Quella di Ferragosto, come tutti sanno, è la classica festa dell'estate, che si celebra nella precisa metà dell'ottavo mese dell'anno; in questo giorno i cristiani festeggiano l'Assunzione di Maria al cielo, ovvero il passaggio del corpo e dell'anima della Vergine Maria dalla Terra al Paradiso.
I miei ricordi più vivi di questa festa risalgono al periodo dell'infanzia, quando i miei parenti più stretti si riunivano nella casa dei miei nonni materni, e pranzavano tutti insieme. Era il tempo in cui ancora, in Italia, esistevano dei legami famigliari molto forti, ed era quindi quasi vietato disertare una riunione per qualsiasi ricorrenza festiva.
Volendo ora parlare brevemente delle dieci poesie presenti in questo post, c'è da distinguere tra chi concepisce il Ferragosto quale festa religiosa e chi (la maggioranza) quale festa di fine estate dedita al puro svago. Nella prima categoria rientrano poeti come Luigi Fallacara e David Maria Turoldo: i versi del primo sono, come vuole la tradizione cristiano-cattolica, una celebrazione della Vergine Maria assunta in cielo; quelli del secondo si possono riassumere in una preghiera a favore dell'umanità sofferente. Nelle poesie di Giulio Alessi e Carlo Levi, vengono descritte rispettivamente le città di Padova e Roma nel giorno del Ferragosto, con delle caratteristiche comuni, come le strade deserte, una sensazione diffusa di sonnolenza ed un silenzio quasi irreale. Lo stesso discorso vale, più o meno, per la poesia di Alberico Sala. Gian Carlo Conti invece, descrive un Ferragosto trascorso in un piccolo paese dell'Appennino, durante una vacanza. I versi di Leonardo Sinisgalli, per quel che ho capito, parlano di una visita fatta, nel giorno della festa di mezz'agosto, ad un amico che ha delle idee un po' particolari. La poesia di Marco Visconti si concentra sui luoghi e sulle persone di un Ferragosto cittadino del dopoguerra. Daria Menicanti si limita a guardare affascinata una cavalla "mansueta e pigra" che con nonchalance si aggira in una piazza cittadina deserta. E che dire della celebre filastrocca di Gianni Rodari? Uno dei tanti capolavori dello scrittore piemontese in cui viene posta l'attenzione sui bambini che, durante il Ferragosto, volenti o nolenti sono costretti a rimanere in città, perché le condizioni economiche delle loro famiglie non gli consentono altra scelta. Rodari, come al solito, tratta l'argomento in modo geniale, miscelando impegno sociale, leggerezza e umorismo.
IL FERRAGOSTO IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
TEMPO DI FERIE
di Giulio Alessi (1916-1971)
A Ferragosto, finalmente, pace:
nel culmine d'estate la gente va
ai mari e ai monti. Dalla caserma
Salomone è uscita ogni persona.
Invita a passeggiare nella luce
rosea del tramonto la solitudine,
che fa cara la città vuota e come
nuda, dal Campo Appiani alla stazione.
Della vita convulsa precedente
pare che sia rimasta la gentile
animula o la mente o l'infinito
silenzio, che scivola dalle mura
e va nel cuore, come un dolce sogno.
Al foro boario c'era un vecchio: dava
i numeri riverendo i fantasmi
della perduta giovinezza; e c'era
l'aria che vibrava in viale dei tigli.
Grava sulle piazze e sul Canton
del Gallo una leggera sonnolenza
che ci velava gli occhi. Percorrendo
il centro, da Pedrocchi a Racca, tutti
incontravano i più dolci e umili
ricordi, con quell'intimo pudore
che fa l'età dolce e preziosa.
(da "Le poesie", Mursia, Milano 1986, p. 596)
FERRAGOSTO A TREFIUMI
di Gian Carlo Conti (1928-1983)
Ferragosto a Trefiumi per un po' di vacanza
in un paese dell'Appennino di poche case,
in una stanza dove ci si lava nel catino
e si mangia polenta con le salsicce
e si cammina con divise militari
e berretti da baleniere per sentieri
scoscesi verso il lago su macchine
anfibie lasciate dai tedeschi, traballanti
sui sassi, cigolanti per il vento
che infuria sul rifugio da cui escono
i pescatori difesi da teli impermeabili
e alti stivali di gomma, noi non osiamo
avventurarci nella bufera e cominciamo
ad aprire i sacchi di provviste,
non piove più quando si ritorna sui prati
profumati di erbe e il piede vi si affonda
tra i monti burrascosi e lividi
mentre il cielo su di noi si apre, si rischiara.
(da "Non si ricordano più. Le poesie", Guanda, Parma 1991, pp. 129-130)
L'ASSUNTA
di Luigi Fallacara (1890-1963)
Cielo di mezzagosto,
cielo glorioso e disposto
di nuvole perpendicolari,
da cui, come da scogli solari,
sporgono stature
di vertiginose creature.
Sei salita in questo cielo:
leggero, come amato velo,
tra la folla delle beatitudini,
quel tuo viso, quella solitudine!
I Patriarchi e i Serafini
rivolgono a te i loro sguardi chini:
come le nuvole e i petali dei fiori
che sono al raggio giardini di colori,
ogni pupilla sospende e trasmuta
una gradazione della gioia assoluta.
Ma il tuo occhio, fra il tumulto sereno,
come Vega, a sommo del cielo pieno;
ma il tuo vertiginoso occhio altissimo,
dalla terra lontanissimo;
ma il nero del tuo occhio nell'abisso rivoltato,
come un sole già tramontato!
Ma questo tuo angoscioso appagamento,
ma questa gioia, immobile sul tuo viso come spavento;
ma quest'ebrezza che fa il bianco del tuo occhio dilatare,
come quello d'un cieco, colmo di chiarità lunare!
Io non vedrò dal basso,
come non vedrò forse al trapasso,
la beatitudine alla quale s'appunta
il tuo sguardo, gloriosa Assunta,
ma se, per un impercettibile moto,
rivolgi quell'occhio remoto,
quell'occhio trasumanato che ha visto
il Figlio, il Figlio Cristo,
appagamento dell'anima assetata,
sazietà dell'ebrezza aspettata,
intravedere nella tua pupilla
del più alto pianto una stilla,
al riflesso dell'eterna aurora,
il pianto che ti fa umana ancora!
[da "Poesie (1914-1963)", Longo, Ravenna 1986, pp. 229-231]
FERRAGOSTO
di Carlo Levi (1902-1975)
Il caldo riempie il cielo
Roma dorme nel suo rumore
come un bambino pieno di latte
occhi chiusi, pugni serrati
russando a ignoti sogni.
Il gergo, la rabbia, i bisogni
sembrano dimenticati
le borgate, il clero, il furore.
Nelle cucine le blatte
corrono al buio, con lo zelo
dei caroselli della celere
sui marciapiedi; un silenzio
antico si sente sotto,
uno sbadiglio di belva
in un mondo supposto.
Il vuoto Ferragosto
rifà presente la selva:
rimando il latte e l'assenzio
il santo, l'eterno e il corrotto
si rispecchiano nel Tevere.
(da "Poesie", Donzelli Editore, Roma 2008, p. 299)
FERRAGOSTO
di Daria Menicanti (1914-1995)
Mansueta e pigra come lo è ogni femmina
se non ha liti in corso, Madame
Centaure per la piazza deserta
procede al trotto. Posa sul selciato
delicata gli zoccoli, lucendo
solleva impudica la coda di seta.
Sotto il sole d’agosto la città
per pochi superstiti improvvisa
tali eleganze, tali allucinazioni
(da "Il concerto del grillo", Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 519)
FERRAGOSTO
di Gianni Rodari (Giovanni Francesco Rodari, 1920-1980)
Filastrocca vola e va
dal bambino rimasto in città.
Chi va al mare ha vita serena
e fa i castelli con la rena,
chi va ai monti fa le scalate
e prende la doccia alle cascate…
E chi quattrini non ne ha?
Solo solo resta in città:
si sdrai al sole sul marciapiede,
se non c’è un vigile che lo vede,
e i suoi battelli sottomarini
fanno vela nei tombini.
Quando divento Presidente
faccio un decreto a tutta la gente;
«Ordinanza numero uno:
in città non resta nessuno;
ordinanza che viene poi,
tutti al mare, paghiamo noi,
inoltre le Alpi e gli Appennini
sono donati a tutti i bambini.
Chi non rispetta il decretato
va in prigione difilato».
(da "Opere", Mondadori, Milano 2020, pp. 46-47)
FERRAGOSTO
di Alberico Sala (1923-1991)
Ferragosto, in questa capsula d'aria
morta, forata dal rombo delle mosche
mi tocco la barba lunga, dimenticata.
Nikolaiev e Popovic, dioscuri del vuoto,
ancora girano, oltre i sobborghi
del cielo, ma sanno che qualcuno
ridarà peso umano, e i colori
della piccola terra, al loro sangue.
Da più giorni e notti m'aggiro
nel nulla, fasciato di silenzio,
cammino sopra gli alberi domestici,
e non so quando possa discendere
(non riesco a parlare col mio cuore,
che batte a cinquanta chilometri,
nella fornace spenta della città),
quando giunga un segnale pietoso
a staccarmi da questo cielo spento.
1962
(da "Un amore finito male", Mondadori, Milano 1963, p. 63)
FERRAGOSTO IN VILLA
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)
Saluto sul letto nel fetido
fumo dell'insetticida
brucia con la sigaretta la lepida
salma di una zanzara.
Fa il rendiconto delle sue magagne,
come in ogni vigilia,
e si trova in difetto.
Poche cose degne di memoria,
l'eccesso di credulità in ogni fandonia,
l'estro prensile e poco tenace,
il disprezzo per l'impegno.
Egli ama chi sogna, chi disegna
opere inconcludenti, chi
copre il suo dolore con la polvere,
chi le lacrime inghiotte.
Sperpera in futili storie
i suoi inchiostri e le carte
in vignette.
(da "L'età della luna", Mondadori, Milano 1962, pp. 181-182)
SERA DI FERRAGOSTO
di David Maria Turoldo (Giuseppe Turoldo, 1916-1992)
Naviga l'anima
in questa sera
che ha mani abbandonate.
E le finestre guardano
ne l'aria calma:
sulla spalletta
delle vie desolate
sta seduta la Tentazione.
Così
Ti preghiamo, Signore,
dell'olocausto di questo corpo
che si scioglie nell'arsura
alta del mondo, nel compatimento
delle pietre, ne l'abbandono
vicendevole delle strade
ferme nel sogno
di una luce immortale.
Forse è questa l'ora
in cui non esistiamo,
emigrati dal tempo. Restiamo
soli, nel dolce sapore
dei sensi affaticati,
finalmente distesi
in una inattesa fraternità.
(da "O sensi miei... Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 41)
FERRAGOSTO
di Marco Visconti (1920-1995)
Ancora sul treno di Porto
Ceresio, che odora di zolfo,
la gente del Ferragosto
rivive in un torpido film
di volti sconfitti all'amore,
di voci che riconosco.
In una rapida sosta
un ombrellino da sole
vedo, più in là un calessino
accanto alla vecchia cisterna,
e il bar dall'interno che sembra
quello fumoso d'un "western".
Ma roca nella stazione
risuona la gialla cornetta:
riprende il convoglio la corsa,
nel caldo vagone s'affioca
la voce del mio-tuo rimorso
che non ha sguardi né bocca.
(da "Poesie", Mondadori, Milano 1953, p. 42)
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