domenica 4 settembre 2022

L'orrido nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Ereditato dai poeti scapigliati - che evidentemente avevano diversi elementi in comune coi decadenti ed i simbolisti - il gusto per l'orrido ed il macabro si manifesta in molti versi di questi poeti; alcuni di essi, come il Cavacchioli ed il Rubino, lo adottano in modo costante, in versi pubblicati nel primo decennio del Novecento. Ma è Arturo Graf il primo a seguire l'esempio di Praga, Tarchetti e sodali; il poeta ateniese lo fa in modo del tutto personale, poiché gli scheletri, i fantasmi e le numerosissime, orrende visioni che descrive nei suoi versi, assurgono a simbolo della vita, visibile nella sua totale assurdità, inutilità e terribilità. Buoni ultimi, i crepuscolari, sebbene in rare occasioni, descrivono personaggi sinistri, libidinosi e violenti, così come visioni inquietanti, con paesaggi tenebrosi o luoghi chiusi in cui domina una misteriosa atmosfera, che vorrebbe trasmettere al lettore una sensazione di angoscia o di ansia estrema.

 


Poesie sull’argomento

 

Vittoria Aganoor: "Visione" in "Nuove liriche" (1908).

Gustavo Botta: "A tregenda" in "Alcuni scritti" (1952).

Enrico Cavacchioli: "La Febbre" e "Io Saturnalia!" in "L'Incubo Velato" (1906).

Enrico Cavacchioli: "La processione grottesca", "Il diavolo" e "Lo sgomento" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Giovanni Cena: "L'edificio" in "In umbra" (1899).

Giovanni Alfredo Cesareo: "L'ultimo convegno" in "Poesie" (1912).

Sergio Corazzini: "Leone XIII" in «Marforio», luglio 1903.

Auro D'Alba: "Il furto" in "Baionette" (1915).

Italo Dalmatico: "Io levo il capo con nova fermezza" e "Il sogno" in "Juvenilia" (1903).

Giuliano Donati Pétteni: "All'orizzonte, là, nella pianura..." in "Intimità" (1926).

Guglielmo Felice Damiani: "Il pastore" in "Lira spezzata" (1912).

Adolfo De Bosis: "Rombano acque correnti entro la tenebra" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).

Riccardo Forster: "Una carogna" in "La Fiorita" (1905).

Corrado Govoni "I veleni" e "La paura" in "Gli aborti" (1907).

Arturo Graf: "Esercito" in "Medusa" (1990).

Gesualdo Manzella Frontini: "Sala anatomica" in "I Poeti Futuristi" (1912).

Enzo Marcellusi: "Crimen" in "Intensità" (1920).

Pietro Mastri: "La carogna" in "Lo specchio e la falce" (1907).

Marino Moretti: "La favola dell'orco" in "La serenata delle zanzare" (1908).

Nicola Moscardelli: "In nero" e "Naufragio" in "Abbeveratoio" (1915).

Ettore Moschino: "Il delitto" in "I Lauri" (1908).

Domenico Oliva: "Nella densa tenebra" in "Poesie" (1889).

Angiolo Orvieto: "L'ascaro mutilato" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).

Nino Oxilia: "Strani disegni sono dipinti..." in "Canti brevi" (1909).

Aldo Palazzeschi: "Il campo dell'odio" in "I cavalli bianchi" (1905).

Antonio Rubino: "Il viandante magro" in «Poesia», ottobre 1908.

Antonio Rubino: "Peste regina" in "Versi e disegni" (1911).

Domenico Tumiati: "L'invisibile" in "Liriche" (1937).

Mario Zarlatti: "Tor sanguigna" in «Gran Mondo», giugno 1908.

Giuseppe Zucca: "Brividi" in "Io" (1921).

 

 

 

Testi

 

 

ESERCITO

di Arturo Graf

 

Contro all’obliquo sol, nell’aer crasso,

Nere dall’aste pendon le bandiere;

Sottesso il ciel, silenzïose e nere,

Le falangi s’incalzano al trapasso.

 

— Compagni, avanti; accelerate il passo!

Compagni avanti; serrate le schiere!

Per monti e valli, per lande e riviere,

Procedete ordinati, a capo basso.

 

Un infinito popolo s’accalca

A noi da tergo, e migra ai regni bui,

Dove tutto sarà sconfitto e rotto.

 

A noi davanti il Capitan cavalca,

Il negro Capitan che accenna altrui

Con la scarnata man senza far motto.

 

(da "Medusa", Mucchi, Modena 1990, p. 157)

 

 

 

 

IL VIANDANTE MAGRO

di Antonio Rubino

 

Grigie nel violaceo mattino

traggon le nubi ad una ridda folle:

per l'erta solitaria del colle

s'affretta un singolare pellegrino.

 

Porta una cappa di candido lino

e intorno a lui su rei càlami estolle

tasso barbasso le fetenti ampolle:

funghi immondi gl'infiorano il cammino.

 

Or sì or no l'accidia d'un vento

con un trito gridìo di spiriti egri

garrisce tra gli stecchi un suo lamento;

 

e il peplo balla tentenna e svolazza,

scoprendo l'ossa degli stinchi allegri

e l'atroce mascella, che sghignazza.

 

(da «Poesia», ottobre 1908, p. 6)



Illustrazione di Antonio Rubino, dalla pagina 80 della sua raccolta poetica: Versi e disegni, Selga, Milano MCMXI


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