domenica 11 settembre 2022

Riviste: «La Voce»

 

La Voce è il titolo di una rivista che nacque a Firenze nel 1908, e che fu di fondamentale importanza, non soltanto nell’ambito della letteratura italiana, poiché, nelle sue pagine, si possono leggere articoli firmati da notissimi personaggi del primo Novecento, che vanno dalla politica alla filosofia, dall’economia all’arte. Tra i collaboratori della Voce, infatti, si citano i nomi di Benedetto Croce, Giuseppe Lombardo Radice, Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini, Ildebrando Pizzetti, Luigi Einaudi, Renato Serra ecc. Tenendo però in considerazione soltanto la letteratura, e in particolare la poesia, si può affermare che questa rivista, per gran parte del secondo decennio del Novecento, fece tendenza, e fu grazie alla Voce che si affermò il cosiddetto “frammentismo poetico”; questo possedeva, quale requisito di spicco, un espressionismo di valore e tutto italiano, ed era rappresentato da scrittori come Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Clemente Rebora, Piero Jahier, Camillo Sbarbaro, Scipio Slataper, Giovanni Boine, Dino Campana, Arturo Onofri, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Aldo Palazzeschi e Corrado Govoni (gli ultimi due già notevoli esponenti di precedenti avanguardie poetiche: crepuscolarismo e futurismo). Il primo numero della Voce, uscì il 20 dicembre del 1908; l’ultimo, fu pubblicato il 31 dicembre del 1916. La rivista fiorentina, durante la sua esistenza, attraversò diverse fasi; la prima, in cui fu diretta da Giuseppe Prezzolini, e che durò dall’anno della nascita all’ottobre del 1914, ebbe un orientamento nettamente politico; una seconda fase, brevissima e assai meno felice, perché vide l’allontanamento di due eminenti personalità come Papini e Soffici, può essere identificata nel periodo che va dal novembre 1914 al dicembre dello stesso anno. La terza ed ultima fase invece, ebbe la durata di due anni (dicembre 1914 – dicembre 1916) e fu caratterizzata dalla direzione di Giuseppe De Robertis, il quale le diede un indirizzo prettamente letterario; durante codesta fase, la rivista venne definita “Voce bianca”, in riferimento al colore della sua copertina. Parlando soltanto di poesia italiana, si può affermare che La Voce rivesta un’importanza particolare, non paragonabile ad altre riviste dell’epoca, poiché, ospitando i versi di giovani poeti dotati di un talento eccezionale, pose le basi per quella che sarebbe stata definita la “poesia pura”, e che, a sua volta, avrebbe ispirato i poeti delle successive generazioni (Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Luzi, Bigongiari ecc.) che furono chiamati “ermetici”.  Chiudo riportando tre testi poetici famosi, i cui autori sono rispettivamente: Umberto Saba, Corrado Govoni e Vincenzo Cardarelli; la poesia iniziale appartiene alla prima fase della rivista fiorentina, mentre le altre due fanno parte della terza.

 

 


 

 

TRE VIE

di Umberto Saba

 

C’è a Trieste una via dove mi specchio

nei lunghi giorni di chiusa tristezza:

si chiama Via del Lazzaretto Vecchio.

Tra case come ospizi antiche uguali,

à una nota, una sola, d’allegrezza:

il mare in fondo alle sue laterali.

Odorata di droghe e di catrame

dai magazzini desolati a fronte,

fa commercio di reti, di cordame

per le navi: un negozio à per insegna

una bandiera; nell’interno, volte

contro il passante, che raro le degna

d’uno sguardo, coi volti esangui e proni

sui colori di tutte le nazioni,

le lavoranti scontano la pena

della vita, innocenti prigioniere,

cuciono tetre le allegre bandiere.

 

A Trieste ove son tristezze molte,

e bellezze di cielo e di contrada,

c’è un’erta che si chiama Via del monte.

Incomincia con una sinagoga,

e termina ad un chiostro; a mezza strada

ha una cappella; indi la nera foga

della vita ammirare puoi da un prato,

e il mare con le navi e il promontorio,

e la folla e le tende del mercato.

Pure a fianco dell’erta è un camposanto

abbandonato, ove nessun mortorio

entra; non si sotterra più, per quanto

io mi ricordi; il vecchio cimitero

degli Ebrei, così caro al mio pensiero,

se vi penso ai miei vecchi, dopo tanto

penare e mercatare, là sepolti;

simili tutti d’animo e di volti.

 

Via del monte è la via dei santi affetti,

ma la via della gioia e dell’amore

è sempre Via Domenico Rossetti.

Questa verde contrada suburbana,

che perde dì per dì del suo colore,

che è sempre più città, meno campagna,

serba il fascino ancora dei suoi belli

anni, delle sue prime ville, sperse,

dei suoi radi filari d’alberelli.

Chi la passeggia in queste ultime sere

d’estate, quando tutte sono aperte

le finestre, e ciascuna è un belvedere,

dove agucchiando o leggendo si aspetta;

pensa che forse qui la sua diletta

rifiorirebbe all’antico piacere

di vivere, di amare lui, lui solo;

e a più rosea salute il suo figliolo.

 

(da «La Voce», 7 novembre 1912)

 

 

 

 

LA PRIMAVERA DEL MARE

di Corrado Govoni

 

Anche il mare ha la sua primavera:

rondini all’alba, lucciole alla sera.

Ha i suoi meravigliosi prati

di rosa e di viola

che qualcuno invisibile là falcia

e ammucchia il fieno

in cumuli di fresche nuvole.

Si perdon le correnti

come le pallide strade

tra le siepi dei venti

da cui sembra venire nella pioggia

come un amaro odore

di biancospino in fiore.

E certo nella valle più lontana

un pastore instancabil tonde

il suo gregge infinito d'onde

tanta è la lana

che viene a spumeggiare sulla riva.

Verdognolo e lillastro come l’arcobaleno

gemmeo elastico refrigerante,

d’accordo con il cielo

profondo arioso concavo specchiante

come il cristallo con il fiore,

tutto abbandoni e improvvise malinconie

come il primo amore.

Così fresco ed azzurro

come se trasparissero

dalla sua limpidità

le sue tacite foreste

sottomarine

avvinghiate di alghe serpentine

quest’edera senza foglie,

scorse dai freddi scivolii

di pesci di maiolica e d’argento

alati come uccelli muti,

tra i coralli irrigiditi

questi peschi sempre fioriti.

Son le rondini fisse le conchiglie.

E le lucciole enormi son le seppie morte,

lanterne sorde

di palombari annegati

fari di naufraghi pericolati.

Una barca con un’immensa vela

sembra qualche straccione

fermo in un crocevia sotto l’ombrello,

in attesa che passi l’acquazzone.

 

(da «La Voce», 15 marzo 1915)

 

 

 

 

RITRATTO

di Vincenzo Cardarelli

 

Esiste una bocca scolpita,

un volto d’angiolo chiaro e ambiguo,

una opulenta creatura esangue

dai denti di perla,

dal passo spedito,

esiste il suo sorriso,

aereo, dubbio, lampante,

come un indicibile evento di luce.

 

(da «La Voce», 30 giugno 1916)

 

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