domenica 11 agosto 2024

"I momenti poetici" di Ricciotto Pietro Civinini

 Sono scarse le notizie biografiche riguardanti Ricciotto Pietro Civinini. Era il fratello del più noto Guelfo, che fu giornalista, librettista e scrittore; anche Ricciotto si dedicò alla letteratura, pubblicando svariati romanzi e - per quanto ne so - una sola opera in versi, intitolata I momenti poetici e pubblicata dalla Casa Editrice Galli di Chiesa-Omodei-Guindani, a Milano, nel 1897. Presso lo stesso editore, su per giù nello stesso periodo, uscirono altre raccolte poetiche di autori (Lucini, Giorgieri Contri, Quaglino, Donati ecc.) che simpatizzavano con i simbolisti e i decadenti francesi. Anche questo volume di 94 pagine contiene versi che, per lo più, possono essere inseriti nella corrente simbolista, nata e sviluppatasi nel nostro paese decisamente in ritardo rispetto alla Francia. I momenti poetici contiene 35 componimenti in versi divisi nelle seguenti sezioni: Sul fiume della vita; Visioni palustri; I sonetti delle rose; Le umilissime; Le rime della Terra; Le ballate della Solitudine; Affettuosamente. Staccata dalle altre è Ode del sonno, poesia che chiude la raccolta. Oltre ad evidenziare influenze rintracciabili nell'area simbolista-decadente, quest'opera di Civinini mostra diverse caratteristiche che la avvicinano al fare poetico dannunziano, ed in particolare ai versi del Poema paradisiaco; inoltre, non mancano somiglianze ritrovabili ne L'urna: raccolta poetica del fratello Guelfo, uscita quattro anni dopo. Ecco, infine, due poesie trascritte da I momenti poetici.





LE ROSE FUNEBRI


Avrò un lenzuolo di rose fiammanti

sotto le fredde carni. E come bianco

apparirà di più l'esangue fianco

e il fermo volto sotto alle smaglianti.


Mi daran forse un altro sogno? Ed anco

rose avrò nelle mani: tre fragranti

in la mano che a Te scrisse i canti.

O nella cassa qual profumo stanco;


o lento mio disfarsi nell'ètere

dei fiori, o lento lor disseccamento.

Più le carni o le rose avranno vita?


Più queste: lo special simbolo io sento

che assumeran le scheletrite dita

col fresco segno delle primavere.


(da "I momenti poetici", Galli di Chiesa-Omodei-Guindani, Milano 1897, p. 46) 





IL MARE


  Un mare scuro. Non il fresco mare

intessuto di luci, il primo velo

d'acqua che ride e che rispecchia il cielo,

o in fiamme come un gran lago solare.


  Io veggo un mare senza bianche vele,

senza bianchi alcioni, senza bianchi

brividi lunghi di luce lunare.

Io veggo un mare colore di fiele,

il mare fondo, il mare fermo, u' stanchi

sono i flutti e compatti, il vero mare

che è l'immenso, l'abisso, che arrivare

non sentì luce mai, dove non giunsero

che cadaveri in lento inabissare.


  L'occhio mio vede tutto il vergin suolo

cui incombe tanto enorme peso d'acqua;

un'altra tomba, una gran bara verde

è questo mare che si frange al molo

con fievoli carezze e che risciacqua

dolcemente alla spiaggia e che si perde

nel cielo come un'ampia seta verde.

Io penso al sordo viaggio di tutti

i naufraghi, già esanimi, dai flutti

giù, per l'alte acque scure, e al lor ristare.


  Al lor depositarsi, al lor spogliare

e ischeletrirsi, lentamente, al velo

di tutti i sali. È un bel funereo cielo

inferno questo chiuso e cupo mare.


(da "I momenti poetici", Galli di Chiesa-Omodei-Guindani, Milano 1897, pp. 73-74)

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