venerdì 27 gennaio 2023

Shemà

 

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

 

          Considerate se questo è un uomo

          Che lavora nel fango

          Che non conosce pace

          Che lotta per mezzo pane

          Che muore per un sì o per un no .

          Considerate se questa è una donna,

          Senza capelli e senza nome

          Senza più forza di ricordare

          Vuoti gli occhi e freddo il grembo

          Come una rana d'inverno.

 

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa e andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.


10 gennaio 1946

 

 

COMMENTO

Nel “Giorno della Memoria” che, a quanto si dice, sta perdendo sempre più d’interesse in tempi in cui si riscontra un allarmante, generalizzato ritorno agli armamenti e un sempre più alto numero di conflitti bellici che coinvolgono anche paesi europei; e, contemporaneamente, ci si accorge che il razzismo è divenuto un male cronico, ineliminabile e pericolosissimo, mi pare più che mai opportuno pubblicare un post in cui si possano di nuovo leggere dei versi scritti da Primo Levi, e che compaiono sia all’inizio del suo romanzo autobiografico più famoso: Se questo è un uomo; sia nella sua raccolta poetica più significativa: Ad ora incerta. Sono versi molto crudi, che spesso si possono anche leggere nelle pagine delle antologie scolastiche vecchie e nuove; ecco, a tal proposito, come vengono brevemente presentati da una di queste, che fu anche il mio testo di Lettere del primo biennio di Liceo Scientifico (1979-1981):

 

[…] Le parole sono le più semplici, le più quotidiane, senza un’eco dei sapientissimi moduli verbali realizzati dagli uomini di lettere nei decenni precedenti; - ma l’intonazione è quella delle invettive dantesche, e la maledizione lanciata dal poeta contro chi vorrà dimenticare, e lasciar cadere il ricordo delle infamie compiute, quella stessa dei versetti più duri, implacabili, martellati dell’Antico testamento.¹

 

Il titolo della poesia: Shemà, in lingua ebraica significa Ascolta, ma è anche il nome di una delle preghiere più famose della liturgia ebraica.

Primo Levi (Torino 1919 – ivi 1987), che nella vita svolse il mestiere di chimico, fu deportato dai tedeschi e quindi internato nel campo di concentramento di Auschwitz, all’inizio del 1944. In quel contesto infernale, quasi miracolosamente riuscì a sopravvivere fino all’arrivo dei russi, nel 1945. In due romanzi che rientrano nella migliore letteratura italiana del Novecento: Se questo è un uomo (1947) e La tregua (1963), ha raccontato la sua esperienza nel famigerato campo di sterminio e il suo travagliato ritorno in patria dopo la liberazione.

La poesia Shemà, l’ho trascritta dalla pagina 15 del volume Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1984; gli stessi versi, senza titolo, si leggono anche a mo’ di epigrafe, nel citato volume Se questo è un uomo (nella foto qui sotto si può vedere la pagina 1 dello stesso, ripubblicato dallo Stabilimento Nuova Stampa Mondadori, Cles 1997).

 



 

NOTE


1)     Da I problemi - antologia italiana per il biennio delle scuole superiori, Casa Editrice D’Anna, Messina-Firenze 1974, p. 787.

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