Il Marzocco è il titolo di una rivista artistica nata a Firenze nel 1896, grazie ai fratelli Angiolo e Adolfo Orvieto; diedero un fondamentale apporto alla nascita e allo sviluppo della rivista, anche amici e sodali dei due fondatori, che, tra l’altro, avevano già collaborato alla nascita di un’altra rivista prestigiosa: Vita Nuova. Fu Gabriele D’Annunzio a suggerirne il titolo e a scrivere, insieme a G. S. Gargano, il Prologo apparso sul primo numero, nel febbraio dell’anno di nascita. I direttori più assidui del Marzocco, furono Enrico Corradini e i due fratelli Orvieto (in particolare Adolfo); la rivista chiuse i battenti nel 1932. Il Marzocco si occupò di arte in generale, ma privilegiò decisamente la letteratura; in questo ambito, tra i suoi collaboratori figurano nomi prestigiosi, come quelli di Giovanni Pascoli, Enrico Annibale Butti, Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello. Poeticamente parlando, la fase più interessante della rivista si può intercettare nei primi dieci anni delle sue pubblicazioni; in tale periodo, nelle pagine del Marzocco comparvero versi di Diego Angeli, Diego Garoglio, Pietro Mastri, Marino Marin, Domenico Tumiati, Cosimo Giorgieri Contri e, soprattutto, di Giovanni Pascoli e Luisa Giaconi; tutti questi poeti posero le basi, anche con i testi presenti sul Marzocco, per la nascita di un decadentismo poetico tutto italiano, che certamente si rifaceva a quello francese, ma che comunque possedeva degli elementi originali ben identificabili. Chiudo riportando tre belle poesie che apparvero, per la prima volta, sulla rivista fiorentina.
PER SEMPRE!
di Giovanni
Pascoli
Io t'odio? Non
t'amo più, vedi,
non t'amo...
Ricordi quel giorno?
Lontano portavano
i piedi
un cuor che
pensava al ritorno.
E dunque tornai:
tu non c'eri.
Per casa era
un'eco de l'ieri,
d'un lungo
promettere. E meco
di te portai sola
quell'eco:
PER SEMPRE!
Non t'odio. Ma
l'eco sommessa
di quella
infinita promessa
vien meco, e mi
batte nel cuore
col palpito trito
dell'ore;
mi strilla nel
cuore col grido
d'implume caduto
dal nido:
PER SEMPRE!
Non t'amo. Io
guardai, col sorriso,
nel fiore del
molle tuo letto.
Ha tutti i tuoi
occhi, ma il viso...
non tuo. E baciai
quel visetto
straniero,
senz'urto alle vene.
Le dissi: - Ed a
me, mi vuoi bene? -
- Sì, molto. - E
i tuoi occhi in me fisse.
- Per sempre? -
le dissi. Mi disse:
- PER SEMPRE! -
Risposi: - Sei
bimba e non sai
"Per
sempre" che voglia dir mai! -
Rispose: - Non so
che vuol dire?
"Per
sempre" vuol dire "Morire";
Sì: addormentarsi
la sera:
restare così come
s'era,
PER SEMPRE!
(da «Il
Marzocco», giugno 1898)
IL TEMPO
di Domenico
Tumiati
Io non so, come
giunsi a quella torre:
mi trovai
prigioniero, sui gradini
piede costretto
sovra piede a porre,
e la scala parea
senza confini.
- Perché mai
salgo? - Io chiesi, a me rivolto.
M'urgevano le
tempie come un'onda:
d'un tratto vidi
a me dinanzi un volto,
di chi folta
caligine nasconda.
Era un piccolo
vecchio che scendea
come un'ombra; e
mi volse li occhi fissi,
ove un guizzo di
luce si spegnea
simile a lampo su
profondi abissi.
Prestai orecchio
al suo discender lento;
e un altro passo
udii, che a me davanti
le scale misurava
in quel momento,
nel salire
celavami i sembianti.
Da le spalle
incurvate, anch'ei mi parve
per anni adusto,
ne la luce fioca;
ma interrogare le
due chiuse larve
vanamente tentò
la voce roca.
Così restai su le
infinite scale
atomo perso tra i
due vecchi lenti
che scandian la
quiete, con l'eguale
ritmo dei passi
montanti e scendenti.
(da «Il
Marzocco», luglio 1898)
ARMONIA
di Luisa Giaconi
Eretta Ella nel
lampo del sol morente, cantava
un antico e lento
poema suo; fremeva di ritmi
profondi il
silenzio de' lauri solenne, come eco,
cantavano i cieli
con echi vasti di luce d'oro.
Fulgeva la sua
chioma di vivo piropo nel sole,
con larghe volute
fluendo sovra i non tocchi seni,
stringevano le
braccia su i seni una mèsse di fiori,
meravigliosi;
poemi dei solchi, ambra dei prati.
Diceva Ella il
poema suo vasto ed antico dinanzi
a un'ara
invisibile ; e faci magiche eran le vite
arboree accese ne
l'ora flammea, ed incenso
la errante pei
cieli odorosa anima dei fiori.
De gli uomini
ascoltavano muti, meravigliando
con occhi che
animi dopo ciechi anni la luce,
con anime ancor sacre
al puro silenzio dei sogni,
che il canto
cullava con ritmi di luce e di pianto.
Passava Ella col
lampo del grande Morente; e più lunge
de gli occhi e
più lunge del sogno; velata dai silenzii,
più sacra nel
pianto che bagnavale gli occhi divini,
tornante
inviolata ai suoi templi lontanissimi d'oro.
(da «Il
Marzocco», maggio 1899)
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