di David Maria Turoldo (Giuseppe Turoldo, 1916-1992)


Naviga l'anima

in questa sera

che ha mani abbandonate.

E le finestre guardano

ne l'aria calma:

sulla spalletta

delle vie desolate

sta seduta la Tentazione.


                                      Così

Ti preghiamo, Signore,

dell'olocausto di questo corpo

che si scioglie nell'arsura

alta del mondo, nel compatimento

delle pietre, ne l'abbandono

vicendevole delle strade

ferme nel sogno

di una luce immortale.

Forse è questa l'ora

in cui non esistiamo,

emigrati dal tempo. Restiamo

soli, nel dolce sapore

dei sensi affaticati,

finalmente distesi

in una inattesa fraternità.


(da "O sensi miei... Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 41)





FERRAGOSTO

di Marco Visconti (1920-1995)


Ancora sul treno di Porto

Ceresio, che odora di zolfo,

la gente del Ferragosto

rivive in un torpido film

di volti sconfitti all'amore,

di voci che riconosco.


In una rapida sosta

un ombrellino da sole

vedo, più in là un calessino

accanto alla vecchia cisterna,

e il bar dall'interno che sembra

quello fumoso d'un "western".


Ma roca nella stazione

risuona la gialla cornetta:

riprende il convoglio la corsa,

nel caldo vagone s'affioca

la voce del mio-tuo rimorso

che non ha sguardi né bocca.


(da "Poesie", Mondadori, Milano 1953, p. 42)





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